Dal 28 marzo al 16 settembre in mostra alla Reggia di Venaria le opere del programma “Restituzioni”
La Fragilità della Bellezza: a Torino i tesori restaurati da Intesa Sanpaolo
Antoon Van Dyck, Ritratto di Caterina Balbi Durazzo (particolare), 1624. Palazzo Reale, Genova
Francesca Grego
28/03/2018
Torino - Tiziano, Van Dyck, Cy Twombly, l’antica Testa di Basilea (V secolo a.C.) e il coloratissimo Mantello Tupinambà, giunto in Italia nel XVI secolo dal Brasile: è un’inedita galleria di capolavori la 18° edizione di “Restituzioni”, il programma di salvaguardia e valorizzazione che da quasi 30 anni Intesa Sanpaolo dedica al patrimonio artistico italiano.
Atto finale di un vasto progetto di restauro portato avanti tra il 2016 e il 2017, fino al 16 settembre l’esposizione La Fragilità della Bellezza schiude agli occhi dei visitatori della Reggia di Venaria ben 212 opere provenienti da 17 regioni: dal Piemonte alla Calabria, dal Veneto alla Sardegna, per un totale di 63 enti pubblici proprietari e4 enti di tutela (soprintendenze, poli museali e musei autonomi) coinvolti, oltre a 70 storici dell’arte e 200 tra restauratori e autori di analisi scientifiche.
Un inno alla varietà del patrimonio del Belpaese, ma anche alla potenza evocativa di tesori che sono parte integrante dell’identità dei territori a cui appartengono, la cui fragilità materiale è occasione di una costante riscoperta attraverso tecniche sempre più evolute. “Se oggi è possibile andare più a fondo nelle puliture senza ‘svelare’ o ‘spellare’ un dipinto, è perché disponiamo di nuovi strumenti di guida. Un tempo non si andava oltre la radiografia e le fotografie ai raggi ultravioletti e infrarossi”, spiega il curatore scientifico di “Restituzioni” Carlo Bertelli: per esempio, “nel caso di un capolavoro di Vincenzo Foppa, la piccola tavola con tre crocefissi della pinacoteca dell’Accademia Carrara di Bergamo, sembrava impossibile rimuovere l’ampia integrazione ottocentesca che occupava tutta la parte inferiore del dipinto. Finché la scansione in 3D ha permesso di guidare millimetro per millimetro la mano del restauratore (in questo caso una restauratrice) nell’attentissimo lavoro di demolizione dei ritocchi, fino a rinvenire la pittura originale, fortunatamente assai meglio conservata di quanto si fosse temuto”.
Talvolta il restauro si trasforma in un’operazione di rilettura critica delle opere, come è successo per la Madonna con il Bambino di Jacopo Bellini che, liberata da vecchi residui di vernici posticce, è finalmente visibile nella trasparenza cromatica e nella nettezza del disegno coerenti con la personalità e con l’epoca del suo autore. Senza contare le sfide imprevedibili di tecniche e materiali insoliti, impiegati nella realizzazione di oggetti preziosissimi ma originariamente non concepiti per durare, come i disegni preparatori o i manufatti di interesse demoantropologico.
I quadri, le sculture, gli arazzi, i mosaici, gli affreschi, le oreficerie e i reperti archeologici presentati in mostra coprono un arco cronologico di quasi 40 secoli, spaziando dalle pitture murali della Tomba di Henib, provenienti dal Museo Egizio di Torino, alle opere novecentesche di Giorgio Morandi, Alberto Burri e Cy Twombly. Accanto ai mosaici di Aquileia, al seicentesco Clavicembalo dipinto del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma, ai gioielli dell’Abruzzo colpiti dai recenti terremoti, è possibile ammirare opere celeberrime, ma anche raffinati capolavori finora poco studiati, come il monumentale Retablo di San Pietro, tra le massime espressioni del Rinascimento in Sardegna.
Per finire con dipinti che non hanno bisogno di presentazioni: il San Girolamo Penitente di Tiziano, della Pinacoteca di Brera, il Ritratto di Caterina Balbi Durazzo di Antoon van Dyck, del Palazzo Reale di Genova, il San Daniele nella Fossa dei Leoni di Pietro da Cortona, delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, fino al Mercato nuovo di Dresda visto dallo Jüdenof di Bernardo Bellotto, unica opera proveniente da un museo estero, la Gemäldegalerie di Dresda.
È ancora in corso, invece, il restauro di un gioiello come la Trasfigurazione di Cristo di Giovanni Bellini del Museo di Capodimonte, la cui fragilità deriva proprio dal fatto di essere ancora sorprendentemente integra nonostante gli oltre sei secoli di vita: in questo contesto il lavoro di recupero risulta particolarmente delicato, poiché ogni elemento che possa turbarne la perfezione risulterebbe inaccettabilmente invasivo.
Nel frattempo, Intesa Sanpaolo mette in cantiere un nuovo progetto. Sempre nell’ambito di “Restituzioni”, il 28 e il 29 maggio l’Istituto sosterrà il simposio internazionale Anche le statue muoiono. Distruzione e conservazione nei tempi antichi e moderni, che per iniziativa del Museo Egizio di Torino, della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e dei Musei Reali porterà nel capoluogo piemontese studiosi provenienti da tutto il mondo per affrontare il tema della fragilità del patrimonio culturale.
Atto finale di un vasto progetto di restauro portato avanti tra il 2016 e il 2017, fino al 16 settembre l’esposizione La Fragilità della Bellezza schiude agli occhi dei visitatori della Reggia di Venaria ben 212 opere provenienti da 17 regioni: dal Piemonte alla Calabria, dal Veneto alla Sardegna, per un totale di 63 enti pubblici proprietari e4 enti di tutela (soprintendenze, poli museali e musei autonomi) coinvolti, oltre a 70 storici dell’arte e 200 tra restauratori e autori di analisi scientifiche.
Un inno alla varietà del patrimonio del Belpaese, ma anche alla potenza evocativa di tesori che sono parte integrante dell’identità dei territori a cui appartengono, la cui fragilità materiale è occasione di una costante riscoperta attraverso tecniche sempre più evolute. “Se oggi è possibile andare più a fondo nelle puliture senza ‘svelare’ o ‘spellare’ un dipinto, è perché disponiamo di nuovi strumenti di guida. Un tempo non si andava oltre la radiografia e le fotografie ai raggi ultravioletti e infrarossi”, spiega il curatore scientifico di “Restituzioni” Carlo Bertelli: per esempio, “nel caso di un capolavoro di Vincenzo Foppa, la piccola tavola con tre crocefissi della pinacoteca dell’Accademia Carrara di Bergamo, sembrava impossibile rimuovere l’ampia integrazione ottocentesca che occupava tutta la parte inferiore del dipinto. Finché la scansione in 3D ha permesso di guidare millimetro per millimetro la mano del restauratore (in questo caso una restauratrice) nell’attentissimo lavoro di demolizione dei ritocchi, fino a rinvenire la pittura originale, fortunatamente assai meglio conservata di quanto si fosse temuto”.
Talvolta il restauro si trasforma in un’operazione di rilettura critica delle opere, come è successo per la Madonna con il Bambino di Jacopo Bellini che, liberata da vecchi residui di vernici posticce, è finalmente visibile nella trasparenza cromatica e nella nettezza del disegno coerenti con la personalità e con l’epoca del suo autore. Senza contare le sfide imprevedibili di tecniche e materiali insoliti, impiegati nella realizzazione di oggetti preziosissimi ma originariamente non concepiti per durare, come i disegni preparatori o i manufatti di interesse demoantropologico.
I quadri, le sculture, gli arazzi, i mosaici, gli affreschi, le oreficerie e i reperti archeologici presentati in mostra coprono un arco cronologico di quasi 40 secoli, spaziando dalle pitture murali della Tomba di Henib, provenienti dal Museo Egizio di Torino, alle opere novecentesche di Giorgio Morandi, Alberto Burri e Cy Twombly. Accanto ai mosaici di Aquileia, al seicentesco Clavicembalo dipinto del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma, ai gioielli dell’Abruzzo colpiti dai recenti terremoti, è possibile ammirare opere celeberrime, ma anche raffinati capolavori finora poco studiati, come il monumentale Retablo di San Pietro, tra le massime espressioni del Rinascimento in Sardegna.
Per finire con dipinti che non hanno bisogno di presentazioni: il San Girolamo Penitente di Tiziano, della Pinacoteca di Brera, il Ritratto di Caterina Balbi Durazzo di Antoon van Dyck, del Palazzo Reale di Genova, il San Daniele nella Fossa dei Leoni di Pietro da Cortona, delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, fino al Mercato nuovo di Dresda visto dallo Jüdenof di Bernardo Bellotto, unica opera proveniente da un museo estero, la Gemäldegalerie di Dresda.
È ancora in corso, invece, il restauro di un gioiello come la Trasfigurazione di Cristo di Giovanni Bellini del Museo di Capodimonte, la cui fragilità deriva proprio dal fatto di essere ancora sorprendentemente integra nonostante gli oltre sei secoli di vita: in questo contesto il lavoro di recupero risulta particolarmente delicato, poiché ogni elemento che possa turbarne la perfezione risulterebbe inaccettabilmente invasivo.
Nel frattempo, Intesa Sanpaolo mette in cantiere un nuovo progetto. Sempre nell’ambito di “Restituzioni”, il 28 e il 29 maggio l’Istituto sosterrà il simposio internazionale Anche le statue muoiono. Distruzione e conservazione nei tempi antichi e moderni, che per iniziativa del Museo Egizio di Torino, della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e dei Musei Reali porterà nel capoluogo piemontese studiosi provenienti da tutto il mondo per affrontare il tema della fragilità del patrimonio culturale.
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