Fino al 27 gennaio tornano in Italia i maestri della tradizione
Dal gotico a Mantegna.Prestiti internazionali per l’autunno di Palazzo Barberini
Andrea Mantegna, Ecce Homo, 1500 ca., tempera su tela montata su tavola, 54,7x43,5 cm.
Francesca Grego
30/09/2018
Roma - L’autunno delle Gallerie Nazionali di Arte Antica si apre con il ritorno di grandi capolavori italiani conservati in collezioni internazionali, in linea con la politica di scambi intrapresa dal museo romano.
Dal prestigioso Musée Jacquemart-André di Parigi, che detiene la più importante raccolta d’arte italiana in Francia dopo quella del Louvre, arrivano l’Ecce Homo e la Madonna con Bambino tra i Santi Gerolamo e Ludovico da Tolosa di Andrea Mantegna, in cambio dei gioielli seicenteschi inviati da Palazzo Barberini alla mostra Caravaggio a Roma, amici e nemici (Musée Jacquemart-André, 21 settembre-28 gennaio).
Dal Museum di Fine Arts di Houston giunge invece una coppia di rare e misteriose tavole trecentesche attribuite ai due artisti di area toscana noti come “maestri della Madonna Straus”: una di queste non era esposta in Europa dal 1944. Nel frattempo, le Gallerie Nazionali si preparano a spedire in Texas il celebre Ritratto di Enrico VIII di Hans Holbein, che parteciperà a una grande mostra sui Tudor.
Intorno a questi prestiti si dispone il calendario espositivo della nuova stagione di Palazzo Barberini, con due mostre che raccontano importanti storie di collezionismo, facendo luce al contempo su momenti d’oro e protagonisti della tradizione italiana. Scopriamole insieme.
• La Stanza di Mantegna. Capolavori dal Museo Jacquemart-André di Parigi
Con l’Ecce Homo e la Madonna con Bambino tra i Santi Gerolamo e Ludovico da Tolosa Andrea Mantegna fa ritorno a Roma, dove lavorò alla decorazione del Palazzo del Belvedere, ma dove oggi non resta più alcuna sua opera firmata.
I tesori del Museo Jacquemart-Andrè forniscono l’occasione di un viaggio su più piani: nell’immaginario rinascimentale e nella tensione verso la classicità di cui Mantegna fu interprete appassionato, ma anche nel collezionismo d’arte europeo alla fine del XIX secolo, segnato da un crescente interesse verso il Quattrocento dei maestri veneti e toscani.
Se i moderni rincorrevano il sogno del Rinascimento, i rinascimentali seguirono il miraggio dell’antichità. Questa doppia fuga va in scena nella Stanza del Mantegna, in un confronto cui prendono parte, oltre all’Ecce Homo e alla Madonna, una tavola di Cima da Conegliano, un raro ritratto su pergamena di Giorgio Schiavone, nonché un disegno di scuola mantegnesca e un ricercato bronzetto di Andrea Briosco detto il Riccio, tutti provenienti dalla superba collezione donata allo stato francese dai coniugi Edouard André e Nélie Jacquemart.
Ma anche quando guarda al passato, l’immagine interroga i suoi contemporanei, come spiega il curatore Michele di Monte: “Forse non è un caso che una delle opere più celebri e controverse di Mantegna, l’Ecce Homo, non rappresenta, in effetti, Pilato che presenta Cristo al popolo, piuttosto al contrario il popolo che presenta Cristo a Pilato. E Pilato, giustamente, non c’è, perché ‘è’ dalla nostra parte del quadro. L’antico giudice romano, con potere di vita e di morte, siamo noi davanti all’immagine”.
• Gotico americano. I maestri della Madonna Straus
“Non importa se sia Pietro o Martino, né se sia uomo o cavallo, purché possieda l’arte colui che opera”, così Meister Eckhart, tra i massimi pensatori del Medioevo, avrebbe probabilmente liquidato l’enigma delle Madonne con Bambino protagoniste di questa mostra.
Noti come i “maestri della Madonna Straus” (dal nome del collezionista americano Percy Selden Straus che ne acquistò le tavole nel secolo scorso), gli autori dei gioielli del Museum of Fine Arts di Houston sono in realtà due personalità artistiche ben distinte, sulla cui identità gli studiosi non smettono di interrogarsi: uno attivo a Firenze tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, l’altro di area senese, seguace del grande Simone Martini.
Ma in epoca gotica, scrivono i curatori, “l’opera d’arte conta più del nome dell’artista”. Meglio dunque puntare l’attenzione sul magnifico dialogo che si instaura a Palazzo Barberini tra dipinti di notevole bellezza, sospesi tra lo status di immagini devozionali e quello di oggetti preziosi. Alle tavole americane si aggiunge inoltre una perla del Maestro di Palazzo Venezia, affine agli altri per formazione, stile e tecnica, da ammirare a insieme a luminosi esempi della pittura dello stesso periodo appartenenti alle collezioni di Palazzo Barberini.
Lo sguardo si appunta sulla tipologia iconografica della Vergine che presenta il Bambino, interpretata in tutti casi con estrema raffinatezza e grazia decorativa. Alla plasticità di ascendenza giottesca che modella le figure, fanno da contraltare le linee stilizzate e l’uso dell’oro di matrice bizantina. Riflesso della luce reale e al contempo simbolo della luce divina, il re dei metalli intesse arabeschi nelle vesti della Madonna, ricama la superficie del quadro e rappresenta sé stesso, sostanza preziosa per antonomasia.
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Noti come i “maestri della Madonna Straus” (dal nome del collezionista americano Percy Selden Straus che ne acquistò le tavole nel secolo scorso), gli autori dei gioielli del Museum of Fine Arts di Houston sono in realtà due personalità artistiche ben distinte, sulla cui identità gli studiosi non smettono di interrogarsi: uno attivo a Firenze tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, l’altro di area senese, seguace del grande Simone Martini.
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