A Roma fino al 14 ottobre

La pittura come un giallo: Sergio Ceccotti a Palazzo delle Esposizioni

Sergio Ceccotti, Notturno, rio dei Mendicanti, 1990. Olio su tela, 65 x 80 cm. (Collezione Giorgio Di Raimondo, Roma). Foto di Riccardo Ragazzi
 

Francesca Grego

13/09/2018

Roma - Metti un pizzico di neo Cubismo, un’eco dell’Espressionismo tedesco, un po’ di Metafisica alla De Chirico e di Realismo magico italiano. Mescola con le suggestioni cinematografiche di Hitchcock, gli artifici fumettistici di Diabolik, le atmosfere poliziesche di Raymond Chandler e la narrativa contemporanea di Antonio Tabucchi o Patrick Modiano. E infine aggiungi una spruzzata di mistero e apparente casualità, come nella tavola di un rebus o in un quadro di Edward Hopper.
Il risultato non è un cocktail postmoderno dal sapore indistinto, ma i 60 anni di ricerca pittorica di Sergio Ceccotti. Non conoscerlo non è una colpa: per decenni si è tenuto alla larga dai compromessi delle mode e del mercato.
 
Allievo di Oskar Kokoschka a Salisburgo, ammiratore di Georges Braque, affascinato dalla tensione drammatica del cinema, dalla sintesi narrativa del fumetto e dal profumo dei colori a olio, Ceccotti ha scelto di essere un pittore figurativo quando la figurazione sembrava obsoleta almeno quanto il calesse. Per essere rivalutato negli anni Novanta, esporre in eventi internazionali di rilievo, entrare in prestigiose collezioni tra cui quella dei Musei Vaticani e illustrare le copertine di cult letterari come la Trilogia di New York di Paul Auster (edizione francese).
 
Ora una mostra a Palazzo delle Esposizioni di Roma permette al pubblico italiano di recuperare il tempo perduto: fresca di vernice, fino al 14 ottobre Sergio Ceccotti. Il romanzo della pittura offre alla visione circa 40 dipinti realizzati tra il 1958 e il 2018, per una ricognizione completa dell’opera di un artista originale e paziente. Sfilano interni domestici e squallide camere d’albergo, strade di Montmartre, metropoli in fumo, estati roventi, musei immaginari. E poi ombre che fuggono nella notte, pistole azionate da killer senza volto, televisori accesi, uomini e donne assorti in occupazioni quotidiane.
 
A tenere insieme questo variegato repertorio è la parola suspense. “Come il disegnatore di Peter Greenaway ne I misteri dei Giardini di Compton House o come il fotografo di Blow-up di Michelangelo Antonioni”, scrive il critico Lorenzo Canova, Ceccotti rivela “le sottili malvagità celate” nelle sue scene apparentemente anonime e tranquille. Indizi distribuiti con precisione – quasi l’inventario di un criminologo - suggeriscono che ci troviamo sul teatro di un dramma imminente o appena occorso, ma in ogni caso sapientemente precluso al nostro sguardo: come nell’Étant donnés di Duchamp, in una pagina della Settimana Enigmistica o in un test con le macchie di Rorschach, sta a noi attivare l’opera e giungere a una soluzione.
 
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