Aspettando Frida Kahlo, al cinema il 22, 23 e 24 novembre

Parla la regista Ali Ray: "Vi racconto la vera Frida, intensa e fragile"

Frida Kahlo, Autoritratto in abito di velluto, 1926, Olio su tela, 79.7 x 60 cm, Collezione privata I © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust, México DF / 2021, ProLitteris, Zurigo I Foto: © akg-images / Erich Lessing
 

Samantha De Martin

19/11/2021

Dietro l'icona dagli abiti sgargianti e le sopracciglia foltissime, spezzata dalla malattia e da un amore burrascoso, esasperata da un dolore sublimato attraverso la pittura, c’è una Frida mai vista, più autentica, ancora sconosciuta.
Ed è una Frida “reale”, intensa, potente quella che la regista britannica Ali Ray consegna al grande schermo attraverso Frida Kahlo il film definitivo sulla vita e la produzione artistica della celebre pittrice messicana, al cinema il 22, 23 e 24 novembre. Prodotto da Phil Grabsky con la sua Seventh Art Productions il film è distribuito in Italia da Adler Entertainment.

Lo sguardo intenso di questa donna scruta lo spettatore, lo aggancia, fino a consegnargli il suo dolore, l’anima impigliata in quadri viscerali capaci di dare voce all’invisibile.
In attesa di vedere in sala il film che segna anche il debutto al cinema della collana ART ICONS - una serie di documentari sulle icone indiscusse del mondo dell’arte, pronte a conquistare il grande schermo con tre imperdibili film evento grazie ad Adler Entertainment - abbiamo chiesto ad Ali Ray di fornirci qualche anticipazione su quello che vedremo al cinema. Ma soprattutto, di condividere l’emozione scaturita dall'esperienza a Casa Azul (Casa Blu) a Coyoacán, sobborgo di Città del Messico, dove il film è stato interamente realizzato.


La regista Ali Ray © Exhibition On Screen

Regista, scrittrice, prodruttrice, Ray ha diretto e prodotto serie e opere singole per Channel 4, Channel 5, e lavorato su produzioni per la BBC, Discovery e altre emittenti internazionali. Frida Kahlo è il suo primo film documentario per Exhibition On Screen.

Frida Kahlo esplora in dettaglio la vita e l'arte di un’icona. Di quali documenti e testimonianze si è servita?
“Siamo stati molto fortunati nel riuscire ad avere il contributo degli esperti mondiali di Kahlo. C'è stato dato pieno accesso alla Casa blu, a Città del Messico, la casa nella quale Frida è cresciuta e dove poi è tornata a vivere per gran parte della sua vita adulta, fino alla morte. La casa (dipinta completamente di un blu brillante) è già di per sé un'opera d'arte. Dal momento che la disabilità di Frida (in seguito all’incidente stradale avuto da adolescente) diventa sempre più debilitante man mano che cresce, non essendo in grado di spostarsi, l’artista trasforma la sua dimora in un universo a sé, costellato di oggetti curiosi che lei stessa colleziona, intriso della sua arte, arricchendolo di un giardino tropicale popolato di animali esotici e domestici. Dalla morte di Frida, la casa è cambiata molto poco. Per questo, entrando in questi ambienti, intrattenendoci e filmando, abbiamo avuto modo di percepire in maniera fortissima il senso della sua vita. Abbiamo anche intervistato i curatori del Museo Dolores Olmedo che accoglie 25 opere di Kahlo e alcuni eminenti studiosi di Kahlo in America (Gannit Ankori e Adriana Zavala), oltre alla sua biografa più nota a New York, Hayden Herrera”.



FRIDA KAHLO, Gran Bretagna, 2020, 90', Seventh Art Productions, Exhibition on Screen, Produttori esecutivi Tim Dawson, Phil Grabsky, Amanda Wilkie, Regia di Ali Ray, Distribuito in Italia da Adler Entertainment, Media partner ARTE.it, ComingSoon


Il film coinvolge anche esperti che hanno conosciuto Frida Kahlo personalmente. Potrebbe raccontarci qualche aneddoto che ha scoperto grazie a queste testimonianze?
“Abbiamo intervistato la nipote di Frida Kahlo, la fotografa Christina Kahlo. L'abbiamo filmata nella sua casa che ospita molti documenti e album fotografici di famiglia. Una cosa di cui abbiamo discusso è quanto Frida sia stata influenzata dalla fotografia. Suo padre Guilermo era un fotografo e Frida ha imparato, fin da piccola, a posare per lui. Una volta appreso questo, guardando i suoi autoritratti si percepisce come lo sguardo dell’artista sia quello di una persona a proprio agio, abituata a posare assumendo espressioni diverse. Si pensa che molti dei suoi autoritratti siano stati fatti a partire dalle fotografie piuttosto che da uno specchio.
Abbiamo anche intervistato il nipote di Diego Rivera (l’uomo che Frida ha sposato due volte, che ha ispirato molte delle sue opere e con il quale ha avuto una relazione turbolenta, alimentata da reciproci tradimenti)".

Quali opere di Frida vedremo nel film?

“Sono davvero felice di essere riuscita a presentare agli spettatori, attraverso il film, molte opere meno conosciute di Kahlo. Ovviamente, accanto a queste abbiamo incluso i meravigliosi lavori chiave e quegli iconici autoritratti che la ritraggono circondata da scimmie, uccelli, piante tropicali. Tra i quadri forse più potenti del film c’è The Broken Column. Si tratta di un autoritratto in cui il corpo dell’artista è spezzato per rivelare la sua spina dorsale dipinta come una colonna sgretolata. Probabilmente è l'unico dipinto che abbia mai visto dove l'artista ha saputo rappresentare il dolore attraverso un'immagine. Abbiamo anche filmato la famosa (e la sua opera più grande) Le due Frida nel Museo de Arte Moderno di Città del Messico. Qui l’artista ha dipinto un doppio ritratto che riflette la sua doppia personalità - quella messicana e quella di eredità europea - per rivelare come Diego Rivera le abbia spezzato il cuore. Entrambe le Frida hanno cuori visibili: uno è tagliato e squarciato, dall'arteria gocciola sangue sul vestito. D'altra parte l’artista era solita inserire molto sangue nei suoi dipinti. Ha realizzato questo quadro quando ha divorziato da Rivera. L’opera è quindi è una risposta meravigliosamente drammatica a quel delicato momento”.



Frida Kahlo, Le due Frida, 1939, Città del Messico, Museo de Arte Moderno | Foto: © Bridgeman Images

Grazie al film, ha avuto la straordinaria opportunità di avere accesso alle lettere personali di Frida. Quale episodio o storia l’ha emozionata di più?
“È stata una strana esperienza avere accesso alle lettere dell’artista. Erano così personali e ti catapultavano immediatamente nella sua testa. Nel caso di Kahlo, un luogo oscuro e inospitale, dove qualcuno lottava contro il dolore e il rifiuto. Quelle lettere mi hanno dato una nuova visione di Frida, facendomi immaginare sarebbe potuta essere di persona, se mai l’avessi incontrata in una stanza. Aveva un modo piuttosto infantile di scrivere ai suoi interlocutori, specie a suo marito. Era una donna emotivamente esigente e non aveva paura di mostrarlo. Direi che non c'è una storia, in particolare, che si distingue dalle altre nelle sue lettere. Particolarmente significativo è piuttosto l’effetto complessivo che la sua vita e le sue lettere hanno avuto su di me. Hanno rivelato quanto questa donna fosse insicura e mentalmente fragile, ma, al tempo stesso, in grado di vivere una vita incredibilmente piena, di viaggi, amicizie, amanti. Insomma, mi ha rivelato quanto fosse reale”.

Secondo lei, in cosa questo film è diverso dagli altri documentari su Frida?

“La serie di film Exhibition on Screen è unica, in quanto pone l'arte al centro dell'attenzione. La vita di Frida Kahlo, le tempestose relazioni amorose, la sua malattia, l’incidente, il suo modo di vestire e persino le sue iconiche sopracciglia attirano solitamente di più l’attenzione rispetto alla cosa che a lei stava più a cuore, ovvero la sua arte. Il film offre l’opportunità di scrutare le opere da vicino e nel dettaglio, di cogliere le pennellate. È incredibile riuscire a vedere tutti questi dettagli su uno schermo cinematografico. Nemmeno la vista delle opere in una galleria d’arte riuscirebbe a restituirci un’esperienza così ravvicinata, intensa e personale. Attraverso l’arte di Frida comprendiamo le risposte, intensamente personali, che l'artista dà ai problemi nella sua vita e nelle sue relazioni, ma anche al dolore e alla sua passione per la politica”.



Frida Kahlo, Autoritratto con piccola scimmia, 1945 © Exhibition On Screen

In che modo dirigere questo film ha cambiato la sua visione di Frida?
“Questo film ha sicuramente cambiato la mia visione dell'arte di Frida. Probabilmente prima del film guardavo a Frida come fanno la maggior parte delle persone: come ad un'icona della quale si sono appropriati in tanti, dai disabili alle comunità LGBT. Guardavo a lei come a un'icona della moda, come a una donna offesa, alle prese con le infedeltà del marito. Avevo l’impressione che il suo stile fosse ingenuo. Dopo averla studiata e dopo aver parlato con molti esperti in tutto il mondo, ho iniziato a leggere la sua arte in un modo molto diverso. Era incredibilmente intelligente con il suo simbolismo, e ogni opera, ogni pennellata raccontava una storia potente".

Sta preparando altri documentari dedicati alle icone dell'arte?
“Sì, attualmente sto dirigendo un film sull'opera di Mary Cassatt, una pittrice americana che ha trascorso gran parte della sua carriera in Francia ed è stata l'unica americana a far parte del movimento impressionista. È affascinante perché la storia ha reinterpretato gran parte del lavoro di Cassatt, le cui immagini di donne e bambini sono state lette come meramente sentimentali. E invece, nel momento i cui le dipinse, queste opere rappresentarono affermazioni potenti, capaci di testimoniare il cambiamento di vita delle donne moderne”.


Poster del film documentario FRIDA KAHLO, Gran Bretagna, 2020, 90', Seventh Art Productions, Exhibition on Screen, Produttori esecutivi Tim Dawson,  Phil Grabsky, Amanda Wilkie, Regia di Ali Ray, Distribuito in Italia da Adler Entertainment, Media partner ComingSoon, ARTE.it

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