A Reggio Emilia dal 17 novembre al 3 marzo

Palazzo Magnani omaggia Jean Dubuffet, maestro di gioco e meraviglia

Jean Dubuffet, Ostracisme rend la monnaie, 1961, acquerello su carta, 50 x 66 cm ©Adagp, Paris, 2010

 

Samantha De Martin

02/11/2018

Reggio Emilia - Aloïse, Wölfli, Tschirtner. Sono solo alcuni dei talenti scoperti da Jean Bubuffet in alcuni ospedali psichiatrici, pervasi da un istinto creatore puro e ossessivo, sebbene privi di una vera formazione accademica.
Le loro opere, accanto ai lavori dell’artista, tra i maggiori protagonisti dell’Informale, si potranno esplorare a Reggio Emilia, dal 17 novembre al 3 marzo, in occasione della mostra a Palazzo Magnani dal titolo L’arte in gioco. Materia e spirito 1943-1985. Il percorso, a cura di Martina Mazzotta e Frédéric Jaeger, esplora i cicli creativi, le ricerche, le sperimentazioni tecniche inedite e originali del teorico dell’Art Brut, termine coniato nel 1945 dallo stesso Dubuffet per indicare una forma di espressione artistica spontanea, scoperta dal pittore negli ospedali psichiatrici.

L’itinerario segue una selezione di 140 opere, tra disegni, dipinti, grafiche, sculture, dischi, provenienti dalla Fondation Dubuffet e dal Musée des Arts Décoratif di Parigi, da musei e collezioni private di Francia, Svizzera, Austria e Italia. Il percorso dedicato a Dubuffet - “l’homme-orchestre”, come lo definiscono i curatori della mostra, l’ “artista-alchimista” nelle cui sperimentazioni sulla materia risveglia nell’osservatore il senso di meraviglia, di stupore e di bellezza per il mondo - si snoda in tre sezioni seguendo la dialettica materia-spirito.

Dal periodo compreso tra gli anni 1945 e 1960, il visitatore arriva al 1962 e al 1974, quando irrompono i lavori della serie de L’Hourloupe, nati da un disegno eseguito macchinalmente al telefono e che, dodici anni più tardi, si trasformerà in scultura monumentale.
La terza parte del percorso esplora il cromatismo intenso sviluppatosi tra il 1976 e il 1984 con i Théâtres de mémoire e con i Non-lieux, dove il forte gesto pittorico svela, come dice lo stesso artista, “non più il mondo ma la sua immaterialità”.

“Entrare nell'universo di Dubuffet - spiega Davide Zanichelli, presidente della Fondazione Palazzo Magnani - è come immergersi nell’ambigua dimensione dell’origine: il disegno infantile, il movimento giocoso e libero da ogni tecnica o norma culturale, il gesto primitivo che agisce con la materia, la potenza aurorale del folle. Bambini, primitivi, folli, sono tutte categorie del sacro che recano in sé una forte carica di ambivalenza”.

Il rapporto con la musica, con cui l'artista francese si confronta a partire dal 1960, si traduce nell’utilizzo di un gran numero di strumenti di tutti i tipi e di dispositivi elettronici da cui trarre “suoni inediti”, in una sorta di parallelismo con le tecniche e i media pittorici.

Il percorso a Palazzo Magnani presenterà inoltre video musicali, documenti e i sei dischi della Galleria del Cavallino di Venezia. Saranno inoltre esposti alcuni elementi, tra costumi e scenografie, dello spettacolo Coucou Bazar, opera d’arte totale che contempla pittura, scultura, teatro, danza e musica, alla quale Dubuffet si dedicò dal 1971 al 1973.


Leggi anche:


• Jean Dubuffet. L'arte in gioco