Duecento anni fa la scoperta sull’isola greca
Buon compleanno, Venere di Milo!
Venere di Milo, Parigi, Louvre | Foto: Shawn Lipowski (Shawnlipowski), Distracting background masked out and levels adjusted, Fuji F11 Camera at ISO 1600, 15 July 2006, via Wikimedia Creative Commons
Francesca Grego
07/04/2020
Mondo - Esattamente 200 anni fa, l’8 aprile del 1820, veniva alla luce una leggenda. Sull’isola greca di Milos, un contadino che lavorava il suo campo nei pressi del teatro antico rinvenne nel sottosuolo qualcosa di molto diverso da un tubero. Immensa fu la sorpresa di Yorgos Kentrotas quando, scavando attorno a quello che sembrava un enorme masso, vide emergere una donna bellissima, di abbagliante candore. Ricomposta e messa in piedi nei suoi due metri di altezza, la Venere di Milo salutava il mondo con il corpo statuario privo di braccia, nudo dai fianchi in su e coperto in basso da un telo drappeggiato. La caccia si scatenò di lì a poco: greci e francesi si contesero il ritrovamento tra aspre battaglie diplomatiche, arrivando a minacciare interventi armati.
L’opera era già prossima a diventare un’icona. Archetipo di bellezza immortale, avrebbe ispirato schiere di artisti da Delacroix (La Libertà guida il popolo) a Dalì (La Venere di Milo con cassetti). L’unico a distinguersi dal coro fu Pierre-Auguste Renoir che, giudicandone la figura troppo rigida, la definì senza complimenti “un gran gendarme”. “Era uguale a Prometeo colui che seppe rapire alla natura la vita che adoriamo nella Venere di Milo”, scrisse invece lo scultore Auguste Rodin agli inizi del Novecento. Più tardi perfino Miles Davis le dedicherà un brano jazz - Venus de Milo, composto da Gerry Mulligan - e il fascino conturbante della statua senza braccia raggiungerà il cinema e la tv, con le citazioni di David Lynch nei Segreti di Twin Peaks o di Bernardo Bertolucci in The Dreamers.
Venus in the crowd | Foto: Peter Rivera via Flikckr
Un capolavoro dalla storia travagliata
La bella Venere lasciò la sua isola a bordo di una nave da guerra francese dopo una lunga trattativa. Quando, dopo l’acquisto da parte dell’ambasciatore a Costantinopoli de Rivière, i funzionari si presentarono a Milos per ritirarla, scoprirono che era stata consegnata a un monaco armeno che voleva donarla a un principe greco. Ci vollero due giorni per convincerlo a desistere, mentre un bastimento inglese si aggirava attorno alla costa, secondo le fonti dell’epoca minacciando di inserirsi nella gara.
La nuova casa della Venere di Milo, manco a dirlo, fu il Louvre, dove la statua si trova tuttora. Qui c’era da colmare il vuoto lasciato dalla preziosissima Venere de’ Medici, portata in Francia da Napoleone e restituita al Granducato di Toscana nel 1815 con la Restaurazione. Di qui il clamore e la propaganda battente delle autorità francesi intorno alla nuova arrivata.
Ma anche al museo scoppiò una vivacissima disputa: come restaurare la statua? Insieme al corpo diviso in tre pezzi - busto, gambe con panneggio e parte superiore dei capelli - erano giunti a Parigi alcuni frammenti ritrovati nel medesimo terreno: un avambraccio in pessimo stato, la metà di una mano che regge una mela e tre erme, rispettivamente di Eracle, Hermes e Dioniso. Appartenevano alla stessa scultura? Intanto il marchese de Rivière aveva donato la statua a Luigi XVIII: fu attribuita al sovrano la decisione di non restaurarla affatto.
Venere di Milo, Parigi, Louvre | Foto: Livioandronico2013 (Own work), via Wikimedia Creative Commons
Che fine hanno fatto le braccia della Venere di Milo?
Una leggenda narra che la statua avrebbe perso le braccia durante una rissa sulla spiaggia di Milos, mentre il visconte Marcellus, segretario dell’ambasciata francese a Costantinopoli, minacciava di far intervenire le forze navali. In realtà sappiamo che la scultura fu ritrovata senza braccia. Uno dei frammenti rinvenuti nelle vicinanze sembra fornire indicazioni sul suo aspetto originario. Si trattava probabilmente di una Venere Vincitrice, ovvero di una rappresentazione della dea con in mano il Pomo della Discordia, assegnatole in premio dal principe Paride nella gara per il primato della bellezza contro Artemide e Pallade Atena: l’episodio fatale che secondo la mitologia greca diede origine alla famigerata Guerra di Troia. Ma, a quanto pare, le braccia non sono gli unici pezzi mancanti nella statua, che originariamente era ornata da orecchini, un bracciale e una fascia d’oro intorno alla testa.
Come fu lavorata e trasportata la Venere di Milo?
Scolpita in candido marmo pario, con i suoi 202 di altezza la Venere di Milo ha un peso e un volume ragguardevoli. Con i mezzi di più di duemila di anni fa, anche per i greci realizzarla e trasportarla non fu certo uno scherzo. Ma l’autore di tanta bellezza si dimostrò anche un artigiano ingegnoso: lavorò la scultura in due blocchi separati, uno corrispondente alla veste, l’altro al nudo, facendoli combaciare perfettamente. Il taglio del marmo, per chi volesse andarlo a cercare, si mimetizza molto bene tra le pieghe del lenzuolo che avvolge i fianchi della dea.
Venere di Milo, Particolare della giunzione dei due blocchi con le linee di rottura dei frammenti dell'anca | Foto: Jastrow via Wikimedia Creative Commons
La Venere di Milo è davvero così antica e pregiata?
Per i francesi l’acquisto della statua fu prima di tutto una questione di prestigio. Di qui il tentativo iniziale di collocarla nel IV secolo a. C., l’età d’oro dell’arte greca, e di attribuirla a Prassitele, il principe degli scultori. Per questo motivo, secondo alcuni, fu fatto sparire il piedistallo ritrovato nel campo di Kentrotas: un’iscrizione riconduceva l’opera ad “Alessandro figlio di Menide, cittadino di Antiochia sul Meandro”. La fondazione di Antiochia risaliva infatti soltanto al IIII secolo, facendo saltare la datazione della Venere di Milo dal glorioso Periodo Classico all’Ellenismo, con una diminutio del valore artistico.
L’ipotesi oggi più accreditata è che la statua sia stata creata da Alessandro di Antiochia, uno scultore attivo intorno al 100 a.C.: nonostante la postura di derivazione classica richiami il chiasmo di Policleto, l’atteggiamento naturale della dea non ha nulla a che fare con la compostezza eroica delle Veneri dei secoli precedenti. Una nuova era è iniziata nel segno del dinamismo, delle emozioni, di virtuosismi e chiaroscuri raffinati.
Leggi anche:
• La bellezza secondo Canova: Paolina Borghese come Venere Vincitrice
• La Nascita di Venere di Botticelli: l’amore e la bellezza come fonte di rinascita
• A me gli occhi: la Venere di Urbino e la seduzione dello sguardo
L’opera era già prossima a diventare un’icona. Archetipo di bellezza immortale, avrebbe ispirato schiere di artisti da Delacroix (La Libertà guida il popolo) a Dalì (La Venere di Milo con cassetti). L’unico a distinguersi dal coro fu Pierre-Auguste Renoir che, giudicandone la figura troppo rigida, la definì senza complimenti “un gran gendarme”. “Era uguale a Prometeo colui che seppe rapire alla natura la vita che adoriamo nella Venere di Milo”, scrisse invece lo scultore Auguste Rodin agli inizi del Novecento. Più tardi perfino Miles Davis le dedicherà un brano jazz - Venus de Milo, composto da Gerry Mulligan - e il fascino conturbante della statua senza braccia raggiungerà il cinema e la tv, con le citazioni di David Lynch nei Segreti di Twin Peaks o di Bernardo Bertolucci in The Dreamers.
Venus in the crowd | Foto: Peter Rivera via Flikckr
Un capolavoro dalla storia travagliata
La bella Venere lasciò la sua isola a bordo di una nave da guerra francese dopo una lunga trattativa. Quando, dopo l’acquisto da parte dell’ambasciatore a Costantinopoli de Rivière, i funzionari si presentarono a Milos per ritirarla, scoprirono che era stata consegnata a un monaco armeno che voleva donarla a un principe greco. Ci vollero due giorni per convincerlo a desistere, mentre un bastimento inglese si aggirava attorno alla costa, secondo le fonti dell’epoca minacciando di inserirsi nella gara.
La nuova casa della Venere di Milo, manco a dirlo, fu il Louvre, dove la statua si trova tuttora. Qui c’era da colmare il vuoto lasciato dalla preziosissima Venere de’ Medici, portata in Francia da Napoleone e restituita al Granducato di Toscana nel 1815 con la Restaurazione. Di qui il clamore e la propaganda battente delle autorità francesi intorno alla nuova arrivata.
Ma anche al museo scoppiò una vivacissima disputa: come restaurare la statua? Insieme al corpo diviso in tre pezzi - busto, gambe con panneggio e parte superiore dei capelli - erano giunti a Parigi alcuni frammenti ritrovati nel medesimo terreno: un avambraccio in pessimo stato, la metà di una mano che regge una mela e tre erme, rispettivamente di Eracle, Hermes e Dioniso. Appartenevano alla stessa scultura? Intanto il marchese de Rivière aveva donato la statua a Luigi XVIII: fu attribuita al sovrano la decisione di non restaurarla affatto.
Venere di Milo, Parigi, Louvre | Foto: Livioandronico2013 (Own work), via Wikimedia Creative Commons
Che fine hanno fatto le braccia della Venere di Milo?
Una leggenda narra che la statua avrebbe perso le braccia durante una rissa sulla spiaggia di Milos, mentre il visconte Marcellus, segretario dell’ambasciata francese a Costantinopoli, minacciava di far intervenire le forze navali. In realtà sappiamo che la scultura fu ritrovata senza braccia. Uno dei frammenti rinvenuti nelle vicinanze sembra fornire indicazioni sul suo aspetto originario. Si trattava probabilmente di una Venere Vincitrice, ovvero di una rappresentazione della dea con in mano il Pomo della Discordia, assegnatole in premio dal principe Paride nella gara per il primato della bellezza contro Artemide e Pallade Atena: l’episodio fatale che secondo la mitologia greca diede origine alla famigerata Guerra di Troia. Ma, a quanto pare, le braccia non sono gli unici pezzi mancanti nella statua, che originariamente era ornata da orecchini, un bracciale e una fascia d’oro intorno alla testa.
Come fu lavorata e trasportata la Venere di Milo?
Scolpita in candido marmo pario, con i suoi 202 di altezza la Venere di Milo ha un peso e un volume ragguardevoli. Con i mezzi di più di duemila di anni fa, anche per i greci realizzarla e trasportarla non fu certo uno scherzo. Ma l’autore di tanta bellezza si dimostrò anche un artigiano ingegnoso: lavorò la scultura in due blocchi separati, uno corrispondente alla veste, l’altro al nudo, facendoli combaciare perfettamente. Il taglio del marmo, per chi volesse andarlo a cercare, si mimetizza molto bene tra le pieghe del lenzuolo che avvolge i fianchi della dea.
Venere di Milo, Particolare della giunzione dei due blocchi con le linee di rottura dei frammenti dell'anca | Foto: Jastrow via Wikimedia Creative Commons
La Venere di Milo è davvero così antica e pregiata?
Per i francesi l’acquisto della statua fu prima di tutto una questione di prestigio. Di qui il tentativo iniziale di collocarla nel IV secolo a. C., l’età d’oro dell’arte greca, e di attribuirla a Prassitele, il principe degli scultori. Per questo motivo, secondo alcuni, fu fatto sparire il piedistallo ritrovato nel campo di Kentrotas: un’iscrizione riconduceva l’opera ad “Alessandro figlio di Menide, cittadino di Antiochia sul Meandro”. La fondazione di Antiochia risaliva infatti soltanto al IIII secolo, facendo saltare la datazione della Venere di Milo dal glorioso Periodo Classico all’Ellenismo, con una diminutio del valore artistico.
L’ipotesi oggi più accreditata è che la statua sia stata creata da Alessandro di Antiochia, uno scultore attivo intorno al 100 a.C.: nonostante la postura di derivazione classica richiami il chiasmo di Policleto, l’atteggiamento naturale della dea non ha nulla a che fare con la compostezza eroica delle Veneri dei secoli precedenti. Una nuova era è iniziata nel segno del dinamismo, delle emozioni, di virtuosismi e chiaroscuri raffinati.
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