Al Palazzo delle Esposizioni fino al 28 gennaio

Dalla guerra senza filtri di Don McCullin all’Ucraina di Boris Mikhailov, a Roma va in scena la grande fotografia

Allestimento della mostra DON McCULLIN, Roma, Palazzo Esposizioni Roma | Foto: © Daniele Molajoli - © Azienda Speciale Palaexpo
 

Samantha De Martin

11/10/2023

Roma - C’è un marine sotto shock di fronte ai bombardamenti durante la Battaglia di Huế, in Vietnam, nel 1968. E poi un senzatetto irlandese dall’aria sofferente, e ancora l’India del 1989 immortalata al mattino, stretta intorno alla festa religiosa del Kumbh Mela ad Allahabad. E infine la serie dedicata all’Impero romano, avviata negli anni Duemila, punto di arrivo nel quale si sovrappongono, fondendosi, i temi cardine di una fotografia che cuce le dolorose immagini di un'Inghilterra "subalterna" e delle guerre sparse nel mondo, con la "pace" dei paesaggi del Somerset e con le sofferenze di un fotografo al cospetto dell’orrore sul campo di battaglia.
Fino al prossimo 28 gennaio Palazzo Esposizioni a Roma presenta Don McCullin a Roma, la prima grande retrospettiva in Italia e, a oggi, la mostra più ampia mai dedicata al fotografo britannico di fama internazionale. Curata da Simon Baker, in stretta collaborazione con Don McCullin e Tim Jefferies e con l’assistenza di Catherine Fairweather, Jeanne Grouet, Lachlann Forbes, la mostra è promossa dall’ Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, prodotta e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo. In mostra corrono alcune delle immagini di povertà, carestia e guerra più immediatamente riconoscibili di tutta la storia della fotografia.


Allestimento della mostra DON McCULLIN, Roma, Palazzo Esposizioni Roma | Foto: © Daniele Molajoli - © Azienda Speciale Palaexpo

Il percorso, caratterizzato da oltre 250 scatti, si sviluppa attraverso sei diverse sezioni: Esordi, Guerra e Conflitti, Immagini documentarie del Regno Unito, Immagini documentarie all’estero, Paesaggi e Nature morte, L’Impero romano. Dagli esordi che inseguono una Londra di fine anni Cinquanta e dei primi Sessanta, tra pecore ancora portate al macello e nuove mode e tendenze, McCullin approda nel cuore dei conflitti più violenti e catastrofici della fine del ventesimo secolo. Benché la prima delle sue ‘guerre’ sia stata la guerra fredda nello scenario della Berlino divisa, le sue prime vere e proprie esperienze di reporter le vive a Cipro e in Congo, in Vietnam, dove ha catturato con il suo obiettivo l’orribile dramma della guerra su entrambi i fronti attraverso immagini di traumi e di morte esenti da qualsiasi censura.

Dall’orrore della guerra civile in Libano ai disordini nell’Irlanda del nord, dalla repressione dei curdi in Iraq agli inizi dei primi anni Novanta alla seconda guerra irachena nel 2003, e, più recentemente, quella in Siria, in McCullin l’imperativo morale è stato quello di raccontare i conflitti senza infingimenti. Non mancano le immagini documentarie del Regno Unito. Ed ecco l’incredibile povertà di alcune parti della Gran Bretagna del dopoguerra, con i senzatetto ai margini della società, a due passi dai ricchi quartieri finanziari di Londra. Grazie al suo approccio originale e all’umanità che lo contraddistingue, McCullin riesce a tessere dei veri e propri ritratti di individui restituendo loro un’identità, come nel caso della senzatetto Jane con il quale è entrato in contatto.


Allestimento della mostra DON McCULLIN, Roma, Palazzo Esposizioni Roma | Foto: © Daniele Molajoli - © Azienda Speciale Palaexpo

L’occhio di McCullin ritrae la disabilità e la deformità dei singoli rispettandone la grande dignità, come accade anche per i membri della tribù dei Karo e dei Surma in Etiopia meridionale, ma anche per le remote regioni selvagge dell’Egitto e del Sudan. E poi c’è il paesaggio che assurge a elegia nostalgica. Nel suo libro del 1979, Homecoming, McCullin ammetteva di voler ormai tagliare i ponti con la fotografia di guerra per trovarsi “un rifugio in campagna” dove “poter fotografare l’Inghilterra per il resto della vita”. Da qui le immagini dei campi allagati e sferzati dal vento, sui quali incombe un cielo cupo, ricchi di drammaticità e pathos. Nel suo vagare d’autunno e d’inverno per le colline e le paludi del Somerset e ritirandosi nella sua camera oscura durante i mesi assolati dell’estate McCullin ci consegna un resoconto del mondo che lo circonda, brutale e talvolta tetro, in un certo qual modo intriso di conflitto.
L’Impero romano, che McCullin considera il suo ultimo grande progetto, è invece una sorta di indagine fotografica culturale, architettonica e storica sui resti dell’Impero romano nell’area del Mediterraneo meridionale. Dal Marocco all’Algeria nel sud ovest, fino alla Siria e al Libano nel nord est, McCullin ha trascorso anni a fotografare siti importanti come Baalbek, Palmira, Volubilis. L’interesse per il patrimonio dell’antica Roma lo ha portato a cercare di accedere ad alcune delle maggiori collezioni di scultura romana presenti in Italia e negli Stati Uniti per restituire al pubblico di tutto il mondo alcuni dei reperti storici più belli e significativi.


Allestimento della mostra Boris Mikhailov: Ukrainian Diary, Roma, Palazzo Esposizioni Roma | Foto: © Daniele Molajoli © Azienda Speciale Palaexpo

Boris Mikhailov - Ukrainian Diary
I temi politici e sociali, con un occhio di riguardo rivolto all’Ucraina, sono anche il filo conduttore dei lavori dell’artista ucraino Boris Mikhailov, in mostra a palazzo delle Esposizioni fino al 28 gennaio. Curata da Laurie Hurwitz, in collaborazione con Boris e Vita Mikhailov e organizzata in collaborazione con la Maison Européenne de la Photographie di Parigi, la mostra riunisce oltre 800 immagini dell’artista che, fin dagli anni Sessanta, ha documentato i tumultuosi cambiamenti in Ucraina legati al crollo dell'Unione Sovietica e alle disastrose conseguenze della sua dissoluzione.
La ricerca pionieristica di Boris Mikhailov ha abbracciato negli anni la fotografia documentaria, il lavoro concettuale, la pittura, la performance. La mostra riunisce le immagini selezionate da circa venti serie realizzate tra il 1965 e gli anni Duemila. L’artista ha teorizzato il concetto di fotografia "di cattiva qualità", ovvero di immagini concepite volutamente a basso contrasto, sfocate, piene di difetti visibili, su carta di scarsa qualità, con l’obiettivo di sovvertire l'immaginario glorificato del realismo sociale e della fotografia patinata. Le serie create nel periodo in cui l'Ucraina faceva parte dell'Unione Sovietica mettono in discussione la memoria collettiva riflettendo le contraddizioni sociali dell'epoca.
Se in Yesterday's Sandwich, realizzata a partire dal 1965, l'artista giustappone bellezza e bruttezza, In Red (1968-1975) evoca la presenza pervasiva del regime comunista e il modo in cui si è introdotto nella coscienza individuale e collettiva. Le serie Luriki (1971-1985) e Sots Art (1975-1986) sono una cinica riflessione sulla maniera in cui le immagini di propaganda idealizzano artificiosamente la realtà. Mikhailov fa ricorso talvolta all’umorismo come arma di sovversione e potenziale stimolo verso l'emancipazione, come emerge dai provocatori autoritratti I am not I (1992) e National Hero (1992). Anche l'arte ha un potere sovversivo. Da oltre 50 anni l’artista testimonia la presa del sistema sovietico sul suo paese, creando una narrazione fotografica potente della storia contemporanea dell'Ucraina che diventa particolarmente illuminante alla luce degli ultimi eventi.


Allestimento della mostra Boris Mikhailov: Ukrainian Diary, Roma, Palazzo Esposizioni Roma | Foto: © Daniele Molajoli  © Azienda Speciale Palaexpo