A Reggio Calabria, nel museo dei capolavori confiscati
Dalla cucina dell'imprenditore al Palazzo della Cultura: quelle tele di Fontana, de Chirico, Dalì restituite allo Stato
Una sala del Palazzo della Cultura “Pasquino Crupi”. Courtesy of Palazzo della Cultura
Samantha De Martin
08/01/2018
Reggio Calabria - E pensare che, prima della confisca, una tela di Cappelli era custodita in bagno, un Ligabue si trovava sotto il letto, un Dalì tra i vapori della cucina, mentre le Ballerine di Massimo Campigli e un Fontana erano distribuiti tra il corridoio e le stanze di uno dei tanti appartamenti dell’ex “re dei videopoker”, Gioacchino Campolo, imprenditore reggino, oggi agli arresti domiciliari, che per anni ha gestito il gioco e il riciclaggio per conto dei clan. Adesso le sue opere d’arte, acquistate con denaro di provenienza illegale, accolgono i visitatori all’interno di un museo ancora poco noto ai turisti, che non ha nulla da invidiare a una grande galleria d’arte moderna. Anzi, vanta anche una location dalla suggestiva storia, trattandosi di un ex brefotrofio costruito negli anni Venti, bombardato nel 1943 e riconvertito, negli anni Ottanta, a sede della facoltà di Ingegneria. Ma andiamo per gradi.
C’è un piccolo scrigno di Novecento nel cuore di Reggio Calabria, non lontano dal Museo dei Bronzi di Riace, riconsegnato allo Stato da poco più di un anno. Un’icona di arte e legalità, simbolo di un riscatto possibile in una terra in cui le cronache scritte dalla malavita hanno da sempre avuto la meglio sulle pagine disegnate dall’arte e dalla cospicua eredità della civiltà magnogreca. Intitolato all’intellettuale meridionalista Pasquino Crupi, il Palazzo della Cultura è un museo istituito il 7 maggio del 2016 e che sta ingrandendo le sue sale a colpi di giustizia e donazioni.
A volerlo fortemente nell’edificio di via Cuzzocrea era stato l’allora Assessore provinciale alla Cultura e Legalità, Edoardo Lamberti Castronuovo. Fin qui notizia non nuova, certo, visto che l’inaugurazione, avvenuta nell’ambito degli Stati Generali della Cultura, risale a oltre un anno fa. Quello che è nuovo è che pochi turisti - in visita al ben più noto Museo Archeologico - conoscono, nel suo insieme, la storia di questo museo, l’unico in città ad accogliere opere d’arte moderna e non solo, originatosi da una collezione privata confiscata. E poi, al piano terra dell’edificio, c’è anche il piccolo Museo San Paolo, con le sue preziose icone, tra le quali un San Giorgio con il volto sfregiato, attribuito ad Antonello da Messina, un bozzetto di Raffaello e una Madonna con bambino di Cima da Conegliano.
Aggirandosi tra i tre piani dell’edificio - tra sale intitolate a illustri personaggi reggini e calabresi, tra i capolavori confiscati, 124 opere, delle quali 96 riconosciute come autentiche, tra tele di de Chirico, Campigli, Carrà, Ligabue, Cascella, tra la Collezione Guglielmo Calarco, tra le opere realizzate da artisti calabresi e non solo - fino a raggiungere una bellissima mappa sismica realizzata nel 1784 con fogli di carta assemblati da un frate incaricato di effettuare un censimento di tutto quello che restava in Calabria dopo il terremoto, la sensazione iniziale, varcato il portone del vecchio edificio, è quella di trovarsi in un ambiente familiare. Sarà forse merito dell’albero di Natale, addobbato con gusto, o dell’appassionata spiegazione con la quale Antonella e Teresa, le ragazze dell’Associazione culturale Meissa - responsabili della didattica in sinergia con il Palazzo di competenza della Città metropolitana - ci accompagnano tra un’Annunciazione del XVI secolo e una bellissima croce in avorio del Seicento attribuita allo scultore Alessandro Algardi. O forse è merito dell’impegno con cui la direttrice del Palazzo della Cultura, Anna Maria Franco, auspica, un giorno, tempi migliori per la struttura, al momento sprovvista anche di un’adeguata segnaletica in città. «Anche se il più delle volte siamo noi a prendere scopa e paletta per assicurare la pulizia in questo luogo magico che percepiamo ormai come nostro, auspichiamo che il Palazzo possa un giorno diventare molto più di un museo, magari un luogo di studio, di ritrovo e confronto, che possa assistere al gravitare di altre attività, e fungere da stimolo culturale per quei giovani che scelgono di intrattenere con le opere o con i libri presenti nella nostra biblioteca un dialogo sempre più intenso» commenta la direttrice. Che aggiunge: «Nell’anno appena conclusosi, i visitatori del Palazzo della Cultura sono stati circa 6300».
All’interno di questa collezione sottratta alla malavita e restituita alla libera fruizione, il cui valore ammonta a 4 milioni di euro, non mancano opere - tra queste anche una Natura morta di Guttuso, un Picasso e uno Schifano - rifilate al potente collezionista, ma riconosciute come false, e altre la cui autenticità è ancora in fase di studio.
Tra un Cascella, una Trinitas Terrestris con santi del XVIII secolo e una Madonna ottocentesca finemente raffigurata su seta, tra la Vanità del pittore olandese Godfried Schalcken, con le immancabili fiaccole che ne connotano le tele, e un’icona russa che riproduce, come in un fumetto, la vita di San Nicola, il percorso tra le opere confiscate è un viaggio incalzante e vivace.
Al posto della tela del pittore Norberto Proietti, anche questa parte del tesoretto illegale, oggi un avviso segnala che il quadro, venduto al re dei videopoker dopo essere stato evidentemente trafugato, si trova ora in casa dei legittimi proprietari che lo avrebbero riconosciuto, per ironia della sorte, proprio durante l’inaugurazione del Palazzo.
Passeggiando tra la Milly al caffè di Aligi Sassu e un volto di donna di Antonio Bueno, fortemente ispirato dai lavori di Botero, ci si imbatte nel Pesce sulla spiaggia di Giovanni Omiccioli, esponente, insieme a Renato Guttuso, della scuola pittorica di Scilla, attratta dalla vita dei pescatori del piccolo borgo calabrese, ma anche nel Capanno sulla riva di Carlo Carrà e in un Paesaggio con alberi gialli di Ottone Rosai.
Si contendono lo sguardo una tela con i celebri tagli di Fontana, i giochi di luci e ombre di Agostino Bonalumi, una Piazza d’Italia di de Chirico, i Nudi di donne di Fausto Pirandello e ancora Fuente de vita e Romeo e Giulietta di Salvador Dalì.
Eppure, in questo cantuccio d’arte e legalità nel cuore di Reggio, c’è ancora molto da fare, al fine di consentire allo sguardo di frugare al meglio tra tele e Madonne, alcune delle quali, come può cogliere anche un occhio poco esperto, presentano piccoli collassi e un certo danneggiamento delle cornici, necessitando di urgenti interventi di restauro, oltre che di un’illuminazione più adeguata, in grado di valorizzarne i soggetti. Eppure, al momento, l’associazione Meissa e la direzione del Palazzo sembrano lavorare, in sinergia sì, ma sole.
Proseguendo con la visita al Palazzo della Cultura, si notano alcune sale, cui si aggiungono i corridoi, riservate alle giovani promesse, calabresi e non, che hanno la possibilità di esporre per sei mesi, tele, sculture, fotografie.
In questo poliedrico viaggio nell’arte, che si apre con le opere confiscate, per allargarsi ai mosaici, al terzo piano, realizzati dai detenuti del carcere di Reggio, e ancora alla biblioteca, che un testo del 1789 come fiore all’occhiello, fino allo spazio, sempre all’ultimo piano del palazzo, che ospita i plastici ferroviari, tra i quali un modellino degli anni Cinquanta donato dalla famiglia Vitrioli, la sesazione, più che di straniamento, per pezzi e oggetti così diversi, è di piacevole sorpresa.
Per chi volesse addentrarsi in questa esperienza all’insegna dell’arte, il Palazzo-museo è aperto tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle 9.30 alle 13 e dalle 15.30 alle 18. Al momento manca ancora il sito ufficiale, che, come assicura la direttrice, è in cantiere grazie all’impegno dei ragazzi dell’alternanza scuola-lavoro.
Tralasciando auspici e responsabilità, quello che emerge dalla passeggiata tra le sale di questo caratteristico spazio espositivo che accoglie l’arte “liberata” dal giogo della malavita, è il ruolo fortemente “etico” di questo monumento alla legalità che, tra i tagli di Fontana, le donne di Cappelli, i paesaggi di Cascella e le favole di Raffaele De Rosa, emerge luminosa. Come le candele rassicuranti di Godfried Schalcken o la luna di Raimondo Scoppa che brilla sul Golfo di Napoli.
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C’è un piccolo scrigno di Novecento nel cuore di Reggio Calabria, non lontano dal Museo dei Bronzi di Riace, riconsegnato allo Stato da poco più di un anno. Un’icona di arte e legalità, simbolo di un riscatto possibile in una terra in cui le cronache scritte dalla malavita hanno da sempre avuto la meglio sulle pagine disegnate dall’arte e dalla cospicua eredità della civiltà magnogreca. Intitolato all’intellettuale meridionalista Pasquino Crupi, il Palazzo della Cultura è un museo istituito il 7 maggio del 2016 e che sta ingrandendo le sue sale a colpi di giustizia e donazioni.
A volerlo fortemente nell’edificio di via Cuzzocrea era stato l’allora Assessore provinciale alla Cultura e Legalità, Edoardo Lamberti Castronuovo. Fin qui notizia non nuova, certo, visto che l’inaugurazione, avvenuta nell’ambito degli Stati Generali della Cultura, risale a oltre un anno fa. Quello che è nuovo è che pochi turisti - in visita al ben più noto Museo Archeologico - conoscono, nel suo insieme, la storia di questo museo, l’unico in città ad accogliere opere d’arte moderna e non solo, originatosi da una collezione privata confiscata. E poi, al piano terra dell’edificio, c’è anche il piccolo Museo San Paolo, con le sue preziose icone, tra le quali un San Giorgio con il volto sfregiato, attribuito ad Antonello da Messina, un bozzetto di Raffaello e una Madonna con bambino di Cima da Conegliano.
Aggirandosi tra i tre piani dell’edificio - tra sale intitolate a illustri personaggi reggini e calabresi, tra i capolavori confiscati, 124 opere, delle quali 96 riconosciute come autentiche, tra tele di de Chirico, Campigli, Carrà, Ligabue, Cascella, tra la Collezione Guglielmo Calarco, tra le opere realizzate da artisti calabresi e non solo - fino a raggiungere una bellissima mappa sismica realizzata nel 1784 con fogli di carta assemblati da un frate incaricato di effettuare un censimento di tutto quello che restava in Calabria dopo il terremoto, la sensazione iniziale, varcato il portone del vecchio edificio, è quella di trovarsi in un ambiente familiare. Sarà forse merito dell’albero di Natale, addobbato con gusto, o dell’appassionata spiegazione con la quale Antonella e Teresa, le ragazze dell’Associazione culturale Meissa - responsabili della didattica in sinergia con il Palazzo di competenza della Città metropolitana - ci accompagnano tra un’Annunciazione del XVI secolo e una bellissima croce in avorio del Seicento attribuita allo scultore Alessandro Algardi. O forse è merito dell’impegno con cui la direttrice del Palazzo della Cultura, Anna Maria Franco, auspica, un giorno, tempi migliori per la struttura, al momento sprovvista anche di un’adeguata segnaletica in città. «Anche se il più delle volte siamo noi a prendere scopa e paletta per assicurare la pulizia in questo luogo magico che percepiamo ormai come nostro, auspichiamo che il Palazzo possa un giorno diventare molto più di un museo, magari un luogo di studio, di ritrovo e confronto, che possa assistere al gravitare di altre attività, e fungere da stimolo culturale per quei giovani che scelgono di intrattenere con le opere o con i libri presenti nella nostra biblioteca un dialogo sempre più intenso» commenta la direttrice. Che aggiunge: «Nell’anno appena conclusosi, i visitatori del Palazzo della Cultura sono stati circa 6300».
All’interno di questa collezione sottratta alla malavita e restituita alla libera fruizione, il cui valore ammonta a 4 milioni di euro, non mancano opere - tra queste anche una Natura morta di Guttuso, un Picasso e uno Schifano - rifilate al potente collezionista, ma riconosciute come false, e altre la cui autenticità è ancora in fase di studio.
Tra un Cascella, una Trinitas Terrestris con santi del XVIII secolo e una Madonna ottocentesca finemente raffigurata su seta, tra la Vanità del pittore olandese Godfried Schalcken, con le immancabili fiaccole che ne connotano le tele, e un’icona russa che riproduce, come in un fumetto, la vita di San Nicola, il percorso tra le opere confiscate è un viaggio incalzante e vivace.
Al posto della tela del pittore Norberto Proietti, anche questa parte del tesoretto illegale, oggi un avviso segnala che il quadro, venduto al re dei videopoker dopo essere stato evidentemente trafugato, si trova ora in casa dei legittimi proprietari che lo avrebbero riconosciuto, per ironia della sorte, proprio durante l’inaugurazione del Palazzo.
Passeggiando tra la Milly al caffè di Aligi Sassu e un volto di donna di Antonio Bueno, fortemente ispirato dai lavori di Botero, ci si imbatte nel Pesce sulla spiaggia di Giovanni Omiccioli, esponente, insieme a Renato Guttuso, della scuola pittorica di Scilla, attratta dalla vita dei pescatori del piccolo borgo calabrese, ma anche nel Capanno sulla riva di Carlo Carrà e in un Paesaggio con alberi gialli di Ottone Rosai.
Si contendono lo sguardo una tela con i celebri tagli di Fontana, i giochi di luci e ombre di Agostino Bonalumi, una Piazza d’Italia di de Chirico, i Nudi di donne di Fausto Pirandello e ancora Fuente de vita e Romeo e Giulietta di Salvador Dalì.
Eppure, in questo cantuccio d’arte e legalità nel cuore di Reggio, c’è ancora molto da fare, al fine di consentire allo sguardo di frugare al meglio tra tele e Madonne, alcune delle quali, come può cogliere anche un occhio poco esperto, presentano piccoli collassi e un certo danneggiamento delle cornici, necessitando di urgenti interventi di restauro, oltre che di un’illuminazione più adeguata, in grado di valorizzarne i soggetti. Eppure, al momento, l’associazione Meissa e la direzione del Palazzo sembrano lavorare, in sinergia sì, ma sole.
Proseguendo con la visita al Palazzo della Cultura, si notano alcune sale, cui si aggiungono i corridoi, riservate alle giovani promesse, calabresi e non, che hanno la possibilità di esporre per sei mesi, tele, sculture, fotografie.
In questo poliedrico viaggio nell’arte, che si apre con le opere confiscate, per allargarsi ai mosaici, al terzo piano, realizzati dai detenuti del carcere di Reggio, e ancora alla biblioteca, che un testo del 1789 come fiore all’occhiello, fino allo spazio, sempre all’ultimo piano del palazzo, che ospita i plastici ferroviari, tra i quali un modellino degli anni Cinquanta donato dalla famiglia Vitrioli, la sesazione, più che di straniamento, per pezzi e oggetti così diversi, è di piacevole sorpresa.
Per chi volesse addentrarsi in questa esperienza all’insegna dell’arte, il Palazzo-museo è aperto tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle 9.30 alle 13 e dalle 15.30 alle 18. Al momento manca ancora il sito ufficiale, che, come assicura la direttrice, è in cantiere grazie all’impegno dei ragazzi dell’alternanza scuola-lavoro.
Tralasciando auspici e responsabilità, quello che emerge dalla passeggiata tra le sale di questo caratteristico spazio espositivo che accoglie l’arte “liberata” dal giogo della malavita, è il ruolo fortemente “etico” di questo monumento alla legalità che, tra i tagli di Fontana, le donne di Cappelli, i paesaggi di Cascella e le favole di Raffaele De Rosa, emerge luminosa. Come le candele rassicuranti di Godfried Schalcken o la luna di Raimondo Scoppa che brilla sul Golfo di Napoli.
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