“Prima Personale”

Opera di Giuseppe Capitano
28/12/2004
In questo notevole debutto, il trentenne Giuseppe Capitano presenta una serie di sculture che esprimono il perenne conflitto fra spirito umano e corpo, attraverso immagini mitologiche che raccontano storie. Questo artista autodidatta cresciuto in Molise, unisce materiali naturali ed industriali -leggera canapa ecologica, immacolato marmo bianco, e acciaio splendente- per creare una tensione che narra, con freschezza e originalità, i vecchi temi dei limiti umani, trasgressione, e trascendenza. Il contrasto fra gli elementi scultorei e i soffitti vividamente affrescati del palazzo conferiscono un senso di eterno e di dramma alle opere.
Ciascuna delle 6 sale ospita soltanto uno o due pezzi. Una maschera di marmo alla Brancusi, è vestita con trecce lunghe di canapa che cadono verso un cancello di acciaio che rappresenta un balcone. Sebbene forse intendesse fare il verso alla Giulietta di Shakespeare, l’opera possiede la crudezza austera di una maschera cerimoniale africana. Un piede di canapa senza corpo sospeso su un gradino di specchio- che scompare attraverso il riflesso del pavimento e della parete- sembra rappresentare lo stato fra il fisico e l’invisibile come se procedesse verso il muro all’interno di un mondo sconosciuto alla ricerca infinita dell’altro piede.
Nella stanza successiva, ali di canapa abbozzate si riposano su un tavolo di puro marmo bianco in equilibrio su sottili gambe di acciaio, il tutto illuminato da un faro di luce. Le punte delle ali sono in maniera incongrua fuori dal perimetro del tavolo, e lanciano le proprie ombre sul pavimento rilasciando un senso di movimento e di urgenza, come se fossero state prese dal corpo di Icaro e poste su un tavolo chirurgico. Sulla destra c’è un gigantesco ratto di canapa che cerca invano di entrare in una porta che sembra una piccola tana su una pietra di marmo scuro- un muro della città che sta proteggendo il popolo dalla peste.
Poi, in una inversione del mito di purificazione attraverso la metamorfosi della reincarnazione- inspirata al “The Thief’s Journal” di Jean Genet – un enorme serpente di canapa con una lingua d’acciaio, dalla testa pesante di marmo, si dirige verso il sottosuolo. Nella sala accanto in un gesto parimenti irriverente, su di un pezzo di marmo sulla parete è incisa una mano che beffeggia Dio, rappresentato con un grande remo intento a punire i peccatori. Vicino un animale incapace di uscire da un pozzo che simboleggia il muro metaforico che circonda ed è causa della nostra incapacità di comunicare onestamente con gli altri. Le sculture, le ombre di Capitano sono sogni- che nonostante la certezza dell’impossibilità di conciliare fisico e spirituale- stimolano una sensazione di compenetrazione inconscia di tutte le cose.
Giuseppe Capitano, “Prima Personale”
Fino al 10 gennaio 2005
Galleria L'Attico
Roma. Via del Paradiso 41
06/6869846
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