Dal 12 dicembre al 17 giugno
Il Museo di Capodimonte dà "carta bianca" a dieci vip: allestiranno il loro museo ideale
Annibale Carracci, Rinaldo e Armida, 1601 ca. olio su tela, 233 x 154 cm, Napoli, Museo di Capodimonte © Foto Alessio Cuccaro
Samantha De Martin
12/12/2017
Napoli - Immaginate una neurologa, un industriale, un direttore d’orchestra - Riccardo Muti - accanto a Giulio Paolini, Vittorio Sgarbi, Francesco Vezzoli, tra le sale del Museo di Capodimonte, allestite per l’occasione da dieci curatori d’eccezione.
Il Museo napoletano diretto da Sylvain Bellenger offre carta bianca ad alcuni protagonisti della cultura che hanno accettato la sfida di ripensare la logica del museo, seguendo le impronte di illustri maestri - da Umberto Eco a Orhan Pamuk - offrendo libero sfogo alla semantica dello sguardo e scartando le ricchissime collezioni attraverso la diversità delle singole esperienze.
«Abbiamo invitato - spiegano gli organizzatori - dieci visitatori ideali, ognuno con un proprio universo indipendente di saperi, interessi, inclinazioni, sensibilità e formazione, anche lontani dall’universo del museo, a raccontarci, assecondando ciascuno il proprio sguardo, un’altra visione e un’altra storia del museo, dell’arte e del mondo».
Ogni curatore avrà pertanto la propria sala da allestire dopo aver avuto “carta bianca” scegliendo un’opera tra le 47mila della collezione di Capodimonte.
Nei dieci ambienti che accompagnano il percorso espositivo, visitabile dal 12 dicembre al 17 giugno, i dieci protagonisti hanno potuto così immaginare l'allestimento in libertà assoluta e consegnare al pubblico la propria interpretazione del filo conduttore proposto. Unico obbligo: argomentare la scelta e il senso della sala/mostra.
Una video intervista - cui si accede tramite un’applicazione scaricabile dallo smarthpone, scannerizzando le fotografie dei curatori collocate all’ingresso di ogni sala - consentirà ai visitatori di comprendere il senso di ciascuna interpretazione. Ma c’è anche un undicesimo “curatore” in questo inusuale percorso espositivo, ed è il pubblico, invitato a scegliere da una a dieci opere dell’intera collezione e a immaginare la propria sala-mostra da proporre sui social media del museo, partecipando al contest #LamiaCartaBianca. La migliore selezione di opere, secondo una giuria composta dai dieci autori di Carta Bianca e presieduta dal direttore Sylvain Bellenger, sarà allestita in uno spazio del museo.
Dalla prima sala, nella quale Vittorio Sgarbi racconta l’intreccio della sua biografia storico-artistica con la collezione di Capodimonte, attraverso un percorso tra grandi capolavori del Museo - da Lotto a Guido Reni - che hanno, in modo diverso, attraversato la sua formazione - il visitatore viene condotto attraverso la scelta dello storico Marc Fumaroli, che si concentra su una selezione di opere di arte napoletana del Seicento riflettendo - attraverso il confronto tra le tele di Bernardo Cavallino, di Jusepe de Ribera e Massimo Stanzione - sul dualismo miseria e povertà, aristocratico e popolare. E se l’architetto Paolo Pejrone focalizza il proprio sguardo su paesaggi e vedute, a partire dal tema dell’ombra e dei boschi, scegliendo di “aprire” nella propria sala un ‘varco’ in una parete per creare uno sbocco naturale della stanza sul Real Bosco, la neurologa Laura Bossi Régnier dedica la sua sala al rapporto tra la scimmia e l’uomo, attraverso le tele di Agostino Carracci e Paolo de Matteis. Giulio Paolini preferisce invece creare un’opera ad hoc che racchiude idealmente tutte le opere della collezione di Capodimonte. Se le scelte dell’industriale Gianfranco D’Amato sono ispirate alla sfera emozionale e quelle di Giuliana Bruno, professore di Visual and Environmental Studies di Harvard, ricadono su opere e manufatti connessi agli oggetti della quotidianità, l’antropologa Mariella Pandolfi riflette sulla dimensione della temporalità come dissonanza, sul tempo indefinito dell’evento, secondo la definizione del filosofo Gilles Deleuze. Ed è per questo che opta per quattro opere incentrate su scene di lotta o di grande tensione amorosa, come l’enorme arazzo della Battaglia di Pavia e La strage degli Innocenti di Matteo Di Giovanni, Perseo e Medusa di Luca Giordano, Rinaldo e Armida di Annibale Carracci.
Ricade invece su un’unica opera, la Crocifissione di Masaccio, la scelta di Riccardo Muti. Il maestro, infatti, da tempo folgorato dalla piccola tavola, invita alla contemplazione restituendo al pubblico un’appassionata interpretazione della Maddalena, i cui i colori - dal mantello rosso fuoco ai capelli, sciolti e insolitamente biondi - «risultano in fortissimo contrasto con le altre due figure e con Cristo stesso».
Francesco Vezzoli traccia, infine, un percorso che abbraccia i suoi recenti interventi scultorei. Dieci coppie di busti si fronteggiano disposti in un corridoio, instaurando dialoghi basati sugli incroci degli sguardi, in un gioco di incontri impossibili. L’introduzione spetta a un gesso del Canova che raffigura la madre di Napoleone Bonaparte e ad Apollo e Marsia di Luca Giordano. Chiude il percorso un Autoritratto come Apollo che uccide il satiro Marsia di Vezzoli.
Carta Bianca non fa altro che riconoscere e mettere in mostra quel vivace, stimolante processo che si compie ogni giorno durante l’incontro tra il museo e il visitatore e che trova compimento nell’ appropriazione personale di un patrimonio di oggetti, valori, storie comuni. Un processo simile a quello che avvicina il lettore al contenuto di un libro e che rappresenta la vera bellezza dell’affascinante percorso alla scoperta dell’opera d’arte.
Leggi anche:
• Carta Bianca. capodimonte. Imaginaire
• Capodimonte dopo Vermeer
Il Museo napoletano diretto da Sylvain Bellenger offre carta bianca ad alcuni protagonisti della cultura che hanno accettato la sfida di ripensare la logica del museo, seguendo le impronte di illustri maestri - da Umberto Eco a Orhan Pamuk - offrendo libero sfogo alla semantica dello sguardo e scartando le ricchissime collezioni attraverso la diversità delle singole esperienze.
«Abbiamo invitato - spiegano gli organizzatori - dieci visitatori ideali, ognuno con un proprio universo indipendente di saperi, interessi, inclinazioni, sensibilità e formazione, anche lontani dall’universo del museo, a raccontarci, assecondando ciascuno il proprio sguardo, un’altra visione e un’altra storia del museo, dell’arte e del mondo».
Ogni curatore avrà pertanto la propria sala da allestire dopo aver avuto “carta bianca” scegliendo un’opera tra le 47mila della collezione di Capodimonte.
Nei dieci ambienti che accompagnano il percorso espositivo, visitabile dal 12 dicembre al 17 giugno, i dieci protagonisti hanno potuto così immaginare l'allestimento in libertà assoluta e consegnare al pubblico la propria interpretazione del filo conduttore proposto. Unico obbligo: argomentare la scelta e il senso della sala/mostra.
Una video intervista - cui si accede tramite un’applicazione scaricabile dallo smarthpone, scannerizzando le fotografie dei curatori collocate all’ingresso di ogni sala - consentirà ai visitatori di comprendere il senso di ciascuna interpretazione. Ma c’è anche un undicesimo “curatore” in questo inusuale percorso espositivo, ed è il pubblico, invitato a scegliere da una a dieci opere dell’intera collezione e a immaginare la propria sala-mostra da proporre sui social media del museo, partecipando al contest #LamiaCartaBianca. La migliore selezione di opere, secondo una giuria composta dai dieci autori di Carta Bianca e presieduta dal direttore Sylvain Bellenger, sarà allestita in uno spazio del museo.
Dalla prima sala, nella quale Vittorio Sgarbi racconta l’intreccio della sua biografia storico-artistica con la collezione di Capodimonte, attraverso un percorso tra grandi capolavori del Museo - da Lotto a Guido Reni - che hanno, in modo diverso, attraversato la sua formazione - il visitatore viene condotto attraverso la scelta dello storico Marc Fumaroli, che si concentra su una selezione di opere di arte napoletana del Seicento riflettendo - attraverso il confronto tra le tele di Bernardo Cavallino, di Jusepe de Ribera e Massimo Stanzione - sul dualismo miseria e povertà, aristocratico e popolare. E se l’architetto Paolo Pejrone focalizza il proprio sguardo su paesaggi e vedute, a partire dal tema dell’ombra e dei boschi, scegliendo di “aprire” nella propria sala un ‘varco’ in una parete per creare uno sbocco naturale della stanza sul Real Bosco, la neurologa Laura Bossi Régnier dedica la sua sala al rapporto tra la scimmia e l’uomo, attraverso le tele di Agostino Carracci e Paolo de Matteis. Giulio Paolini preferisce invece creare un’opera ad hoc che racchiude idealmente tutte le opere della collezione di Capodimonte. Se le scelte dell’industriale Gianfranco D’Amato sono ispirate alla sfera emozionale e quelle di Giuliana Bruno, professore di Visual and Environmental Studies di Harvard, ricadono su opere e manufatti connessi agli oggetti della quotidianità, l’antropologa Mariella Pandolfi riflette sulla dimensione della temporalità come dissonanza, sul tempo indefinito dell’evento, secondo la definizione del filosofo Gilles Deleuze. Ed è per questo che opta per quattro opere incentrate su scene di lotta o di grande tensione amorosa, come l’enorme arazzo della Battaglia di Pavia e La strage degli Innocenti di Matteo Di Giovanni, Perseo e Medusa di Luca Giordano, Rinaldo e Armida di Annibale Carracci.
Ricade invece su un’unica opera, la Crocifissione di Masaccio, la scelta di Riccardo Muti. Il maestro, infatti, da tempo folgorato dalla piccola tavola, invita alla contemplazione restituendo al pubblico un’appassionata interpretazione della Maddalena, i cui i colori - dal mantello rosso fuoco ai capelli, sciolti e insolitamente biondi - «risultano in fortissimo contrasto con le altre due figure e con Cristo stesso».
Francesco Vezzoli traccia, infine, un percorso che abbraccia i suoi recenti interventi scultorei. Dieci coppie di busti si fronteggiano disposti in un corridoio, instaurando dialoghi basati sugli incroci degli sguardi, in un gioco di incontri impossibili. L’introduzione spetta a un gesso del Canova che raffigura la madre di Napoleone Bonaparte e ad Apollo e Marsia di Luca Giordano. Chiude il percorso un Autoritratto come Apollo che uccide il satiro Marsia di Vezzoli.
Carta Bianca non fa altro che riconoscere e mettere in mostra quel vivace, stimolante processo che si compie ogni giorno durante l’incontro tra il museo e il visitatore e che trova compimento nell’ appropriazione personale di un patrimonio di oggetti, valori, storie comuni. Un processo simile a quello che avvicina il lettore al contenuto di un libro e che rappresenta la vera bellezza dell’affascinante percorso alla scoperta dell’opera d’arte.
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