Dall'1 al 4 ottobre alla Rotonda della Besana
La natura non è un soffio: 5 domande a Laura Canali
Il Mediterraneo è pietra
Acrilico su tela con inserzioni di cotone e fili di ferro - di Laura Canali - 2015
Ludovica Sanfelice
02/10/2015
Laura Canali, cartografa di Limes e artista, presenta in questi giorni a Milano la mostra "La natura non è un soffio" che, sintetizzando la sua attività scientifica e la produzione pittorica e scultorea, coinvolge il pubblico in una riflessione sui temi del cambiamento climatico e, in particolare, volge lo sguardo all'impatto del surriscaldamento sugli spostamenti delle popolazioni verso luoghi più vivibili del pianeta.
Il progetto di cui Canali è anche curatrice, raccoglie una serie di carte a colori stampate su carta fotografica, in cui gli elementi scientifici assumono forme artistiche ed evocative che trovano il culmine espressivo nell'opera in legno "La Zattera" dedicata all'incuria di una civiltà sovreccitata dal progresso, e nella tela “Il Mediterraneo è Pietra”, ispirata dal volume di Limes: Chi ha paura del Califfo (3/2015), in cui è tradotta la percezione dell’artista di un mare non più liquido, ma roccioso e impervio come una catena montuosa.
Il suo lavoro è da tempo noto al grande pubblico attraverso le carte geopolitiche di Limes. Come è nata l’idea di questa mostra alla Rotonda della Besana?
L.C. - L'idea della mostra è nata dalla collaborazione che Limes, la rivista italiana di geopolitica ha da qualche anno con Edison. Edison4Expo voleva raccontare, attraverso le mappe della rivista i fenomeni dei cambiamenti climatici. Questo argomento lo avevo già affrontato con la Banca Mondiale nel 2013. Finalmente c’è una grande sensibilità su questi temi anche all’interno delle grandi aziende che stanno offrendo un ottimo esempio di impegno, tanto che nell’arco dei prossimi dieci anni è prevista una forte riduzione di emissioni di CO2.
La scelta del titolo “La natura non è un soffio” con la citazione/monito di Cesare Pavese è un’esplicita presa di posizione sul tema Natura/Tecnologia. Come è giunta a questa riflessione artistica?
L.C. - La natura non è un soffio, un sogno, un enigma destinato a dileguare. È una cosa grave e sostanziosa. Sulla mia scrivania, oltre al computer, c'è sempre il libro: "Il mestiere di vivere. Diario 1935 - 1950" di Cesare Pavese. È una raccolta di appunti che lui inizia a scrivere mentre è al confino a Brancaleone Calabro. Spesso scrive frasi dure e ruvide, ciniche a volte ma sono dirette e soprattutto scritte in momenti in cui la vita lo mette a dura prova. Ho trovato in quella frase la descrizione perfetta del peso che la natura dovrebbe avere nella nostra vita.
Nell'insieme "natura" c'è anche l'uomo. Noi siamo natura anche se ci consideriamo a parte. Uno degli aspetti più affascinanti dell'essere umano è la sua capacità di produrre tecnologia, frutto di ricerca e di studio. Ho potuto visitare qualche mese fa l'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova dove ho visto quante soluzioni hanno già trovato per produrre materiali plastici da scarti alimentari come i fondi del caffè. Esiste un brevetto per produrre carta senza dover utilizzare il legno. Ci stiamo avviamo verso un mondo sovrappopolato e penso quindi che solo la tecnologia possa esserci di aiuto. Per risparmiare acqua ad esempio, per rendere più vivibili e meno inquinate le megalopoli di questo pianeta. L'agricoltura è uno dei settori che utilizza in assoluto più risorse idriche, esistono alcuni sistemi altamente tecnologici che utilizzano pochissima acqua, uno è l'irrigazione a pivot centrale (quello che disegna cerchi perfetti nel deserto) e l'altra è l'aridocoltura praticata soprattutto in Spagna nella zona arida dell'Aragona. Si basa sull'alternanza delle coltivazioni. Pensando alla fascia saheliana da dove partono tanti migranti, se si potesse esportare anche in Africa questo tipo di tecnologia, potremmo aiutare una terra arida a produrre un po' più di agricoltura e quindi anche dare una prospettiva ai suoi abitanti. Nel report della Banca Mondiale ho letto che i paesi del Golfo di Guinea tagliano la foresta tropicale per ricavare terreno coltivabile che in pochi anni inaridisce, soprattutto perché l'irrigazione è rudimentale e affidata alla meteorologia, quindi al caso. Pensare alla tecnologia in quelle terre è stato consequenziale. Tecnologia e natura, uomo e ambiente. Un'equazione perfetta.
Consiglio la mostra del fotografo Edward Burtynsky "Acqua shock", sempre qui a Milano al Palazzo della Ragione.
Le carte digitali di Limes sono realizzate con strumenti tecnologici d’avanguardia. Nell’ opera “La Zattera” mette invece assieme l’alta e la bassa tecnologia, il taglio al laser del perspex specchiato e il bricolage di elementi in legno della base. Qual è la ragione di questa scelta? È un modo per superare i limiti dello strumento digitale?
L.C. - La "Zattera" nasce dall'esigenza di dare una forma alla sensazione che provo quando penso alle nostre belle città. Luoghi evoluti, luccicanti, con grattacieli e costruzioni avveniristiche. Ma se le fondamenta di queste belle costruzioni affondano in una terra sfruttata male e poco considerata, presto avremo dei problemi. Mi sono immaginata questo mondo così bello esteriormente ma che naviga alla deriva, come una zattera trasportata dalle correnti del caso.
Nelle sue opere il colore ha spesso un ruolo fondamentale. Si è ispirata a qualche concezione scientifica o tradizione pittorica in particolare?
L.C. - I miei colori nascono da dentro. È come una spinta vitale. Li uso così, forti, anche per le mappe di Limes. Mi servono per dare forza a certi concetti oppure per creare il giusto equilibrio tra un'informazione dolorosa e una paurosa. L'armonia dei colori è delicata da ottenere. L'artista che più mi piace per il colore è Kandinskij. Ma i miei colori nascono dalla mia personalità. Li sogno anche di notte, si accostano l'uno all'altro. Si scelgono, io li seguo. Ho iniziato a dipingere per dare libero sfogo a queste sensazioni notturne. I miei quadri sono come una prosecuzione delle mappe di Limes. La mappa è compressa in uno spazio stretto e allora libero sulla tela quei colori che hanno bisogno di espandersi.
Per il geografo Humboldt l’arte serve a comunicare al pubblico i contenuti della scienza. Si ritrova in questa posizione? Non trova invece che per essere davvero libera l’arte non debba seguire neppure la scienza?
Assolutamente sono d'accordo con lei, l'arte deve essere libera di esprimersi. L'arte è un mezzo per arrivare a sensibilizzare le persone su tanti temi come per esempio la memoria di certi eventi storici che diventano lontani nel tempo e che molti artisti tengono vivi con la loro sensibilità. Per un artista tutto è importante: l’artista è un “connettore”, assorbe tutti gli impulsi che arrivano dall’esterno e li elabora. Tra questi stimoli naturalmente c’è anche la scienza, soprattutto quella impegnata nella ricerca di soluzioni pratiche per migliorare la qualità dell’ambiente e quindi tutelare il nostro futuro. Davanti a dati e fatti drammatici che ci tolgono la speranza si pone sempre l’imponderabile, l’evento inatteso che può dare una svolta positiva alla situazione. In questo caso la scienza “buona” è un forte stimolo a vedere la realtà non attraverso un vetro nero ma blu, blu come il mare più profondo, in cui si nascondono segreti, verità... e l’imponderabile.
Il progetto di cui Canali è anche curatrice, raccoglie una serie di carte a colori stampate su carta fotografica, in cui gli elementi scientifici assumono forme artistiche ed evocative che trovano il culmine espressivo nell'opera in legno "La Zattera" dedicata all'incuria di una civiltà sovreccitata dal progresso, e nella tela “Il Mediterraneo è Pietra”, ispirata dal volume di Limes: Chi ha paura del Califfo (3/2015), in cui è tradotta la percezione dell’artista di un mare non più liquido, ma roccioso e impervio come una catena montuosa.
Il suo lavoro è da tempo noto al grande pubblico attraverso le carte geopolitiche di Limes. Come è nata l’idea di questa mostra alla Rotonda della Besana?
L.C. - L'idea della mostra è nata dalla collaborazione che Limes, la rivista italiana di geopolitica ha da qualche anno con Edison. Edison4Expo voleva raccontare, attraverso le mappe della rivista i fenomeni dei cambiamenti climatici. Questo argomento lo avevo già affrontato con la Banca Mondiale nel 2013. Finalmente c’è una grande sensibilità su questi temi anche all’interno delle grandi aziende che stanno offrendo un ottimo esempio di impegno, tanto che nell’arco dei prossimi dieci anni è prevista una forte riduzione di emissioni di CO2.
La scelta del titolo “La natura non è un soffio” con la citazione/monito di Cesare Pavese è un’esplicita presa di posizione sul tema Natura/Tecnologia. Come è giunta a questa riflessione artistica?
L.C. - La natura non è un soffio, un sogno, un enigma destinato a dileguare. È una cosa grave e sostanziosa. Sulla mia scrivania, oltre al computer, c'è sempre il libro: "Il mestiere di vivere. Diario 1935 - 1950" di Cesare Pavese. È una raccolta di appunti che lui inizia a scrivere mentre è al confino a Brancaleone Calabro. Spesso scrive frasi dure e ruvide, ciniche a volte ma sono dirette e soprattutto scritte in momenti in cui la vita lo mette a dura prova. Ho trovato in quella frase la descrizione perfetta del peso che la natura dovrebbe avere nella nostra vita.
Nell'insieme "natura" c'è anche l'uomo. Noi siamo natura anche se ci consideriamo a parte. Uno degli aspetti più affascinanti dell'essere umano è la sua capacità di produrre tecnologia, frutto di ricerca e di studio. Ho potuto visitare qualche mese fa l'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova dove ho visto quante soluzioni hanno già trovato per produrre materiali plastici da scarti alimentari come i fondi del caffè. Esiste un brevetto per produrre carta senza dover utilizzare il legno. Ci stiamo avviamo verso un mondo sovrappopolato e penso quindi che solo la tecnologia possa esserci di aiuto. Per risparmiare acqua ad esempio, per rendere più vivibili e meno inquinate le megalopoli di questo pianeta. L'agricoltura è uno dei settori che utilizza in assoluto più risorse idriche, esistono alcuni sistemi altamente tecnologici che utilizzano pochissima acqua, uno è l'irrigazione a pivot centrale (quello che disegna cerchi perfetti nel deserto) e l'altra è l'aridocoltura praticata soprattutto in Spagna nella zona arida dell'Aragona. Si basa sull'alternanza delle coltivazioni. Pensando alla fascia saheliana da dove partono tanti migranti, se si potesse esportare anche in Africa questo tipo di tecnologia, potremmo aiutare una terra arida a produrre un po' più di agricoltura e quindi anche dare una prospettiva ai suoi abitanti. Nel report della Banca Mondiale ho letto che i paesi del Golfo di Guinea tagliano la foresta tropicale per ricavare terreno coltivabile che in pochi anni inaridisce, soprattutto perché l'irrigazione è rudimentale e affidata alla meteorologia, quindi al caso. Pensare alla tecnologia in quelle terre è stato consequenziale. Tecnologia e natura, uomo e ambiente. Un'equazione perfetta.
Consiglio la mostra del fotografo Edward Burtynsky "Acqua shock", sempre qui a Milano al Palazzo della Ragione.
Le carte digitali di Limes sono realizzate con strumenti tecnologici d’avanguardia. Nell’ opera “La Zattera” mette invece assieme l’alta e la bassa tecnologia, il taglio al laser del perspex specchiato e il bricolage di elementi in legno della base. Qual è la ragione di questa scelta? È un modo per superare i limiti dello strumento digitale?
L.C. - La "Zattera" nasce dall'esigenza di dare una forma alla sensazione che provo quando penso alle nostre belle città. Luoghi evoluti, luccicanti, con grattacieli e costruzioni avveniristiche. Ma se le fondamenta di queste belle costruzioni affondano in una terra sfruttata male e poco considerata, presto avremo dei problemi. Mi sono immaginata questo mondo così bello esteriormente ma che naviga alla deriva, come una zattera trasportata dalle correnti del caso.
Nelle sue opere il colore ha spesso un ruolo fondamentale. Si è ispirata a qualche concezione scientifica o tradizione pittorica in particolare?
L.C. - I miei colori nascono da dentro. È come una spinta vitale. Li uso così, forti, anche per le mappe di Limes. Mi servono per dare forza a certi concetti oppure per creare il giusto equilibrio tra un'informazione dolorosa e una paurosa. L'armonia dei colori è delicata da ottenere. L'artista che più mi piace per il colore è Kandinskij. Ma i miei colori nascono dalla mia personalità. Li sogno anche di notte, si accostano l'uno all'altro. Si scelgono, io li seguo. Ho iniziato a dipingere per dare libero sfogo a queste sensazioni notturne. I miei quadri sono come una prosecuzione delle mappe di Limes. La mappa è compressa in uno spazio stretto e allora libero sulla tela quei colori che hanno bisogno di espandersi.
Per il geografo Humboldt l’arte serve a comunicare al pubblico i contenuti della scienza. Si ritrova in questa posizione? Non trova invece che per essere davvero libera l’arte non debba seguire neppure la scienza?
Assolutamente sono d'accordo con lei, l'arte deve essere libera di esprimersi. L'arte è un mezzo per arrivare a sensibilizzare le persone su tanti temi come per esempio la memoria di certi eventi storici che diventano lontani nel tempo e che molti artisti tengono vivi con la loro sensibilità. Per un artista tutto è importante: l’artista è un “connettore”, assorbe tutti gli impulsi che arrivano dall’esterno e li elabora. Tra questi stimoli naturalmente c’è anche la scienza, soprattutto quella impegnata nella ricerca di soluzioni pratiche per migliorare la qualità dell’ambiente e quindi tutelare il nostro futuro. Davanti a dati e fatti drammatici che ci tolgono la speranza si pone sempre l’imponderabile, l’evento inatteso che può dare una svolta positiva alla situazione. In questo caso la scienza “buona” è un forte stimolo a vedere la realtà non attraverso un vetro nero ma blu, blu come il mare più profondo, in cui si nascondono segreti, verità... e l’imponderabile.
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