In libreria per le edizioni Skira
Raffaello tra gli sterpi. L'altra faccia del Divin Pittore nel nuovo libro di Salvatore Settis
Raffaello Sanzio, Rovine e città, dettaglio dalla Madonna del diadema blu, 1511 I Public domain, via Wikimedia Commons
Francesca Grego
22/06/2022
Roma - Sembrano passati anni luce dalla grande mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale. Nel 2020, in piena pandemia, non tutti ebbero la fortuna di ammirare i capolavori arrivati a Roma da ogni angolo del globo per celebrare i 500 anni del maestro urbinate. Tra tanti meravigliosi dipinti, tuttavia, una lettera riuscì a catalizzare l’attenzione dei visitatori ben informati: un manoscritto pensato e sofferto, passato attraverso infinite revisioni da parte di Raffaello e dell’amico Baldassarre Castiglione, umanista e scrittore raffinato. Una lettera mai spedita che per la prima volta, alle Scuderie del Quirinale, incontrava il suo destinatario: Papa Leone X, presente in sala nel celeberrimo ritratto degli Uffizi.
Raffaello Sanzio, Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, 1912, olio su tavola. Galleria Palatina, Galleria egli Uffizi ed Appartamenti Reali
Miracolosamente sopravvissuti al tempo, quei fogli ingialliti svelavano un altro volto del maestro: oltre che pittore, architetto, decoratore e imprenditore, Raffaello fu archeologo ante litteram e primo paladino del patrimonio culturale italiano. In quegli anni di fermento artistico, le rovine di Roma antica erano saccheggiate quotidianamente per rifornire di marmi e materiali i nuovi cantieri. Lo stesso Leone X, dopo aver nominato il Sanzio architetto di San Pietro, gli ordinava di prelevare dai vecchi edifici tutto il necessario per completare “quam celerrime” il tempio della Cristianità. Raffaello era di un altro avviso: le vestigia antiche andavano lasciate al loro posto, liberate dalla sterpaglia che le infestava, studiate e salvaguardate. Rivolgendosi al pontefice, l’artista indica la via maestra per raggiungere l’obiettivo, facendo appello alla ragione e alle emozioni.
Baldassarre Castiglione, Autografo della Lettera a Leone X. Mantova Archivio di Stato
A uno sguardo più approfondito, tuttavia, la lettera si rivela densa di misteri. Chi la ritrovò nel 1733, dopo secoli di oblio, l’attribuì integralmente a Castiglione e lo stile impeccabile sembra confermarlo, ma l’io narrante sembra proprio quello di Raffaello. Più tardi lo scritto fu riferito ad altri artisti della cerchia del Sanzio. Chi la scrisse realmente? E perché non fu mai consegnata? A complicare ulteriormente la questione è la scoperta di un manoscritto di poco successivo, una nuova stesura ricca di variazioni e foriera di ulteriori domande.
Raffaello, Ritratto di Baldassarre Castiglione, 1513 circa (o 1519?). Olio su tela. Parigi, Musée du Louvre, département des Peintures
L’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis, già direttore del Getty Research Institute di Los Angeles e della Scuola Normale Superiore di Pisa, in quei fogli ha sentito “vibrare la personalità artistica di Raffaello” e si è gettato nel labirinto della storia insieme alla paleografa Giulia Ammannati. A due anni dalla mostra romana, il volume Raffaello tra gli sterpi. Le rovine di Roma e le origini della tutela, edito da Skira, è il frutto delle loro ricerche: un’indagine serrata e appassionante, dove il confronto tra le diverse versioni del testo si intreccia alle vicende della vita del Divin Pittore e al grande affresco della Roma cinquecentesca.
Raffaello “raccomanda al Papa Leone X la conservazione delle antichità romane”, Da Vita di Raffaelle da Urbino disegnata ed incisa da Giovanni Riepenhausen, Roma 1833, tav. XI, Roma, Biblioteca Hertziana
“Una necessaria analisi genetica”, lo hanno definito i due studiosi durante la presentazione di ieri alle Scuderie del Quirinale, che ricostruisce passo dopo passo lo sviluppo della lettera, fa luce sul gioco delle parti tra gli autori, evidenzia motivazioni e ripensamenti sfatando i falsi miti cresciuti intorno al manoscritto. Come quello di Raffaello “primo soprintendente dei beni culturali”: suo malgrado l’artista si ritrovò infatti a sventrare, per ordine del supremo mecenate, proprio quei monumenti che avrebbe voluto mappare in moderni, sistematici rilievi, ricostruire sulla carta nel loro aspetto originario e consegnare al futuro nelle migliori condizioni possibili. La storia ci dice che fu la morte dell’Urbinate a interrompere l’impresa e la stesura del manoscritto – più che una semplice missiva, doveva essere “una sontuosa opera illustrata”, racconta Settis, in cui l’artista si avvalse dell’amico Castiglione per dare forma ai propri pensieri in una prosa degna di un pontefice – e le idee in essa enunciate rimasero per molto tempo lettera morta.
La Roma di Augusto divisa in sedici [sic!] regioni Da Marco Fabio Calvo, Antiquae Urbis Romae cum regionibus simulachrum, Valerio Dorico, Roma 1532 [edizione identica alla tiratura del 1527, andata perduta durante il Sacco di Roma]
Attualissimo è invece lo spirito che animava Raffaello. Nel libro di Settis e Ammannati lo seguiamo mentre si fa strada tra le erbacce e striscia col ventre a terra per raggiungere le “grotte” in cui sono sepolte le rovine, o ammira incantato le grottesche della Domus Aurea. Lo immaginiamo mentre si rivolge al papa con rispetto e “protesta fingendo di elogiarlo, come si fa con i potenti”. E qui spunta il Raffaello che non ti aspetti: un uomo e un artista “vicino a noi, sperimentale, visionario”, racconta Settis: “il pensatore indipendente” che in nome di un’idea e di una passione ha l’audacia, come scopriremo tra le pagine del libro, di forzare la mano del pontefice.
Raffaello, Autoritratto con amico, 1518-1520 circa, Olio su tela, Parigi, Musée du Louvre, département des Peintures
Leggi anche:
• Raffaello e i tesori di Roma antica: l’attualità di una lettera di 500 anni fa
• L'Agenda dell'Arte - In libreria
Raffaello Sanzio, Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, 1912, olio su tavola. Galleria Palatina, Galleria egli Uffizi ed Appartamenti Reali
Miracolosamente sopravvissuti al tempo, quei fogli ingialliti svelavano un altro volto del maestro: oltre che pittore, architetto, decoratore e imprenditore, Raffaello fu archeologo ante litteram e primo paladino del patrimonio culturale italiano. In quegli anni di fermento artistico, le rovine di Roma antica erano saccheggiate quotidianamente per rifornire di marmi e materiali i nuovi cantieri. Lo stesso Leone X, dopo aver nominato il Sanzio architetto di San Pietro, gli ordinava di prelevare dai vecchi edifici tutto il necessario per completare “quam celerrime” il tempio della Cristianità. Raffaello era di un altro avviso: le vestigia antiche andavano lasciate al loro posto, liberate dalla sterpaglia che le infestava, studiate e salvaguardate. Rivolgendosi al pontefice, l’artista indica la via maestra per raggiungere l’obiettivo, facendo appello alla ragione e alle emozioni.
Baldassarre Castiglione, Autografo della Lettera a Leone X. Mantova Archivio di Stato
A uno sguardo più approfondito, tuttavia, la lettera si rivela densa di misteri. Chi la ritrovò nel 1733, dopo secoli di oblio, l’attribuì integralmente a Castiglione e lo stile impeccabile sembra confermarlo, ma l’io narrante sembra proprio quello di Raffaello. Più tardi lo scritto fu riferito ad altri artisti della cerchia del Sanzio. Chi la scrisse realmente? E perché non fu mai consegnata? A complicare ulteriormente la questione è la scoperta di un manoscritto di poco successivo, una nuova stesura ricca di variazioni e foriera di ulteriori domande.
Raffaello, Ritratto di Baldassarre Castiglione, 1513 circa (o 1519?). Olio su tela. Parigi, Musée du Louvre, département des Peintures
L’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis, già direttore del Getty Research Institute di Los Angeles e della Scuola Normale Superiore di Pisa, in quei fogli ha sentito “vibrare la personalità artistica di Raffaello” e si è gettato nel labirinto della storia insieme alla paleografa Giulia Ammannati. A due anni dalla mostra romana, il volume Raffaello tra gli sterpi. Le rovine di Roma e le origini della tutela, edito da Skira, è il frutto delle loro ricerche: un’indagine serrata e appassionante, dove il confronto tra le diverse versioni del testo si intreccia alle vicende della vita del Divin Pittore e al grande affresco della Roma cinquecentesca.
Raffaello “raccomanda al Papa Leone X la conservazione delle antichità romane”, Da Vita di Raffaelle da Urbino disegnata ed incisa da Giovanni Riepenhausen, Roma 1833, tav. XI, Roma, Biblioteca Hertziana
“Una necessaria analisi genetica”, lo hanno definito i due studiosi durante la presentazione di ieri alle Scuderie del Quirinale, che ricostruisce passo dopo passo lo sviluppo della lettera, fa luce sul gioco delle parti tra gli autori, evidenzia motivazioni e ripensamenti sfatando i falsi miti cresciuti intorno al manoscritto. Come quello di Raffaello “primo soprintendente dei beni culturali”: suo malgrado l’artista si ritrovò infatti a sventrare, per ordine del supremo mecenate, proprio quei monumenti che avrebbe voluto mappare in moderni, sistematici rilievi, ricostruire sulla carta nel loro aspetto originario e consegnare al futuro nelle migliori condizioni possibili. La storia ci dice che fu la morte dell’Urbinate a interrompere l’impresa e la stesura del manoscritto – più che una semplice missiva, doveva essere “una sontuosa opera illustrata”, racconta Settis, in cui l’artista si avvalse dell’amico Castiglione per dare forma ai propri pensieri in una prosa degna di un pontefice – e le idee in essa enunciate rimasero per molto tempo lettera morta.
La Roma di Augusto divisa in sedici [sic!] regioni Da Marco Fabio Calvo, Antiquae Urbis Romae cum regionibus simulachrum, Valerio Dorico, Roma 1532 [edizione identica alla tiratura del 1527, andata perduta durante il Sacco di Roma]
Attualissimo è invece lo spirito che animava Raffaello. Nel libro di Settis e Ammannati lo seguiamo mentre si fa strada tra le erbacce e striscia col ventre a terra per raggiungere le “grotte” in cui sono sepolte le rovine, o ammira incantato le grottesche della Domus Aurea. Lo immaginiamo mentre si rivolge al papa con rispetto e “protesta fingendo di elogiarlo, come si fa con i potenti”. E qui spunta il Raffaello che non ti aspetti: un uomo e un artista “vicino a noi, sperimentale, visionario”, racconta Settis: “il pensatore indipendente” che in nome di un’idea e di una passione ha l’audacia, come scopriremo tra le pagine del libro, di forzare la mano del pontefice.
Raffaello, Autoritratto con amico, 1518-1520 circa, Olio su tela, Parigi, Musée du Louvre, département des Peintures
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