Perché leggere la Beltramme
Ilaria Beltramme
21/11/2008
Verso fine novembre uscirà il nuovo libro di Ilaria Beltramme dal titolo “101 perché la storia di Roma che non puoi non sapere” per la Newton Compton. Abbiamo avuto il privilegio di leggerlo in anteprima e, come è successo per l’opera precedente, siamo rimasti incantati dalla prosa di questa giovane autrice, che accompagna il lettore per mano alla scoperta della storia della “Città Eterna”. Non abbiamo resistito e siamo andati ad intervistarla per voi.
Di cosa parla il suo nuovo libro e quali le parti che preferisce?
"È un libro di storia che affronta tutte le tappe più importanti della grande “saga” di Roma, partendo da un perché. Potrebbe anche bastare così, se non fosse che per selezionare i 101 capitoli (e gli altrettanti “perché” con cui ho voluto giocare) mi sono imbattuta in miriadi di eventi sbilenchi di questo cammino millenario che non avevano nulla a che fare con la “monumentalità” storica della Città Eterna. Ovviamente, un po’ come era successo per il primo libro, a quelli mi sono rivolta per leggere un riflesso dell’eternità di questa città anche nel minuscolo, nell’insignificante. Diciamo che se in 101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita ho invitato i lettori a uscire dalle vie più battute, dai soliti siti turistici, per imboccare vicoli e cercare piazzette nascoste, allo stesso tempo vorrei che i lettori di questo secondo guardassero alla grande storia di Roma con un occhio un po’ più disincantato, meno influenzato dal “grandioso”. La città traspare comunque, il suo percorso prorompe lo stesso, ma ci si arriva da un’entrata laterale facendo un sano esercizio di scoperta. Forse, una volta messi insieme questi 101 perché, si avrà qualche informazione in più sul cattivissimo senso dell’umorismo romano, sul cinismo di un popolo che è stato per secoli il “figlio prediletto” di qualcuno, pur continuando a morire di fame e a vivere fra i ruderi. Ed è questo tema, che viaggia parallelo a ogni “perché” del libro, a piacermi di più".
E' strano che in tempi di mondializzazione ci sia questa forte passione per una sola città, forse che il tanto decantato internazionalismo di una certa politica sia ormai una vetera sopravvivenza?
"Per questa riflessione vorrei chiamare in causa Alejandro Jodorowsky. In uno dei suoi libri meravigliosi, Quando Teresa si arrabbiò con dio, l’autore apriva il romanzo con un invito ai lettori di costruirsi una specie di “epica familiare”, cioè di pensare (e raccontare) la storia della propria famiglia come una successione di fatti, appunto, epici, visionari, super-umani. È un modo per rendere omaggio al passato della propria comunità e alle proprie radici. Ecco, sono profondamente convinta che per “affrontare” e incontrare il mondo si debbano avere radici salde. E Roma fa parte delle mie. Sono profondamente convinta che noi romani, al di là delle scelte individuali di ognuno, siamo profondamente legati alla storia di questa città e al suo passato. Non c’è romano che all’estero non dica io sono di Roma (e non: io vengo dall’Italia). Tutti abbiamo un moto di orgoglio (anche i meno campanilisti) ogni volta che ci chiedono da quale città proveniamo, me compresa. Think global, act local, si diceva qualche annetto fa. Ecco l’azione locale su Roma (al di là dei grandi temi politici) può iniziare anche dalla conoscenza del suo passato e delle sue ricchezze".
Cosa le piace oggi di Roma e cosa no?
“Di Roma amo le strade del centro, gli scorci, la luce, gli strati archeologici che ne compongono il sottosuolo. Amo il fatto che non esiste chiesa che non sia stata rimaneggiata mille milioni di volte, che non ci sia palazzo del quale parlare ore per raccontare da dove arriva nel tempo. Mi piace, da un punto di vista sociale, che ogni via, ogni rione, ogni quartiere, siano in realtà paesini con un’identità precisa. Mi piace che a Roma ci sia un forte senso della comunità, della solidarietà e dell’accoglienza. E adoro che questi sentimenti nobili non vengano mai espressi in modo “buono”. Per assaggiare i romani tocca grattare la scorza che può essere dura e a volte durissima. Non mi piace che ultimamente tutte queste belle cose stiano invece scivolando nel loro contrario. A Roma sto riscontrando un tasso di crudeltà e imbestialimento che prima non vedevo. Ci sono episodi di intolleranza terrificanti dietro ai quali non si riconosce più il volto della città. Storie di razzismo o reazioni di fastidio che nascondono un malessere che non so dirmi da dove provenga. Forse è indotto. Poi c’è il traffico, il casino, l’odore di smog... ma questi ormai sono luoghi comuni”.
Nel suo background non c’è questa stanzialità, questo legame “fisico” con un solo luogo, che invece si riscontra nei suoi lavori. Quale è stato il percorso che l’ha portata a scrivere della città eterna?
“Ho abitato fuori Roma (in Inghilterra e in Spagna) per parecchi anni. Poi però sono tornata. E forse il mio amore per Roma è come quello degli emigranti che ritornano: riscoperto. D’altro canto degli amici con cui mi sono trasferita all’estero appena raggiunta la maggiore età sono l’unica ad essere tornata per sempre. Il legame vero con la città l'ho stabilito da piccolissima, perché ho avuto la fortuna di aver iniziato a girare Roma in lungo e in largo con mio padre, praticamente da quando ho memoria; sempre con lui, a 13 anni, ho frequentato il fiume facendo scuola di kajak su un antico barcone sul Tevere, il dopolavoro ferroviario. E la fortuna mi è stata accanto di nuovo quando mi è capitato come istruttore un simbolo dei fiumaroli, Eugenio Cornacchia, che è stato anche un grande poeta dialettale, oltre che un campione di canoa e di tuffi negli anni Trenta e Quaranta. Poi, di ritorno dalla Spagna, ho lavorato in un bar del rione Monti per qualche mese, dove ho avuto modo di conoscere la vita di una zona del centro storico dall’interno. Ed è stato subito amore. Infine, per colpa dei mille casi della vita, ho iniziato a lavorare nell’editoria e ho fatto conoscenza con “l’istituto della redazione” in un giornale di viaggio. Lì ho mi sono avvicinata a un mestiere meraviglioso (sotto la direzione di un grande giornalista, Luciano Del Sette), e mi è stato insegnato a parlare di luoghi senza dover per forza cadere nelle banalità dei “panorami mozzafiato” o del “bellissimo” che è un superlativo spesso abusato, ma che in fondo non dice nulla”.
Quali sono i suoi progetti futuri e dove le piacerebbe andare?
“Fisicamente vorrei rimanere a Roma. Anche se vorrei riuscire a viaggiare di più e più a lungo. Uscire dall’Europa, avvicinarmi ad altre culture. In futuro vorrei continuare a scrivere di Roma sicuramente e anche d’altro. Poi si vedrà”.
Uno o più libri che consiglierebbe ai nostri lettori o che la hanno particolarmente influenzato.
“Tutta la bibliografia di Tom Robbins, senza dubbio. I suoi romanzi sono un pozzo inesauribile di buon umore, notizie filosofiche puntuali e grazia narrativa. Poi ci sono i sudamericani, Garcia Marquez in testa. E poi c’è Jodowrosky. Affabulazione latina e tradizioni ebraiche. Un binomio perfetto”.
Di cosa parla il suo nuovo libro e quali le parti che preferisce?
"È un libro di storia che affronta tutte le tappe più importanti della grande “saga” di Roma, partendo da un perché. Potrebbe anche bastare così, se non fosse che per selezionare i 101 capitoli (e gli altrettanti “perché” con cui ho voluto giocare) mi sono imbattuta in miriadi di eventi sbilenchi di questo cammino millenario che non avevano nulla a che fare con la “monumentalità” storica della Città Eterna. Ovviamente, un po’ come era successo per il primo libro, a quelli mi sono rivolta per leggere un riflesso dell’eternità di questa città anche nel minuscolo, nell’insignificante. Diciamo che se in 101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita ho invitato i lettori a uscire dalle vie più battute, dai soliti siti turistici, per imboccare vicoli e cercare piazzette nascoste, allo stesso tempo vorrei che i lettori di questo secondo guardassero alla grande storia di Roma con un occhio un po’ più disincantato, meno influenzato dal “grandioso”. La città traspare comunque, il suo percorso prorompe lo stesso, ma ci si arriva da un’entrata laterale facendo un sano esercizio di scoperta. Forse, una volta messi insieme questi 101 perché, si avrà qualche informazione in più sul cattivissimo senso dell’umorismo romano, sul cinismo di un popolo che è stato per secoli il “figlio prediletto” di qualcuno, pur continuando a morire di fame e a vivere fra i ruderi. Ed è questo tema, che viaggia parallelo a ogni “perché” del libro, a piacermi di più".
E' strano che in tempi di mondializzazione ci sia questa forte passione per una sola città, forse che il tanto decantato internazionalismo di una certa politica sia ormai una vetera sopravvivenza?
"Per questa riflessione vorrei chiamare in causa Alejandro Jodorowsky. In uno dei suoi libri meravigliosi, Quando Teresa si arrabbiò con dio, l’autore apriva il romanzo con un invito ai lettori di costruirsi una specie di “epica familiare”, cioè di pensare (e raccontare) la storia della propria famiglia come una successione di fatti, appunto, epici, visionari, super-umani. È un modo per rendere omaggio al passato della propria comunità e alle proprie radici. Ecco, sono profondamente convinta che per “affrontare” e incontrare il mondo si debbano avere radici salde. E Roma fa parte delle mie. Sono profondamente convinta che noi romani, al di là delle scelte individuali di ognuno, siamo profondamente legati alla storia di questa città e al suo passato. Non c’è romano che all’estero non dica io sono di Roma (e non: io vengo dall’Italia). Tutti abbiamo un moto di orgoglio (anche i meno campanilisti) ogni volta che ci chiedono da quale città proveniamo, me compresa. Think global, act local, si diceva qualche annetto fa. Ecco l’azione locale su Roma (al di là dei grandi temi politici) può iniziare anche dalla conoscenza del suo passato e delle sue ricchezze".
Cosa le piace oggi di Roma e cosa no?
“Di Roma amo le strade del centro, gli scorci, la luce, gli strati archeologici che ne compongono il sottosuolo. Amo il fatto che non esiste chiesa che non sia stata rimaneggiata mille milioni di volte, che non ci sia palazzo del quale parlare ore per raccontare da dove arriva nel tempo. Mi piace, da un punto di vista sociale, che ogni via, ogni rione, ogni quartiere, siano in realtà paesini con un’identità precisa. Mi piace che a Roma ci sia un forte senso della comunità, della solidarietà e dell’accoglienza. E adoro che questi sentimenti nobili non vengano mai espressi in modo “buono”. Per assaggiare i romani tocca grattare la scorza che può essere dura e a volte durissima. Non mi piace che ultimamente tutte queste belle cose stiano invece scivolando nel loro contrario. A Roma sto riscontrando un tasso di crudeltà e imbestialimento che prima non vedevo. Ci sono episodi di intolleranza terrificanti dietro ai quali non si riconosce più il volto della città. Storie di razzismo o reazioni di fastidio che nascondono un malessere che non so dirmi da dove provenga. Forse è indotto. Poi c’è il traffico, il casino, l’odore di smog... ma questi ormai sono luoghi comuni”.
Nel suo background non c’è questa stanzialità, questo legame “fisico” con un solo luogo, che invece si riscontra nei suoi lavori. Quale è stato il percorso che l’ha portata a scrivere della città eterna?
“Ho abitato fuori Roma (in Inghilterra e in Spagna) per parecchi anni. Poi però sono tornata. E forse il mio amore per Roma è come quello degli emigranti che ritornano: riscoperto. D’altro canto degli amici con cui mi sono trasferita all’estero appena raggiunta la maggiore età sono l’unica ad essere tornata per sempre. Il legame vero con la città l'ho stabilito da piccolissima, perché ho avuto la fortuna di aver iniziato a girare Roma in lungo e in largo con mio padre, praticamente da quando ho memoria; sempre con lui, a 13 anni, ho frequentato il fiume facendo scuola di kajak su un antico barcone sul Tevere, il dopolavoro ferroviario. E la fortuna mi è stata accanto di nuovo quando mi è capitato come istruttore un simbolo dei fiumaroli, Eugenio Cornacchia, che è stato anche un grande poeta dialettale, oltre che un campione di canoa e di tuffi negli anni Trenta e Quaranta. Poi, di ritorno dalla Spagna, ho lavorato in un bar del rione Monti per qualche mese, dove ho avuto modo di conoscere la vita di una zona del centro storico dall’interno. Ed è stato subito amore. Infine, per colpa dei mille casi della vita, ho iniziato a lavorare nell’editoria e ho fatto conoscenza con “l’istituto della redazione” in un giornale di viaggio. Lì ho mi sono avvicinata a un mestiere meraviglioso (sotto la direzione di un grande giornalista, Luciano Del Sette), e mi è stato insegnato a parlare di luoghi senza dover per forza cadere nelle banalità dei “panorami mozzafiato” o del “bellissimo” che è un superlativo spesso abusato, ma che in fondo non dice nulla”.
Quali sono i suoi progetti futuri e dove le piacerebbe andare?
“Fisicamente vorrei rimanere a Roma. Anche se vorrei riuscire a viaggiare di più e più a lungo. Uscire dall’Europa, avvicinarmi ad altre culture. In futuro vorrei continuare a scrivere di Roma sicuramente e anche d’altro. Poi si vedrà”.
Uno o più libri che consiglierebbe ai nostri lettori o che la hanno particolarmente influenzato.
“Tutta la bibliografia di Tom Robbins, senza dubbio. I suoi romanzi sono un pozzo inesauribile di buon umore, notizie filosofiche puntuali e grazia narrativa. Poi ci sono i sudamericani, Garcia Marquez in testa. E poi c’è Jodowrosky. Affabulazione latina e tradizioni ebraiche. Un binomio perfetto”.
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