L'artista cinese al Complesso del Vittoriano dal 27 luglio al 26 settembre
Dalla Cina a Roma, l'epos luminoso di Chao Ge
Chao Ge, Il sole, 2001, olio su tela 132 x 173cm
Samantha De Martin
19/07/2017
Roma - “La terra del cielo blu” diffonde su Roma la sua straordinaria luce grazie all'artista che, con la sua duplice anima ha saputo raccogliere sulla tela il volto più tradizionale e autentico della Mongolia, ma anche la modernità vibrante di Pechino.
È poesia, oltre che arte, il lavoro di Chao Ge, il pittore che traduce gli sconfinati spazi della sua Mongolia in un'estetica fatta di luce e di volti apparentemente imperturbabili, anzi percorsi “da una sorta di nervosismo a fior di pelle che li anima e li trascina, densi di fascino, verso lo spettatore”.
Quello che la mostra - in programma dal 27 luglio al 26 settembre presso l'Ala Brasini del Complesso del Vittoriano - racconta, è l'epos elaborato dal maestro cinese, appassionato del Rinascimento italiano, che attinge alla storia di un popolo, alle sue gesta, a quel patrimonio spirituale evocato dall'artista come per ripercorrere la storia delle proprie origini, parlando al cuore oltre che alla mente.
Sono circa cento le opere, tra oli su tela, tempere e disegni, realizzati dal 1987 a oggi, che compongono questa che il curatore Claudio Strinati definisce “un'elegia dell'umano in sé”, fatta di stelle e montagne, vaste lande selvagge e ritratti umani, nei quali è forte il sentimento di umanità e di unione universale.
Ritrattista meticoloso e paesaggista, osservatore attento dei complessi scenari asiatici, il maestro Chao Ge, che dal 1987 insegna Pittura a Olio all'Accademia Centrale di Pechino, ci restitusice, con i suoi quadri, tutta l'immensità di una cultura permeata dalla tendenza al nomadismo, allo spostamento continuo, ma anche da quei valori che trovano il loro fulcro nell'universo della famiglia, degli affetti, della vita in comune.
Quella di Chao Ge è «una pittura luminosa, dalla ricca tavolozza, moderna e vigorosa - come la definisce il critico d'arte Nicolina Bianchi - a volte accompagnata da una nota di romantica malinconia come nel suo Poema d’autunno, o nelle linee verdi azzurre del fiume Kherlen o nel blu profondo e perlaceo dei cieli che segnano l’orizzonte».
Le tele di Chao Ge raccontano di intimi colloqui, ritraggono volti solcati dalla luce del sole che scrutano paesi lontani, descrivono quell'Oriente che custodisce, profondo, il mistero della vita, dell’uomo, della natura stessa.
Leggi anche:
• La Cina che cambia. Foto in mostra
È poesia, oltre che arte, il lavoro di Chao Ge, il pittore che traduce gli sconfinati spazi della sua Mongolia in un'estetica fatta di luce e di volti apparentemente imperturbabili, anzi percorsi “da una sorta di nervosismo a fior di pelle che li anima e li trascina, densi di fascino, verso lo spettatore”.
Quello che la mostra - in programma dal 27 luglio al 26 settembre presso l'Ala Brasini del Complesso del Vittoriano - racconta, è l'epos elaborato dal maestro cinese, appassionato del Rinascimento italiano, che attinge alla storia di un popolo, alle sue gesta, a quel patrimonio spirituale evocato dall'artista come per ripercorrere la storia delle proprie origini, parlando al cuore oltre che alla mente.
Sono circa cento le opere, tra oli su tela, tempere e disegni, realizzati dal 1987 a oggi, che compongono questa che il curatore Claudio Strinati definisce “un'elegia dell'umano in sé”, fatta di stelle e montagne, vaste lande selvagge e ritratti umani, nei quali è forte il sentimento di umanità e di unione universale.
Ritrattista meticoloso e paesaggista, osservatore attento dei complessi scenari asiatici, il maestro Chao Ge, che dal 1987 insegna Pittura a Olio all'Accademia Centrale di Pechino, ci restitusice, con i suoi quadri, tutta l'immensità di una cultura permeata dalla tendenza al nomadismo, allo spostamento continuo, ma anche da quei valori che trovano il loro fulcro nell'universo della famiglia, degli affetti, della vita in comune.
Quella di Chao Ge è «una pittura luminosa, dalla ricca tavolozza, moderna e vigorosa - come la definisce il critico d'arte Nicolina Bianchi - a volte accompagnata da una nota di romantica malinconia come nel suo Poema d’autunno, o nelle linee verdi azzurre del fiume Kherlen o nel blu profondo e perlaceo dei cieli che segnano l’orizzonte».
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