Alla Società Promotrice delle Belle Arti fino al 26 maggio
Un Ligabue "privato" in mostra a Torino
Antonio Ligabue, Ritorno dai campi, 1959, Olio su faesite, 100 × 65 cm, Collezione privata
Samantha De Martin
30/01/2024
Torino - C'è un caseifico, e il ritorno dal lavoro. Un ritratto di donna, un interno, un vaso con fiori. E poi castelli, lumache, fattorie, una semina con cavalli imbizzarriti.
I tormenti di Antonio Ligabue, racchiusi nell’iconografia popolare e raffinata dei suoi lavori, si raccontano in una mostra in corso alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino.
Fino al 26 maggio oltre 90 opere scandiscono un viaggio nell’arte del genio visionario sempre in costante evoluzione, nato a Zurigo e morto a Gualtieri.
Curata da Giovanni Faccenda, con il patrocinio della “Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue” e prodotta da SM.ART, con la direzione creativa e di produzione di WeAreBeside, l'esposizione presenta in otto sale un corpus di 71 dipinti, 8 sculture e 13 disegni in prestito da collezioni private.
Antonio Ligabue, Lotta di galli, 1953, Olio su faesite, Collezione privata
I visitatori si imbattono nei celebri autoritratti e nella Testa di tigre del 1953, nel Leopardo del 1955 e nel Motociclista del 1954. Alla Traversata della Siberia del 1959 si affiancano le sculture Leone e Leonessa del 1935, Pantera del 1938, Leonessa accucciata del 1940, e ancora il Busto di Gorilla del 1956, i disegni con figure di animali e l’Autoritratto a matita del 1955.
“L’arte, quando gli fu possibile o scelse lui stesso volontariamente di praticarla - spiega il curatore Giovanni Faccenda - rappresentò per Ligabue non già un itinerario terapeutico o un’evasione salvifica dai propri, insanabili, tormenti esistenziali, ma il racconto crudo dei medesimi attraverso argute allegorie caratterizzate dalla presenza degli amati animali: tigri, vipere, cani, mosche, api... Dichiarazioni appassionate, invero, di chi, nella vita di tutti i giorni, annegasse, al contrario, nel più torrido silenzio: quello, terribile, cagionato da coloro che, disprezzandoti, non ti rivolgono neppure una parola e, se lo fanno, è, questa, solo espressione di cattiveria, ingiuria, dileggio”.
Antonio Ligabue, Paesaggio agreste, 1955, Olio su faesite, 68.3 x 45.8 cm, Collezione privata
Per “El matt”, il matto, come Ligabue era stato soprannominato da adulto, “plasmare l’argilla, disegnare su fogli di carta tenuta nascosta come un tesoro oppure dipingere al cavalletto, guardando ossessivamente la propria immagine riflessa nello specchio vicino, livida dopo essersi ripetutamente colpito con un sasso il naso (affinché fosse più aquilino) o le tempie sanguinanti (per far uscire il Male che avvertiva lacerargli la mente), era l’unico modo per sottrarsi, almeno temporaneamente, alla propria, fatale, odissea terrena”.
La mostra è aperta da martedì a domenica dalle 10 alle 20 (ultimo ingresso alle 19).
I tormenti di Antonio Ligabue, racchiusi nell’iconografia popolare e raffinata dei suoi lavori, si raccontano in una mostra in corso alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino.
Fino al 26 maggio oltre 90 opere scandiscono un viaggio nell’arte del genio visionario sempre in costante evoluzione, nato a Zurigo e morto a Gualtieri.
Curata da Giovanni Faccenda, con il patrocinio della “Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue” e prodotta da SM.ART, con la direzione creativa e di produzione di WeAreBeside, l'esposizione presenta in otto sale un corpus di 71 dipinti, 8 sculture e 13 disegni in prestito da collezioni private.
Antonio Ligabue, Lotta di galli, 1953, Olio su faesite, Collezione privata
I visitatori si imbattono nei celebri autoritratti e nella Testa di tigre del 1953, nel Leopardo del 1955 e nel Motociclista del 1954. Alla Traversata della Siberia del 1959 si affiancano le sculture Leone e Leonessa del 1935, Pantera del 1938, Leonessa accucciata del 1940, e ancora il Busto di Gorilla del 1956, i disegni con figure di animali e l’Autoritratto a matita del 1955.
“L’arte, quando gli fu possibile o scelse lui stesso volontariamente di praticarla - spiega il curatore Giovanni Faccenda - rappresentò per Ligabue non già un itinerario terapeutico o un’evasione salvifica dai propri, insanabili, tormenti esistenziali, ma il racconto crudo dei medesimi attraverso argute allegorie caratterizzate dalla presenza degli amati animali: tigri, vipere, cani, mosche, api... Dichiarazioni appassionate, invero, di chi, nella vita di tutti i giorni, annegasse, al contrario, nel più torrido silenzio: quello, terribile, cagionato da coloro che, disprezzandoti, non ti rivolgono neppure una parola e, se lo fanno, è, questa, solo espressione di cattiveria, ingiuria, dileggio”.
Antonio Ligabue, Paesaggio agreste, 1955, Olio su faesite, 68.3 x 45.8 cm, Collezione privata
Per “El matt”, il matto, come Ligabue era stato soprannominato da adulto, “plasmare l’argilla, disegnare su fogli di carta tenuta nascosta come un tesoro oppure dipingere al cavalletto, guardando ossessivamente la propria immagine riflessa nello specchio vicino, livida dopo essersi ripetutamente colpito con un sasso il naso (affinché fosse più aquilino) o le tempie sanguinanti (per far uscire il Male che avvertiva lacerargli la mente), era l’unico modo per sottrarsi, almeno temporaneamente, alla propria, fatale, odissea terrena”.
La mostra è aperta da martedì a domenica dalle 10 alle 20 (ultimo ingresso alle 19).
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