Viaggio di un "iconauta"

courtesy of Studio Azzurro | paolo rosa
 

26/02/2004

Abbiamo intervistato Paolo Rosa, regista de “Il menmonista”, e fondatore di Studio Azzurro, casa di produzione video e di ricerca artistica d’avanguardia nata a Milano agli inizi degli anni '80, dal sodalizio con Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi. Studio Azzurro nasce come gruppo creativo a 360°, che si occupa sia di lavori commerciali che di produzione artistica. In che misura questa duplice attività è stata riconosciuta su entrambi i fronti e può essere considerata all'origine del vostro successo? "L’attività duplice è stata anche necessaria perché la ricerca che facciamo con l’utilizzo delle nuove tecnologie richiede investimenti e collaborazioni che sono molto dispendiose. Era evidente che con la sola frequentazione dell’ambito artistico non sarebbe stato possibile andare avanti. Noi la chiamiamo "non commerciale", ma abbiamo dovuto praticare un certo tipo di arte applicata. Con budget più consistenti a disposizione possiamo tentare di attivare una sperimentazione tecnologica che altrimenti non sarebbe sempre possibile. Abbiamo attinto alle ricerche che abbiamo compiuto per i nostri lavori e le abbiamo travasate in un ambito commerciale e comunicativo più esteso” Studio Azzurro ha sempre promosso collaborazioni tra artisti diversi, in antitesi con la figura dell'artista individuale. Come è stato possibile mantenere la qualità della produzione artistica e insieme il lavoro di collaborazione senza correre il rischio dei conflitti di ego ? “All’interno dello studio quello che ha prevalso è stato un forte rapporto amichevole tra i soci fondatori. Abbiamo dato eguale peso all’impresa che stavamo mettendo in piedi e al livello affettivo delle persone che ci stavano dentro. Non abbiamo fatto un’impresa di soci in affari, eravamo tutti amici e conoscenti. Questo presupposto è stato fondamentale per creare una base di scambio di idee, suggestioni, sentimenti mantenendo quella tolleranza necessaria quando si lavora in gruppo. Quindi questa condizione di luogo di affetto oltre che di lavoro è stato il germe a partire dal quale lo studio si è ingrandito. Essere riusciti a mantenere una certa omogeneità, una certa coerenza di percorso è stato difficile. Il modo con cui lavoriamo e i mezzi con i quali operiamo ci portano spesso a disperderci in mille rivoli e mille contraddizioni. Però credo che il nostro punto di forza sia stato quello di continuare ad elaborare una teoria accanto alla pratica in modo tale da generare una visione complessa che sta alla base di una coerenza praticata su diversi fronti e attraverso linguaggi differenti.” Che effetto fa essere considerato oggi dopo 20 anni di esperienza uno dei pochi ricercatori in Italia? “L’effetto di avere vinto fino ad ora una piccola sfida. Operiamo in un ambito in continua evoluzione in cui sono messe costantemente in gioco le conoscenze e le sperimentazioni perché arrivano nuovi linguaggi, nuovi strumenti, dispositivi.” Come si è evoluto nel corso di due decadi il rapporto con le nuove tecnologie e come è avvenuto il passaggio dall'analogico al digitale? “Questo passaggio è stato molto delicato. Abbiamo cominciato a sperimentare le nuove tecnologie nel periodo delle installazioni interattive. Leonardo e Fabio ed io proveniamo dal mondo analogico per formazione. E’ stato fondamentale l’arrivo nel 1995 di Stefano Croveda esperto dei nuovi media e di nuove tecnologie. Ma abbiamo sempre pensato che la nostra esperienza potesse integrarsi ai nuovi percorsi . La progettazione realizzata attraverso il disegno a mano libera, il patrimonio culturale ereditato e la tradizione storica non possono essere cancellati per sempre di fronte alla frontiera del digitale. A livello internazionale noto che le nostre rassegne mantengono una forte radice di identità italiana alla via digitale. Si può pensare che l’introduzione delle nuove tecnologie produca un processo globalizzante e di omologazione culturale, ma credo che non sia così. Lo sforzo che può venire dal mondo dell’arte è proprio quello di poter contribuire a dare un’identità a un processo generale”. Intorno alla video art italiana negli anni 80 si era raccolto un gruppo di artisti diversi. Che cosa rimane di esso dopo la svolta digitale? “Abbiamo sempre evitato di etichettarci come video artisti. In molti casi si è trattato di una nicchia di persone che somigliava più ad un ghetto che a una nuova corrente. Anche adesso non privilegiamo il rapporto con gli artisti solo perché impiegano le nuove tecnologie. Ci sono gruppi di teatranti e di cineasti che fanno delle cose straordinarie non perché usano nuovi strumenti ma perché trasmettono questo senso di contemporaneità in parte dovuta anche grazie all’uso di tecnologie. Fino ad oggi abbiamo mantenuto un rapporto con quegli artisti che hanno lavorato con i nuovi strumenti, consapevoli che non si trattava degli attrezzi della loro cassetta cioè dei pennelli in più o degli scalpelli nuovo modello, ma con quelle persone che esprimevano uno sguardo più ampio rispetto alla dimensione prettamente funzionale” Spesso in passato avete collaborato con musicisti internazionali come Peter Gordon o Moni Ovadia. Quali sono le vostre fonti di ispirazione musicale oggi ? “Collaboriamo ancora con diversi musicisti contemporanei come Francesconi o Giorgio Battistelli. Sono dei compagni di strada importanti per darci una dimensione di quello che sta mutando nel panorama sonoro. Altrettanto importante è la lezione di Cage dove anche un suono naturale, un rumore può essere contemplato in un universo sonoro. E’ dalla coniugazione di queste due entità quella organizzata in un pensiero e quella casuale che troviamo gli elementi del nostro piccolo universo sonoro” La ricerca estetica di Studio Azzurro ha sempre curato con estrema attenzione l'aspetto della rappresentazione formale. In un'epoca postmoderna di immagini che celebrano fino alla nausea il gioco delle forme fini a se stesse ed il distacco tra forma e contenuto, non c'é il rischio di una fuga estetizzante ? “Credo che l’immagine la si valuti prima di tutto per quanto è viva e poi per quanto è bella, e le due cose non sono inconciliabili. Se mi accorgessi che le cose che facciamo producono immagini morte, allora metterei in discussione il patrimonio estetico di Studio Azzurro” Quali sono i vostri progetti in corso, dove vi incontreremo ? “Abbiamo ancora molti fronti aperti, tra cui diverse installazioni e spettacoli. Un po’ più complesso il nostro percorso nel cinema…necessita tempo, organizzazione e risorse…”