Aspettando Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto, nelle sale il 25, 26 e 27 marzo
Matteo Moneta e Claudio Poli raccontano il loro Paul Gauguin, tra sogno e disincanto
Una scena tratta dal film Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto | Courtesy of Nexo Digital
Samantha De Martin e Francesca Grego
14/03/2019
Roma - Lo avevamo lasciato tra i campi assolati che hanno fatto da cornice all’arte di Van Gogh per ritrovarlo nella luce inebriante di Tahiti che pervade le montagne e la sua gente mite, sulle tracce dell’artista che, più di ogni altro, ha saputo interpretare il desiderio universale dell’eremita mistico alla ricerca di un sogno di natura, pace e armonia nella più sperduta e incontaminata Arcadia.
Matteo Moneta firma la sceneggiatura dell’ultimo docu-film prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo, in arrivo nelle sale il 25, 26 e 27 marzo nell’ambito della Grande Arte al Cinema. Assieme al regista Claudio Poli, in un’intervista a due voci, racconta la genesi e lo sviluppo del documentario Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto che vede Marco Goldin come co-autore del soggetto, e che si avvale della partecipazione straordinaria di Adriano Giannini e delle belle musiche di Remo Anzovino. Un viaggio poetico, sorprendente, accattivante che si percorre tutto d’un fiato, ai confini del mondo, tra i luoghi che l'ambizioso ribelle scelse per cercare se stesso e ritrovare nella sua arte una via di uscita all’impressionismo.
Tra corpi di miele e sguardi imbevuti di un’esotica sensualità che lo conducono in un’era primitiva, Gauguin si arrende agli incantesimi dell’Oceania, approdando all’amorevole spensieratezza di chi si appresta a dare vita a un reportage pittorico destinato a sopravvivere per sempre.
Come nasce l’idea di un film su Gauguin? Forse dal desiderio di portare alla luce la smania di un artista, che è quella dell’uomo di ogni tempo, da sempre alla ricerca dell’esotico, della pace universale a contatto con un mondo incontaminato?
“La vita di Gauguin - spiega Matteo Moneta - è una vera enciclopedia dell’avventura. Cerchiamo sempre un equilibrio tra il racconto pittorico e l’aspetto biografico e l’idea del film nasce da impulsi diversi. Sicuramente con Marco Goldin abbiamo voluto creare una continuità con la produzione precedente guardando a quegli artisti - specie quelli della seconda metà dell’Ottocento - che hanno fatto della ricerca pittorica una ragione di vita, spingendosi fino alle estreme conseguenze del sacrificio di sé. Con Gauguin ci troviamo ovviamente dinnanzi ad un artista diverso da Vincent, per carattere e temperamento. La sua pittura, così come anche la sua vita, rappresentano un bellissimo racconto, una sfida, ma anche una festa per chi costruisce storie servendosi delle immagini".
A un certo punto nel docu-film si inserisce la suggestiva testimonianza di una pronipote di Gauguin. Come avviene questo incontro?
“È stato un incontro fortuito e inaspettato. In realtà eravamo alla ricerca di un altro discendente, venuto però a mancare negli ultimi anni. Mentre pensavamo di rinunciare alla ricerca di altri eredi alle isole Marchesi, parlando con persone del luogo, ci siamo imbattuti in questa donna che abitava nel posto più remoto di quel luogo remoto. Questa casualità ha reso il nostro incontro ancora più bello”.
Il film compie un piccolo miracolo: porta (metaforicamente) sull’isola che ha ispirato la maggior parte dei capolavori dell’artista, alcuni dei suoi quadri. Certo si tratta di piccole immagini su carta mostrate dalla produzione a una discendente del pittore. Perché oggi a Tahiti non è rimasta traccia di Gauguin?
“È tutto molto gauguiniano, se vogliamo una metafora in linea con l’indole di questo artista che riflette il paradosso di un uomo, originario di una potenza coloniale, che si accosta alle vicende della gente di quest’isola sperduta, pur rimandendo un pittore parigino con la mente rivolta al pubblico occidentale. Era una persona che si lasciava il vuoto dietro, Gauguin. Ha portato sempre le sue opere in tutta Europa e a Parigi. Inoltre, gli ultimi lavori, definiti “osceni” sono stati in parte distrutti dal vescovo locale che giudicava l’artista “indegno nemico di Dio e di ciò che è onesto”.
Una volta spiccato il volo sul mercato quelle opere non sono più tornate indietro. Tahiti resta una realtà povera e nessuno potrebbe acquistarle”.
Quali sono state le fonti del docu-film?
“Abbiamo attinto da diverse fonti, principalmente dai suoi libri di memorie come Avant et Après o Noa Noa, sebbene in quest’ultimo emerga una visione più idealizzata e romanzata del soggiorno del pittore sull’isola”.
Gauguin è un pittore molto vicino anche alle letteratura
“Gauguin ha incrociato anche il mondo letterario. Era il pittore prediletto dai simbolisti, a partire da Mallarmé, che vedevano incarnarsi in lui i loro ideali letterari. Lo consideravano il primo pittore in grado di tradurre le loro visioni oniriche. Fu molto apprezzato anche da Huysmans, anticipatore del romanzo decadente”.
Quali sono i luoghi cari a Gauguin che compaiono anche nel film?
"Da settembre a novembre 2018 siamo stati in Bretagna - tra i luoghi della prima fuga da Parigi - a Tahiti e alle isole Marchesi, al Met di New York, alla National Gallery of Art di Washington, all’Art Institute of Chicago, al Museum of Fine Arts di Boston. E ancora a Parigi, al Museo delle Arti primitive, alla National Gallery of Scotland Edimburgo per filmare La visione dopo il sermone".
Quella di Gauguin è una ricerca destinata al fallimento. Pur tornando in Europa, “più barbaro ma più colto”, la sua ricerca dell’età dell’oro si rivela presto un’illusione. Per quale motivo secondo lei?
“La sua è un’insoddisfazione che si può ricondurre a due livelli. Il primo riguarda l’aspetto puramente umano: il paradiso sulla terra non esiste. La seconda giustificazione è legata a fattori storici. Gauguin ha visitato luoghi remoti, per raggiungere i quali occorrono oggi quasi 30 ore di volo. Lui ci impiegò due mesi in nave. Eppure non si trattava di un mondo completamente selvaggio, incontaminato. Era una realtà colonizzata, diversa da quella che aveva immaginato, che conosceva già da tempo l’occidente e ne portava le ferite. Aiutato dal suo temperamento, il pittore supererà questa iniziale delusione spingendosi in luoghi dell’isola ancora più remoti per rintracciare almeno delle vestigia di ciò che era stato. È indubbiamente il suo occhio di artista a consentirgli di trascendere la povertà, la sofferenza per enucleare dalla bellezza dei luoghi, l’immagine del paradiso sulla terra, di un eden fatto di quadri e personaggi senza tempo”.
Ed in effetti, in questo racconto trasfigurato, effettuato attraverso quadri e lettere, Gauguin idealizza una realtà che non è soltanto una cartolina dal paradiso. Lo sottolinea bene Claudio Poli, regista del docufilm, che, in questa coversazione a più voci sul pittore alchimista che ricrea l’universo con la sua mano incantatrice, racconta il suo incontro con Tahiti.
“È stata un’esperienza di viaggio che mi ha lasciato impressioni complesse, a volte contraddittorie - dice Poli -. Tutti associano la Polinesia alle spiagge, al mare, alla natura incontaminata, invece ci siamo trovati di fronte realtà molto diverse tra loro, come ad esempio il traffico della capitale Papeete e i tanti segni di una modernità raggiunta attraverso processi tutt’altro che indolori. Situazioni con cui, fatte le dovute proporzioni, anche Gauguin ha dovuto fare i conti: è stata la sua fantasia di artista a permettergli di costruire quell’immagine di Tahiti che poi è diventata leggenda”.
Un punto di forza del docu-film è quello di riuscire a ripercorrere, con la stessa poesia, il viaggio del pittore, attualizzandolo alla società tahitiana del 2019 e cercando dentro le persone che oggi abitano l’isola, dentro i paesaggi, quella stessa poesia adoperata da Gauguin, senza artifici scenici.
“Abbiamo scelto - continua Poli - di lasciare da parte l’idea di una ricostruzione storica per andare alla ricerca delle tracce e delle suggestioni di Gauguin nella Polinesia di oggi, proprio come ha fatto lui più di un secolo fa: per lasciarci sorprendere, affascinare, incuriosire, deludere. Abbiamo giocato anche sul contrasto tra il paradiso di pace che Gauguin descrive sia nei quadri che nei suoi scritti e le strade affollate e rumorose delle metropoli americane in cui si trovano i grandi musei che abbiamo visitato per mostrare i suoi capolavori”.
Delle esperienze su quest’isola agli estremi confini del mondo, Poli ne ricorda una in particolare.
“Uno dei due pronipoti di Gauguin, incontrato a Tahiti ha in casa un’intera stanza tappezzata di copie dei quadri del pittore e sostiene che il suo spirito abiti in lui, che parli attraverso la sua bocca. Un’altra vive senza telefono e connessione internet in un angolo sperduto della piccolissima isola di Hiva Oa, dove Gauguin trascorse i suoi ultimi anni di vita”.
È come se “Koké” fosse svanito nel nulla dietro la sua aura mitica, inghiottito dal tramonto, per consegnare la sperduta Oceania, con la sua luce, le sue donne, i lussureggianti paesaggi, all’arte senza tempo custodita nelle sale dei più prestigiosi musei del mondo.
Leggi anche:
• FOTO - Il Paradiso Perduto di Gauguin
• Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto - La nostra recensione
• Come un romanzo: in viaggio sulle orme di Gauguin
• Tutti gli appuntamenti del 2019 con La Grande Arte al Cinema
• I viaggi di Gauguin
Matteo Moneta firma la sceneggiatura dell’ultimo docu-film prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo, in arrivo nelle sale il 25, 26 e 27 marzo nell’ambito della Grande Arte al Cinema. Assieme al regista Claudio Poli, in un’intervista a due voci, racconta la genesi e lo sviluppo del documentario Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto che vede Marco Goldin come co-autore del soggetto, e che si avvale della partecipazione straordinaria di Adriano Giannini e delle belle musiche di Remo Anzovino. Un viaggio poetico, sorprendente, accattivante che si percorre tutto d’un fiato, ai confini del mondo, tra i luoghi che l'ambizioso ribelle scelse per cercare se stesso e ritrovare nella sua arte una via di uscita all’impressionismo.
Tra corpi di miele e sguardi imbevuti di un’esotica sensualità che lo conducono in un’era primitiva, Gauguin si arrende agli incantesimi dell’Oceania, approdando all’amorevole spensieratezza di chi si appresta a dare vita a un reportage pittorico destinato a sopravvivere per sempre.
Come nasce l’idea di un film su Gauguin? Forse dal desiderio di portare alla luce la smania di un artista, che è quella dell’uomo di ogni tempo, da sempre alla ricerca dell’esotico, della pace universale a contatto con un mondo incontaminato?
“La vita di Gauguin - spiega Matteo Moneta - è una vera enciclopedia dell’avventura. Cerchiamo sempre un equilibrio tra il racconto pittorico e l’aspetto biografico e l’idea del film nasce da impulsi diversi. Sicuramente con Marco Goldin abbiamo voluto creare una continuità con la produzione precedente guardando a quegli artisti - specie quelli della seconda metà dell’Ottocento - che hanno fatto della ricerca pittorica una ragione di vita, spingendosi fino alle estreme conseguenze del sacrificio di sé. Con Gauguin ci troviamo ovviamente dinnanzi ad un artista diverso da Vincent, per carattere e temperamento. La sua pittura, così come anche la sua vita, rappresentano un bellissimo racconto, una sfida, ma anche una festa per chi costruisce storie servendosi delle immagini".
A un certo punto nel docu-film si inserisce la suggestiva testimonianza di una pronipote di Gauguin. Come avviene questo incontro?
“È stato un incontro fortuito e inaspettato. In realtà eravamo alla ricerca di un altro discendente, venuto però a mancare negli ultimi anni. Mentre pensavamo di rinunciare alla ricerca di altri eredi alle isole Marchesi, parlando con persone del luogo, ci siamo imbattuti in questa donna che abitava nel posto più remoto di quel luogo remoto. Questa casualità ha reso il nostro incontro ancora più bello”.
Il film compie un piccolo miracolo: porta (metaforicamente) sull’isola che ha ispirato la maggior parte dei capolavori dell’artista, alcuni dei suoi quadri. Certo si tratta di piccole immagini su carta mostrate dalla produzione a una discendente del pittore. Perché oggi a Tahiti non è rimasta traccia di Gauguin?
“È tutto molto gauguiniano, se vogliamo una metafora in linea con l’indole di questo artista che riflette il paradosso di un uomo, originario di una potenza coloniale, che si accosta alle vicende della gente di quest’isola sperduta, pur rimandendo un pittore parigino con la mente rivolta al pubblico occidentale. Era una persona che si lasciava il vuoto dietro, Gauguin. Ha portato sempre le sue opere in tutta Europa e a Parigi. Inoltre, gli ultimi lavori, definiti “osceni” sono stati in parte distrutti dal vescovo locale che giudicava l’artista “indegno nemico di Dio e di ciò che è onesto”.
Una volta spiccato il volo sul mercato quelle opere non sono più tornate indietro. Tahiti resta una realtà povera e nessuno potrebbe acquistarle”.
Quali sono state le fonti del docu-film?
“Abbiamo attinto da diverse fonti, principalmente dai suoi libri di memorie come Avant et Après o Noa Noa, sebbene in quest’ultimo emerga una visione più idealizzata e romanzata del soggiorno del pittore sull’isola”.
Gauguin è un pittore molto vicino anche alle letteratura
“Gauguin ha incrociato anche il mondo letterario. Era il pittore prediletto dai simbolisti, a partire da Mallarmé, che vedevano incarnarsi in lui i loro ideali letterari. Lo consideravano il primo pittore in grado di tradurre le loro visioni oniriche. Fu molto apprezzato anche da Huysmans, anticipatore del romanzo decadente”.
Quali sono i luoghi cari a Gauguin che compaiono anche nel film?
"Da settembre a novembre 2018 siamo stati in Bretagna - tra i luoghi della prima fuga da Parigi - a Tahiti e alle isole Marchesi, al Met di New York, alla National Gallery of Art di Washington, all’Art Institute of Chicago, al Museum of Fine Arts di Boston. E ancora a Parigi, al Museo delle Arti primitive, alla National Gallery of Scotland Edimburgo per filmare La visione dopo il sermone".
Quella di Gauguin è una ricerca destinata al fallimento. Pur tornando in Europa, “più barbaro ma più colto”, la sua ricerca dell’età dell’oro si rivela presto un’illusione. Per quale motivo secondo lei?
“La sua è un’insoddisfazione che si può ricondurre a due livelli. Il primo riguarda l’aspetto puramente umano: il paradiso sulla terra non esiste. La seconda giustificazione è legata a fattori storici. Gauguin ha visitato luoghi remoti, per raggiungere i quali occorrono oggi quasi 30 ore di volo. Lui ci impiegò due mesi in nave. Eppure non si trattava di un mondo completamente selvaggio, incontaminato. Era una realtà colonizzata, diversa da quella che aveva immaginato, che conosceva già da tempo l’occidente e ne portava le ferite. Aiutato dal suo temperamento, il pittore supererà questa iniziale delusione spingendosi in luoghi dell’isola ancora più remoti per rintracciare almeno delle vestigia di ciò che era stato. È indubbiamente il suo occhio di artista a consentirgli di trascendere la povertà, la sofferenza per enucleare dalla bellezza dei luoghi, l’immagine del paradiso sulla terra, di un eden fatto di quadri e personaggi senza tempo”.
Ed in effetti, in questo racconto trasfigurato, effettuato attraverso quadri e lettere, Gauguin idealizza una realtà che non è soltanto una cartolina dal paradiso. Lo sottolinea bene Claudio Poli, regista del docufilm, che, in questa coversazione a più voci sul pittore alchimista che ricrea l’universo con la sua mano incantatrice, racconta il suo incontro con Tahiti.
“È stata un’esperienza di viaggio che mi ha lasciato impressioni complesse, a volte contraddittorie - dice Poli -. Tutti associano la Polinesia alle spiagge, al mare, alla natura incontaminata, invece ci siamo trovati di fronte realtà molto diverse tra loro, come ad esempio il traffico della capitale Papeete e i tanti segni di una modernità raggiunta attraverso processi tutt’altro che indolori. Situazioni con cui, fatte le dovute proporzioni, anche Gauguin ha dovuto fare i conti: è stata la sua fantasia di artista a permettergli di costruire quell’immagine di Tahiti che poi è diventata leggenda”.
Un punto di forza del docu-film è quello di riuscire a ripercorrere, con la stessa poesia, il viaggio del pittore, attualizzandolo alla società tahitiana del 2019 e cercando dentro le persone che oggi abitano l’isola, dentro i paesaggi, quella stessa poesia adoperata da Gauguin, senza artifici scenici.
“Abbiamo scelto - continua Poli - di lasciare da parte l’idea di una ricostruzione storica per andare alla ricerca delle tracce e delle suggestioni di Gauguin nella Polinesia di oggi, proprio come ha fatto lui più di un secolo fa: per lasciarci sorprendere, affascinare, incuriosire, deludere. Abbiamo giocato anche sul contrasto tra il paradiso di pace che Gauguin descrive sia nei quadri che nei suoi scritti e le strade affollate e rumorose delle metropoli americane in cui si trovano i grandi musei che abbiamo visitato per mostrare i suoi capolavori”.
Delle esperienze su quest’isola agli estremi confini del mondo, Poli ne ricorda una in particolare.
“Uno dei due pronipoti di Gauguin, incontrato a Tahiti ha in casa un’intera stanza tappezzata di copie dei quadri del pittore e sostiene che il suo spirito abiti in lui, che parli attraverso la sua bocca. Un’altra vive senza telefono e connessione internet in un angolo sperduto della piccolissima isola di Hiva Oa, dove Gauguin trascorse i suoi ultimi anni di vita”.
È come se “Koké” fosse svanito nel nulla dietro la sua aura mitica, inghiottito dal tramonto, per consegnare la sperduta Oceania, con la sua luce, le sue donne, i lussureggianti paesaggi, all’arte senza tempo custodita nelle sale dei più prestigiosi musei del mondo.
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