Il rientro dopo un accurato restauro e una mostra alla Reggia di Venaria
La Testa di Porticello, capolavoro in bronzo del V secolo aC, torna al museo di Reggio
“Testa di Porticello”, 460-450 a.C., fusione a cera persa, bronzo, Reggio Calabria, Museo Archeologico Nazionale. Courtesy of MArRC
Samantha De Martin
20/10/2018
Reggio Calabria - Faceva parte del carico di una nave affondata tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C. al largo della costa calabrese, non lontano da Reggio. Era stata divelta dalla sua statua (probabilmente destinata alla fusione) con violenti colpi di martello che ne avevano causato larghe fratture e deformazioni. E adesso, dopo aver partecipato alla recente mostra alla Venaria di Torino in seguito all’ accurato restauro finanziato grazie al progetto “Restituzioni 2018” promosso dalla Fondazione Intesa Sanpaolo, la Testa di Porticello torna a casa, al Museo Archeologico di Reggio Calabria.
Sarà collocata nella sala dei Bronzi di Riace e racconterà al pubblico la sua affascinante storia.
La Testa rappresenta un uomo maturo dalla lunga barba e la ricca capigliatura trattenuta da una benda. Il reperto - originariamente appartenento a una statua bronzea di dimensioni superiori al naturale - risale alla prima metà del V secolo a.C. e risente di influenze attiche e peloponnesiache, trovando importanti confronti con la statua del Capo Artemision o lo Zeus delle metope del tempio E di Selinunte.
Recuperata nel 1969 nelle acque di Porticello, nei pressi di Villa San Giovanni, la Testa era stata trafugata per essere immessa sul mercato antiquario, giungendo così all’Antikenmuseum di Basilea, senza però essere mai esposta. Da qui si spiega il nome inizialmente attribuitole, Testa di Basilea, che d’ora in poi sarà riconosciuta con il legittimo nome dal luogo del ritrovamento.
Grazie a un identikit realizzato dalla Polizia grazie ad alcuni testimoni che avevano visto l’opera subito dopo il ritrovamento, questo capolavoro in bronzo era stato restituito dal museo svizzero allo Stato Italiano nel 1993. L’intervento di restauro è stato condotto da Giuseppe Mantella, con la collaborazione di Flavia Gazineo e Antonella Aricò, sotto la direzione del direttore del MArRC, Carmelo Malacrino. Il cantiere è stato appositamente allestito nello spazio di Piazza Paolo Orsi, affinché il pubblico potesse assistere alle varie attività di ricerca, analisi e intervento.
Il 16 ottobre scorso, il MarRC ha celebrato un altro importante ritorno. In occasione dei settantacinque anni trascorsi dal rastrellamento nel ghetto di Roma e dalla deportazione degli ebrei, è tornata in esposizione al Museo l’epigrafe marmorea con iscrizione Ioudaion, per alcuni mesi concessa in prestito al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS) di Ferrara, per la mostra Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni. Una testimonianza dell’antichissimo rapporto tra la città di Reggio e l’ebraismo.
«Abbiamo deciso di dare un valore significativo a questo rientro - ha commentato Malacrino -. L’iscrizione che oggi ritrova il suo posto nell’allestimento permanente ha una valenza storica eccezionale: testimonia la presenza di una comunità ebraica a Reggio Calabria tra la fine del III e il IV secolo d.C., proprio mentre nella vicina Bova si sviluppava una grande sinagoga».
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Sarà collocata nella sala dei Bronzi di Riace e racconterà al pubblico la sua affascinante storia.
La Testa rappresenta un uomo maturo dalla lunga barba e la ricca capigliatura trattenuta da una benda. Il reperto - originariamente appartenento a una statua bronzea di dimensioni superiori al naturale - risale alla prima metà del V secolo a.C. e risente di influenze attiche e peloponnesiache, trovando importanti confronti con la statua del Capo Artemision o lo Zeus delle metope del tempio E di Selinunte.
Recuperata nel 1969 nelle acque di Porticello, nei pressi di Villa San Giovanni, la Testa era stata trafugata per essere immessa sul mercato antiquario, giungendo così all’Antikenmuseum di Basilea, senza però essere mai esposta. Da qui si spiega il nome inizialmente attribuitole, Testa di Basilea, che d’ora in poi sarà riconosciuta con il legittimo nome dal luogo del ritrovamento.
Grazie a un identikit realizzato dalla Polizia grazie ad alcuni testimoni che avevano visto l’opera subito dopo il ritrovamento, questo capolavoro in bronzo era stato restituito dal museo svizzero allo Stato Italiano nel 1993. L’intervento di restauro è stato condotto da Giuseppe Mantella, con la collaborazione di Flavia Gazineo e Antonella Aricò, sotto la direzione del direttore del MArRC, Carmelo Malacrino. Il cantiere è stato appositamente allestito nello spazio di Piazza Paolo Orsi, affinché il pubblico potesse assistere alle varie attività di ricerca, analisi e intervento.
Il 16 ottobre scorso, il MarRC ha celebrato un altro importante ritorno. In occasione dei settantacinque anni trascorsi dal rastrellamento nel ghetto di Roma e dalla deportazione degli ebrei, è tornata in esposizione al Museo l’epigrafe marmorea con iscrizione Ioudaion, per alcuni mesi concessa in prestito al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS) di Ferrara, per la mostra Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni. Una testimonianza dell’antichissimo rapporto tra la città di Reggio e l’ebraismo.
«Abbiamo deciso di dare un valore significativo a questo rientro - ha commentato Malacrino -. L’iscrizione che oggi ritrova il suo posto nell’allestimento permanente ha una valenza storica eccezionale: testimonia la presenza di una comunità ebraica a Reggio Calabria tra la fine del III e il IV secolo d.C., proprio mentre nella vicina Bova si sviluppava una grande sinagoga».
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