La vera Firenze del trecento e' Padova
courtesy of Cappella degli Scrovegni |
Giotto
26/02/2004
Un usuraio viene a sapere che c'è un grande pittore di nome Giotto, che ha inventato una nuova idea della pittura. Lo invita a dipingere la cappella di famiglia, a fianco di un palazzo che poi è stato distrutto, dentro l'Arena di Padova. E' grazie a questo imprenditore del Nord-Est, una figura ancora capace di esprimere una sua attualità, che il toscano Giotto ha lasciato a Padova la sua massima testimonianza, il suo massimo capolavoro, la "Divina Commedia" della pittura che ha fondato una "vita nova" nella pittura occidentale. Eppure non c'è nessuno in Italia, neanche i cittadini locali, che dovendo pensare alla migliore pittura del trecento pensi a Padova.
Lasciando a Padova la Cappella degli Scrovegni e altre opere presso la Basilica del Santo e il Palazzo della Ragione, Giotto diventa il modello per le generazioni successive di artisti. E a imitare Giotto non vanno suoi allievi, come succede a Firenze, ma artisti autonomi, ognuno con la propria personalità, ognuno in grado di rielaborare la lezione del grande maestro secondo lo spirito dei nuovi tempi. Prima di Padova, Giotto era solo l'artista più dotato e promettente fra quelli presumibilmente operanti nel cantiere di Assisi; dopo Padova diventa il pittore più conosciuto, pronto a diffondere il proprio verbo artistico nella maggior parte della penisola italiana. Ecco perchè dico che "la vera firenze del trecento è Padova": a Firenze, Giotto diventa evoluzione, arte capace di diventare nazionale e internazionale. Se si voleva conoscere la pittura del trecento, mai si andava a Padova, ma ad Assisi, a Firenze, a Siena, perfino a Venezia.
Nel Quattrocento, però, arriverà a Padova un altro grande artista fiorentino, Donatello, scultore, e qui lascerà il suo maggior capolavoro, quello destinato ad esercitare maggior influenza sugli altri artisti, esattamente come era stato per Giotto. Da Donatello il rinascimento padano, e quello veneto in particolare, conosceranno un impulso decisivo, nascerà un gusto archeologico per la civiltà classica, pagana, nella reazione dell'Umanesimo contro la gerarchia teologica medievale, e tutti andranno a studiare a Padova. Fra l'epoca di Giotto e quella di Donatello, dunque, Padova diventa una capitale artistica perchè vi capitano eventi come quelli che si sarebbero verificati poi, a Parigi con il cubismo, o a New York con la Pop Art. La leggenda di Padova, capitale di tendenza, si sarebbe diffusa con una forza dirompente. Dopo il non lungo soggiorno di Giotto a Padova, esauritosi fra il 1302 e il 1307, passano circa venti anni in cui nessuno riesce a mettersi in rapporto con un linguaggio pittorico così evoluto. Poi scatta una straordinaria energia emulativa, innestata da alcuni maestri riminesi (Pietro e Giuliano da Rimini) che dipingono nella chiesa degli Eremitani, vicino alla cappella degli Scrovegni. Dopo di loro, ecco un veneziano che si chiama Guariento giungere a Padova e tentare una congiunzione tra la lingua pittorica veneziana, greco-bizantina, e quella moderna di Giotto; al suo fianco un raffinato conterraneo, l'ecclesiastico Nicoletto Semitecolo, cui fa seguito il lombardo Giusto da Menabuoi, arrivato a Padova per affrescare il Battistero.
E poi ancora, da Verona, un superbo lettore di modelli di Giotto in chiave pre-rinascimentale, Altichero, che lascia il suo massimo capolavoro nell'Oratorio di San Giorgio. Con tutti questi pittori attivi a Padova, l'arte padana non rimane più un'ipotesi, ma una realtà; non un linguaggio autoctono, ma un contributo alla stabilizzazione di una lingua realmente nazionale, parallela ma non coincidente con quella toscana. In questo senso anche Giotto può essere considerato a suo modo un "padano", avendo inaugurato a Padova un discorso che si sarebbe sviluppato secondo binari finalmente extra-toscani. Per questa e altre ragioni è importante andare a Padova, capire a Padova il senso della pittura italiana del trecento più di quanto non si possa fare a Firenze.
Perchè la Padova di Giotto è stata davvero caput mundi dell'arte come non ce ne sono state altre nel trecento.
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