I Martiri di Sant’Orsola di Merisi e di Strozzi a confronto
Alle Gallerie d’Italia l’Ultimo Caravaggio, e la sua fortuna
A Milano ha inaugurato la mostra "L'Ultimo Caravaggio. Eredi e Nuovi Maestri. Napoli, Genova e Milano a confronto | 1610 - 1640" a Gallerie d'Italia fino all'8 aprile 2018. Il Martirio di Sant'Orsola realizzato da Caravaggio nel 1610 è messo a confronto con la tela di analogo soggetto, dipinta da Bernardo Strozzi tra il 1615 e il 1618.
Eleonora Zamparutti
29/11/2017
Milano - Ci sono tutti gli elementi per raccontare una nuova storia, assai inedita, intorno a Caravaggio. La verità è che l’artista lasciò molti contemporanei indifferenti alla sua opera. Parliamo della scena artistica italiana del Seicento, subito dopo la morte del pittore avvenuta nel 1610.
E’ questa, in grande sintesi, la felice intuizione dei curatori della mostra “L’Ultimo Caravaggio. Eredi e Nuovi Maestri” che è stata inaugurata oggi a Milano presso le Gallerie d’Italia in Piazza della Scala e che resterà aperta al pubblico fino all’8 aprile 2018. Un’esposizione da non perdere per capire la portata dirompente dell’artista e vedere con i propri occhi i diversi linguaggi pittorici presenti sulla scena artistica italiana all’inizio del Seicento. La mostra si connette da un punto di vista tematico e temporale con l’esposizione “Dentro Caravaggio” che si svolge in questi giorni a Palazzo Reale fino al 28 Gennaio.
Una sorta di completamento, in attesa che all'inizio del 2018 esca nelle sale cinematografiche il film “Caravaggio – L’Anima e il Sangue”, una produzione targata Sky realizzata con Magnitudo Film e distribuita da Nexo Digital.
Si scopre dunque con una certa sorpresa che subito dopo la morte dell’artista lombardo, le reazioni al suo stile furono alquanto contrastanti: nelle città dove l’artista soggiornò - tra cui Roma, Napoli e l’Italia meridionale - si creò come un’onda travolgente un fenomeno di grande apprezzamento nei confronti del lavoro di Michelangelo Merisi. Molti artisti fecero propria la lezione naturalistica impressa nelle sue tele.
Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, Martirio di Sant'Orsola, 1610, olio su tela, 143 x 180 cm, Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d'Italia - Palazzo Zevallos Stigliano, Napoli
Ma in altri centri urbani, come ad esempio Venezia, Firenze, Genova, Bologna, Torino e persino Milano – dove Caravaggio nacque - si continuò a lungo a dipingere indifferenti rispetto alla lezione del maestro. Addirittura, sull’asse Genova-Milano, città gemellate a quel tempo, artisti di avanguardia come Giulio Cesare Procaccini, Bernardo Strozzi e Pieter Paul Rubens rivolsero il loro sguardo altrove, gettando le basi per una nuova stagione festosa della pittura italiana che sfocerà nel Barocco.
La mostra milanese offre anche un bellissimo racconto sulla vicenda di due grandi collezionisti, due banchieri genovesi: Marco Antonio Doria, legato per affari a Napoli e alla produzione artistica napoletana in stile caravaggesco. Fu lui a commissionare a Caravaggio “Il Martirio di Sant’Orsola”, l’ultima opera realizzata dal maestro seicentesco, esposta oggi alle Gallerie d’Italia e di proprietà della collezione di Banca Intesa presso Palazzo Zevallos di Napoli.
E Giovan Carlo Doria che invece fu grande amante dell’arte contemporanea del suo tempo: possedeva una collezione ricca “de’ più eccellenti maestri del mondo” e nata “per nutrire giovani studiosi in un’Accademia nella propria casa” come raccontano le fonti dell’epoca. Apprezzava molto i pittori lombardi e genovesi, in particolare l’opera di Strozzi e Procaccini, che rimasero piuttosto freddi allo stile di Caravaggio.
Una famiglia, due poli urbani di gravitazione diversi per ragioni di interesse affettivo ed economico, due anime con gusti assai dissimili.
Bernardo Strozzi, Martirio di Sant'Orsola, 1615-18, olio su tela, 104 x 130 cm, Collezione privata. Courtesy of Robilant+Voena.
Si tratta dunque di un’esposizione che, per dirla con le parole di Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo, “non è solo un compendio alla mostra di Palazzo Reale ma è audace e innovativa. Volevamo una mostra che desse rilevanza all’ultima opera di Caravaggio, di cui ci sia attribuzione certa. “Il Martirio di Sant’Orsola” giunse a Genova raggiungendo il suo committente, Marco Antonio Doria, e lì diede vita a numerosi esercizi sullo stesso soggetto da parte dei pittori locali. L’opera destò inizialmente un giudizio negativo, poi in un secondo tempo cominciò la sua grande fortuna”.
Specialmente a partire dal 1640, quando a Genova, questa volta a Palazzo Spinola, giunsero 3 capolavori realizzati dall’olandese Matthias Stom: furono i suoi lavori, dei notturni a lume artificiale, a tradurre il gusto di Caravaggio e a generare una fiammata caravaggesca in città, della quale furono portatori artisti come Orazio De Ferrari e Gioacchino Assereto.
Vale l’ingresso alla mostra, l’accostamento del “Il Martirio di Sant’Orsola”, ultimo dipinto di Caravaggio realizzato nel 1610 poche settimane prima della sua morte, e il Martirio della stessa Santa, opera di Bernardo Strozzi (che certamente aveva visto l’opera del Merisi) prodotta negli anni della sua maturità (1615-18).
Quello che emerge è che a Genova “si dipingeva bene anche senza Caravaggio” come ha affermato Alessandro Morandotti, curatore della mostra. I due quadri si guardano: in entrambi sono raffigurati i carnefici e la vittima. Sono due tele diversissime tra loro nell’interpretazione del soggetto. Caravaggio ha un credo terreno: la sua Santa, di un pallore lunare, sembra voler togliersi con le sue mani la punta della freccia che l’ha trafitta per continuare a vivere. Strozzi invece dipinge una Santa in estasi pronta a entrare nel Regno dei Cieli, con un tripudio di colori che comunicano grande festosità.
Giulio Cesare Procaccini, Ultima Cena, 1618, olio su tela, 490 x 855 cm. Genova, Basilica della Santissima Annunziata del Vastato.
Ancora un’altra chicca: la visita alla mostra offre la possibilità di ammirare da vicino l’Ultima Cena di Procaccini, una monumentale opera di 4 metri di lunghezza proveniente dalla Chiesa della Santissima Annunziata del Vastato a Genova, normalmente collocata a 20 metri d’altezza sulla controfacciata e trasportata a Milano dopo un lungo e articolato lavoro di restauro della tela e del telaio. Dello stesso artista un Martirio di Sant’Orsola, in sintonia con l’opera di Strozzi.
E’ questa, in grande sintesi, la felice intuizione dei curatori della mostra “L’Ultimo Caravaggio. Eredi e Nuovi Maestri” che è stata inaugurata oggi a Milano presso le Gallerie d’Italia in Piazza della Scala e che resterà aperta al pubblico fino all’8 aprile 2018. Un’esposizione da non perdere per capire la portata dirompente dell’artista e vedere con i propri occhi i diversi linguaggi pittorici presenti sulla scena artistica italiana all’inizio del Seicento. La mostra si connette da un punto di vista tematico e temporale con l’esposizione “Dentro Caravaggio” che si svolge in questi giorni a Palazzo Reale fino al 28 Gennaio.
Una sorta di completamento, in attesa che all'inizio del 2018 esca nelle sale cinematografiche il film “Caravaggio – L’Anima e il Sangue”, una produzione targata Sky realizzata con Magnitudo Film e distribuita da Nexo Digital.
Si scopre dunque con una certa sorpresa che subito dopo la morte dell’artista lombardo, le reazioni al suo stile furono alquanto contrastanti: nelle città dove l’artista soggiornò - tra cui Roma, Napoli e l’Italia meridionale - si creò come un’onda travolgente un fenomeno di grande apprezzamento nei confronti del lavoro di Michelangelo Merisi. Molti artisti fecero propria la lezione naturalistica impressa nelle sue tele.
Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, Martirio di Sant'Orsola, 1610, olio su tela, 143 x 180 cm, Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d'Italia - Palazzo Zevallos Stigliano, Napoli
Ma in altri centri urbani, come ad esempio Venezia, Firenze, Genova, Bologna, Torino e persino Milano – dove Caravaggio nacque - si continuò a lungo a dipingere indifferenti rispetto alla lezione del maestro. Addirittura, sull’asse Genova-Milano, città gemellate a quel tempo, artisti di avanguardia come Giulio Cesare Procaccini, Bernardo Strozzi e Pieter Paul Rubens rivolsero il loro sguardo altrove, gettando le basi per una nuova stagione festosa della pittura italiana che sfocerà nel Barocco.
La mostra milanese offre anche un bellissimo racconto sulla vicenda di due grandi collezionisti, due banchieri genovesi: Marco Antonio Doria, legato per affari a Napoli e alla produzione artistica napoletana in stile caravaggesco. Fu lui a commissionare a Caravaggio “Il Martirio di Sant’Orsola”, l’ultima opera realizzata dal maestro seicentesco, esposta oggi alle Gallerie d’Italia e di proprietà della collezione di Banca Intesa presso Palazzo Zevallos di Napoli.
E Giovan Carlo Doria che invece fu grande amante dell’arte contemporanea del suo tempo: possedeva una collezione ricca “de’ più eccellenti maestri del mondo” e nata “per nutrire giovani studiosi in un’Accademia nella propria casa” come raccontano le fonti dell’epoca. Apprezzava molto i pittori lombardi e genovesi, in particolare l’opera di Strozzi e Procaccini, che rimasero piuttosto freddi allo stile di Caravaggio.
Una famiglia, due poli urbani di gravitazione diversi per ragioni di interesse affettivo ed economico, due anime con gusti assai dissimili.
Bernardo Strozzi, Martirio di Sant'Orsola, 1615-18, olio su tela, 104 x 130 cm, Collezione privata. Courtesy of Robilant+Voena.
Si tratta dunque di un’esposizione che, per dirla con le parole di Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo, “non è solo un compendio alla mostra di Palazzo Reale ma è audace e innovativa. Volevamo una mostra che desse rilevanza all’ultima opera di Caravaggio, di cui ci sia attribuzione certa. “Il Martirio di Sant’Orsola” giunse a Genova raggiungendo il suo committente, Marco Antonio Doria, e lì diede vita a numerosi esercizi sullo stesso soggetto da parte dei pittori locali. L’opera destò inizialmente un giudizio negativo, poi in un secondo tempo cominciò la sua grande fortuna”.
Specialmente a partire dal 1640, quando a Genova, questa volta a Palazzo Spinola, giunsero 3 capolavori realizzati dall’olandese Matthias Stom: furono i suoi lavori, dei notturni a lume artificiale, a tradurre il gusto di Caravaggio e a generare una fiammata caravaggesca in città, della quale furono portatori artisti come Orazio De Ferrari e Gioacchino Assereto.
Vale l’ingresso alla mostra, l’accostamento del “Il Martirio di Sant’Orsola”, ultimo dipinto di Caravaggio realizzato nel 1610 poche settimane prima della sua morte, e il Martirio della stessa Santa, opera di Bernardo Strozzi (che certamente aveva visto l’opera del Merisi) prodotta negli anni della sua maturità (1615-18).
Quello che emerge è che a Genova “si dipingeva bene anche senza Caravaggio” come ha affermato Alessandro Morandotti, curatore della mostra. I due quadri si guardano: in entrambi sono raffigurati i carnefici e la vittima. Sono due tele diversissime tra loro nell’interpretazione del soggetto. Caravaggio ha un credo terreno: la sua Santa, di un pallore lunare, sembra voler togliersi con le sue mani la punta della freccia che l’ha trafitta per continuare a vivere. Strozzi invece dipinge una Santa in estasi pronta a entrare nel Regno dei Cieli, con un tripudio di colori che comunicano grande festosità.
Giulio Cesare Procaccini, Ultima Cena, 1618, olio su tela, 490 x 855 cm. Genova, Basilica della Santissima Annunziata del Vastato.
Ancora un’altra chicca: la visita alla mostra offre la possibilità di ammirare da vicino l’Ultima Cena di Procaccini, una monumentale opera di 4 metri di lunghezza proveniente dalla Chiesa della Santissima Annunziata del Vastato a Genova, normalmente collocata a 20 metri d’altezza sulla controfacciata e trasportata a Milano dopo un lungo e articolato lavoro di restauro della tela e del telaio. Dello stesso artista un Martirio di Sant’Orsola, in sintonia con l’opera di Strozzi.
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