Venerdì 5 novembre la serata inaugurale, poi le visite ogni weekend
L'Arco di Giano riapre dopo 28 anni con una performance di Fondazione Alda Fendi
L'Arco di Giano I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Francesca Grego
03/11/2021
Roma - In principio fu un monumento celebrativo, poi una fortificazione; infine fu interrato, perdendo memoria della passata grandezza. Riemerso nel XVIII secolo e restituito alla forma originaria, l’Arco di Giano è chiuso dal 1993, quando un attentato di matrice mafiosa danneggiò la vicina Chiesa di San Giorgio al Velabro. Riaprirà venerdì 5 novembre con un evento che ha visto lavorare fianco a fianco la Soprintendenza Speciale di Roma e la Fondazione Alda Fendi - Esperimenti. Complici le magiche luci della sera capitolina, la performance Nu-Shu. Le parole perdute delle donne riunirà le suggestioni di archeologia, teatro e arte contemporanea nello scenario dell’ultimo grande monumento costruito nel Foro Boario, aprendo in bellezza il mese contro la violenza sulle donne.
Dal 13 novembre, poi, l’Arco di Giano sarà accessibile ogni sabato dalle 10 alle 14 e da fine marzo anche nel pomeriggio, dalle 16 alle 20.
“La mia Fondazione è felice di aprire al pubblico la prestigiosa area dell’Arco di Giano e di favorire la fruizione di un importante monumento”, ha spiegato Alda Fendi: “Da 20 anni ho esplorato il mondo dei Fori Imperiali lasciando testimonianze artistiche e spettacolari. Ringrazio il Soprintendente Speciale Daniela Porro per la sua lungimiranza”. E per la Soprintendenza romana si chiude una nuova tappa del percorso che l’ha vista instaurare collaborazioni fruttuose con Enpam per il Museo Ninfeo, con il Senato e l’Archivio di Stato di Roma per il Palazzo della Sapienza, con il Fondo Edifici di Culto e con il Vicariato per la Cappella Cornaro del Bernini.
“Finalmente riapriamo l’Arco di Giano alla cittadinanza” commenta Mirella Serlorenzi, responsabile dell’edificio: “In questi ultimi anni il monumento è stato oggetto di un parziale restauro, di studi e di ricerche che hanno rivelato alcuni aspetti prima sconosciuti e che ci permetteranno di completarne il recupero”.
"Nu-shu. Le parole perdute delle donne" di Raffaele Curi, Fondazione Alda Fendi - Esperimenti I Foto: Pino La Pera I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
La lingua segreta delle donne: arte, moda e archeologia incontrano l’attualità nella performance di Raffaele Curi
“Una carezza per le donne”: così Raffaele Curi, regista teatrale e art director di Fondazione Alda Fendi - Esperimenti descrive l’action a ingresso gratuito che inaugurerà l’Arco di Giano alle 21.15 e alle 21.45 nella serata di venerdì 5 novembre. La performance prende il nome dal Nu-shu, l’unica lingua al mondo esclusivamente femminile, un idioma segreto sviluppato nella Cina antica dalle donne del popolo Yao, nella provincia dello Hunan, e da loro gelosamente custodito e tramandato per generazioni, con lo scopo di non farsi comprendere dagli uomini. Cantato dalle donne in cucina o ricamato sugli abiti come decorazione, il Nu-shu è un atto di ribellione alle imposizioni di una società maschilista che escludeva il mondo femminile dalla vita pubblica, riappropriazione di uno spazio vitale che fa della parola uno strumento di libertà. I temi della presa di parola e dell’autodeterminazione delle donne sono al centro della performance di Curi, che invita a scardinare le logiche alla base della violenza di genere al di là dei secoli e delle culture.
"Nu-shu. Le parole perdute delle donne" di Raffaele Curi, Fondazione Alda Fendi - Esperimenti I Foto: Pino La Pera I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
All’interno della cancellata dell’Arco di Giano, settanta sontuosi kimono nuziali in seta bianca, frutto di una lunga ricerca condotta in Cina da Alda Fendi, evocheranno la presenza e le storie di altrettante donne, chiamate a svelare al pubblico il loro volto e la forza della loro voce sulle note dell’aria Je veux vivre dans le rêve tratta da Romeo et Juliette di Charles Gounod, fino all’accendersi della luna, simbolo del mistero femminile. Un solo uomo avrà accesso alla scena, in un’azione che invita le donne a ritrovare la voce per smascherare un’idea di amore malsana, che in realtà è possesso, prevaricazione e disconoscimento della dignità.
Arco di Giano I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
L’Arco di Giano o di Costantino? Storia avventurosa di un monumento unico nel suo genere
Diversamente da quanto potrebbe far pensare il nome, l’Arco di Giano non nacque come omaggio alla divinità bifronte del Romani, bensì come monumento a Costantino, eretto dai figli dell'imperatore all’interno del Foro Boario dopo la sua morte, nel 337. Il nome fu coniato invece molto più tardi, dai cultori cinquecenteschi della classicità, che interpretarono i quattro ingressi dell’edificio come le facce del dio Giano.
A differenza di tutti gli archi onorari rinvenuti a Roma, quello di Giano presenta un’originale pianta quadrangolare di 12 per 16 metri, con quattro pilastri di sostegno coperti da una volta a crociera su cui poggiava un attico. Si tratta dell’ultimo edificio monumentale realizzato nell’antichità al Foro Boario, in una posizione simbolica, all’incrocio tra l’antica Salaria e la strada che conduceva dall’antico emporio sulle rive del Tevere - e dal quale ebbe origine il primissimo nucleo dell’Urbe - fino alla Magna Mater, l’unica porzione del Palatino che gli imperatori lasciarono a uso pubblico non inglobandola nel palazzo imperiale.
Arco di Giano (dettaglio) I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Costruito in mattoni e rivestito di marmo, il monumento conserva ancora l'impianto decorativo originario: i pilastri sono decorati da due file di nicchie semicircolari coperte da una semicupola a conchiglia, in cui erano collocate 48 statue. In corrispondenza delle quattro chiavi di volta troviamo ancora le effigi di Roma e di Giunone (sedute), di Minerva e di Cerere (in piedi).
Realizzato con materiali provenienti dalla distruzione di vecchi edifici in disuso, l’Arco ha conservato elementi decorativi più antichi della sua stessa edificazione, grazie ai quali possiamo ricostruire la storia dei pezzi che lo compongono.
Anche le sue vicende successive sono piuttosto affascinanti. Sappiamo che nel Medioevo fu trasformato in fortificazione dai Frangipane, la stessa famiglia che convertì in fortezza il Colosseo, e che la sua torre, già citata in documento del 1145, restò ben visibile fino al XVIII secolo. Parzialmente interrato nel corso dei secoli, l’Arco tornò pienamente alla luce solo nel 1827: in questa occasione, allo scopo di togliere le aggiunte di epoca successiva venne asportato anche l’attico, erroneamente creduto di epoca medievale perché privo dei marmi che originariamente lo ricoprivano. Dopo l’attentato mafioso del 1993 a San Giorgio al Velabro, l’Arco di Giano fu recintato con una cancellata di protezione. L’ultimo restauro del 2017 ha restituito all’antica magnificenza la facciata che guarda verso Piazza della Verità.
L'Arco di Giano davanti alla Chiesa di San Giorgio al Velabro I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
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Dal 13 novembre, poi, l’Arco di Giano sarà accessibile ogni sabato dalle 10 alle 14 e da fine marzo anche nel pomeriggio, dalle 16 alle 20.
“La mia Fondazione è felice di aprire al pubblico la prestigiosa area dell’Arco di Giano e di favorire la fruizione di un importante monumento”, ha spiegato Alda Fendi: “Da 20 anni ho esplorato il mondo dei Fori Imperiali lasciando testimonianze artistiche e spettacolari. Ringrazio il Soprintendente Speciale Daniela Porro per la sua lungimiranza”. E per la Soprintendenza romana si chiude una nuova tappa del percorso che l’ha vista instaurare collaborazioni fruttuose con Enpam per il Museo Ninfeo, con il Senato e l’Archivio di Stato di Roma per il Palazzo della Sapienza, con il Fondo Edifici di Culto e con il Vicariato per la Cappella Cornaro del Bernini.
“Finalmente riapriamo l’Arco di Giano alla cittadinanza” commenta Mirella Serlorenzi, responsabile dell’edificio: “In questi ultimi anni il monumento è stato oggetto di un parziale restauro, di studi e di ricerche che hanno rivelato alcuni aspetti prima sconosciuti e che ci permetteranno di completarne il recupero”.
"Nu-shu. Le parole perdute delle donne" di Raffaele Curi, Fondazione Alda Fendi - Esperimenti I Foto: Pino La Pera I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
La lingua segreta delle donne: arte, moda e archeologia incontrano l’attualità nella performance di Raffaele Curi
“Una carezza per le donne”: così Raffaele Curi, regista teatrale e art director di Fondazione Alda Fendi - Esperimenti descrive l’action a ingresso gratuito che inaugurerà l’Arco di Giano alle 21.15 e alle 21.45 nella serata di venerdì 5 novembre. La performance prende il nome dal Nu-shu, l’unica lingua al mondo esclusivamente femminile, un idioma segreto sviluppato nella Cina antica dalle donne del popolo Yao, nella provincia dello Hunan, e da loro gelosamente custodito e tramandato per generazioni, con lo scopo di non farsi comprendere dagli uomini. Cantato dalle donne in cucina o ricamato sugli abiti come decorazione, il Nu-shu è un atto di ribellione alle imposizioni di una società maschilista che escludeva il mondo femminile dalla vita pubblica, riappropriazione di uno spazio vitale che fa della parola uno strumento di libertà. I temi della presa di parola e dell’autodeterminazione delle donne sono al centro della performance di Curi, che invita a scardinare le logiche alla base della violenza di genere al di là dei secoli e delle culture.
"Nu-shu. Le parole perdute delle donne" di Raffaele Curi, Fondazione Alda Fendi - Esperimenti I Foto: Pino La Pera I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
All’interno della cancellata dell’Arco di Giano, settanta sontuosi kimono nuziali in seta bianca, frutto di una lunga ricerca condotta in Cina da Alda Fendi, evocheranno la presenza e le storie di altrettante donne, chiamate a svelare al pubblico il loro volto e la forza della loro voce sulle note dell’aria Je veux vivre dans le rêve tratta da Romeo et Juliette di Charles Gounod, fino all’accendersi della luna, simbolo del mistero femminile. Un solo uomo avrà accesso alla scena, in un’azione che invita le donne a ritrovare la voce per smascherare un’idea di amore malsana, che in realtà è possesso, prevaricazione e disconoscimento della dignità.
Arco di Giano I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
L’Arco di Giano o di Costantino? Storia avventurosa di un monumento unico nel suo genere
Diversamente da quanto potrebbe far pensare il nome, l’Arco di Giano non nacque come omaggio alla divinità bifronte del Romani, bensì come monumento a Costantino, eretto dai figli dell'imperatore all’interno del Foro Boario dopo la sua morte, nel 337. Il nome fu coniato invece molto più tardi, dai cultori cinquecenteschi della classicità, che interpretarono i quattro ingressi dell’edificio come le facce del dio Giano.
A differenza di tutti gli archi onorari rinvenuti a Roma, quello di Giano presenta un’originale pianta quadrangolare di 12 per 16 metri, con quattro pilastri di sostegno coperti da una volta a crociera su cui poggiava un attico. Si tratta dell’ultimo edificio monumentale realizzato nell’antichità al Foro Boario, in una posizione simbolica, all’incrocio tra l’antica Salaria e la strada che conduceva dall’antico emporio sulle rive del Tevere - e dal quale ebbe origine il primissimo nucleo dell’Urbe - fino alla Magna Mater, l’unica porzione del Palatino che gli imperatori lasciarono a uso pubblico non inglobandola nel palazzo imperiale.
Arco di Giano (dettaglio) I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Costruito in mattoni e rivestito di marmo, il monumento conserva ancora l'impianto decorativo originario: i pilastri sono decorati da due file di nicchie semicircolari coperte da una semicupola a conchiglia, in cui erano collocate 48 statue. In corrispondenza delle quattro chiavi di volta troviamo ancora le effigi di Roma e di Giunone (sedute), di Minerva e di Cerere (in piedi).
Realizzato con materiali provenienti dalla distruzione di vecchi edifici in disuso, l’Arco ha conservato elementi decorativi più antichi della sua stessa edificazione, grazie ai quali possiamo ricostruire la storia dei pezzi che lo compongono.
Anche le sue vicende successive sono piuttosto affascinanti. Sappiamo che nel Medioevo fu trasformato in fortificazione dai Frangipane, la stessa famiglia che convertì in fortezza il Colosseo, e che la sua torre, già citata in documento del 1145, restò ben visibile fino al XVIII secolo. Parzialmente interrato nel corso dei secoli, l’Arco tornò pienamente alla luce solo nel 1827: in questa occasione, allo scopo di togliere le aggiunte di epoca successiva venne asportato anche l’attico, erroneamente creduto di epoca medievale perché privo dei marmi che originariamente lo ricoprivano. Dopo l’attentato mafioso del 1993 a San Giorgio al Velabro, l’Arco di Giano fu recintato con una cancellata di protezione. L’ultimo restauro del 2017 ha restituito all’antica magnificenza la facciata che guarda verso Piazza della Verità.
L'Arco di Giano davanti alla Chiesa di San Giorgio al Velabro I Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
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