Dal 10 maggio la mostra The Ground We Have in Common alle Gallerie delle Prigioni
Luoghi, paesaggi e memoria: a Treviso 12 artisti rileggono il paesaggio
Luciano Benetton, Presidente della Fondazione Benetton Studi Ricerche
Eleonora Zamparutti
11/04/2019
Treviso - Per le ordinate vie del centro storico di Treviso scatta il coprifuoco intorno alle ore 13. Si abbassano le serrande dei negozi. Scende un silenzio che immobilizza, e la provincia sprofonda nel riposino di metà giornata.
“Luciano Benetton ha fatto veramente tanto per la sua città” afferma Marco Tamaro all’ingresso dei Palazzi Bomben e Caotorta dove ha sede la Fondazione Benetton Studi Ricerche, di cui Tamaro è il direttore. All’interno del complesso si scopre una cosa curiosa: è difficile fare una distinzione tra dentro e fuori, pubblico e privato. Tutti gli abitanti possono avere accesso al giardino urbano pedonale, realizzato su disegno di Domenico Luciani, superando la passerella sopra le acque della Roggia.
La sede della Fondazione Benetton dal ponticello di via Roggia a Treviso. Foto di Corrado Piccoli
Ci addentriamo lungo i corridoi del centro documentazione aperto ai visitatori e ospitato al piano terra di Palazzo Caotorta. Sono conservati documenti, libri e materiali di interesse per i temi di ricerca della Fondazione: il paesaggio e la cura dei luoghi, la storia e la civiltà dei giochi, la storia veneta. Oltre 70mila volumi, 12mila cartografie e 60mila fotografie fanno parte del fondo.
La recente notizia del conferimento da parte del comitato scientifico della Fondazione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, giunto quest’anno alla XXX edizione, a I giardini del tè di Dazhangshan, situati nella Cina meridionale, ha fatto un gran parlare sulla stampa. Visto da qui quel premio, istituito trenta anni fa, sembra un dardo lanciato nello spazio: per l’attenzione verso un tema a quel tempo non abbastanza valorizzato nel nostro paese come il paesaggio - inteso come sintesi di natura, memoria e invenzione - e per la sua vocazione internazionale.
Lasciamo il cortile del Palazzo Bomben, solo dopo aver ammirato la scultura Crescita di Carlo Scarpa, e percorrendo le vie di Treviso ci dirigiamo verso piazza Duomo, dove hanno sede le Gallerie delle Prigioni.
Si tratta di un edificio massiccio a ridosso del Tribunale, invisibile per i passanti, e che un tempo, dal 1850 fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, ospitava le prigioni asburgiche di Treviso e poi per i successivi 60 anni è stato adibito ad archivio del tribunale.
Acquistato da Benetton, l’immobile è stato oggetto di un importante intervento di restauro su progetto di Tobia Scarpa, e da un anno ha trovato la nuova destinazione: centro culturale di arte contemporanea.
Proprio in questa sede dal 10 maggio sarà allestita “The Ground We Have in Common”, un’esposizione dalla duplice anima curata da Nikolas Vamvouklis e Patrizia Boschiero che unirà un percorso a taglio storico per ricordare 30 anni di ricerca sul paesaggio coronati da altrettanti premi Scarpa, e uno più artistico per il quale sono stati chiamati 12 artisti contemporanei internazionali ai quali stanno a cuore i temi come la cura dei luoghi, il paesaggio, la memoria.Tra gli altri, Michele Spanghero presenterà la scultura Listening Is Making Sense (2016) che utilizza travi di legno come vettori per la propagazione delle vibrazioni sonore. Mentre un'altra artista tra le più importanti della sua generazione, Susan Hiller, introdurrà nel percorso espositivo l’elemento del tempo attraverso l'installazione audio What Every Gardener Knows, 2003. La sua musica è basata sulle scoperte di Gregor Mendel relative alla trasmissione dei caratteri ereditari in natura.
Insomma un ponte artistico verso l’istituzione sorella che sorge a qualche centinaio di metri.
Mi accolgono all’ingresso Nikolas Vamvouklis, capo curatore delle Gallerie delle Prigioni, e Mattia Solari, curatore della mostra “Poetic Boom Boom”, recentemente prorogata fino al 25 aprile. Osservo il manifesto che campeggia nel cortile: l’iconica fotografia di Sarenco che ritrae una ragazzina in minigonna a Dublino con in mano delle pietre, pronta a scagliarle, e la scritta “Poetical Licence”.
Sarenco, Poetical Licence
“Questo spazio di arte contemporanea, l’unico a Treviso, è aperto al pubblico, gratuitamente” afferma Nicolas Vamvouklis. “Dall’inaugurazione a oggi abbiamo ospitato 3 mostre, compresa quella in corso che finora ha contato oltre 70mila visitatori. L’attività espositiva è affiancata da un ricco palinsesto che prevede numerosi eventi collaterali, proiezioni, programmi educativi per le scuole. Di recente abbiamo ospitato anche la performance di Julien Blaine, un omaggio a Sarenco. E’ stato un intervento decisamente provocatorio”.
Il manifesto che troneggia all’ingresso offre un assaggio di quello che ci attende. “Poetic Boom Boom”, l’esposizione ospitata all’interno, è una panoramica incentrata sulla Poesia Visiva - movimento che è cominciato negli anni ’60 focalizzato sul significato del guardare - attraverso la selezione di opere da leggere e opere da vedere, realizzate in Europa dagli anni ’60 a oggi. L’intento è di fornire un aiuto o uno strumento per liberare la lettura delle immagini. La parola viene trasformata in soggetto dell’opera d’arte e la poesia diventa così leggibile e visibile. Appropriandosi dei linguaggi della pubblicità e della comunicazione, il lavoro dei poeti visivi voleva criticare la cultura di massa e portare alla luce questioni sociali e politiche.
Difficile non intravvedere un segno di continuità tra i contenuti della mostra e le intenzioni della comunicazione del gruppo industriale negli anni Novanta, ai tempi d’oro, quando a dirigerla c’era Oliviero Toscani, peraltro chiamato recentemente a riprendere in mano il lavoro interrotto.
“Le Gallerie delle Prigioni sono la sede del progetto Imago Mundi” continua Vamvouklis. “Si tratta di una collezione cominciata nel 2008 da Luciano Benetton che è sempre stato interessato all’arte e in particolar modo quella contemporanea.Si tratta di una collezione anomala, che si è accresciuta negli anni nel corso dei numerosi viaggi compiuti per l’attività imprenditoriale e poi durante i viaggi privati. Tutto è nato in Ecuador nell’atelier dell’artista Miguel Betancourt che aveva deciso di regalare al signor Benetton un’opera di piccole dimensioni, per poterla trasportare facilmente a casa. Quell’opera è considerata il numero zero della collezione. Imago Mundi è nata con la volontà di mostrare la diversità.”
Esposizione di alcune opere della collezione Imago Mundi ospitata presso le Gallerie delle Prigioni a Treviso
Oggi la collezione alimenta un enorme database che raccoglie 25.000 opere, organizzate in 155 collezioni geografiche nazionali e transnazionali nel caso in cui siano espressione di etnie sparpagliate tra nazioni diverse, gestite da 120 curatori che agiscono su base locale per la selezione e l’aggiornamento delle collezioni che avviene su base annua. Fino ad ora le collezioni hanno dato vita alla pubblicazione di 150 cataloghi, distribuiti esclusivamente online. Sul sito ufficiale sono pubblicate le biografie di tutti gli artisti che hanno aderito al progetto e la scheda dell’opera che hanno donato a titolo gratuito. Ci sono anche nomi noti: nella collezione sono presenti opere che portano la firma di artisti affermati come Kiki Smith, Christo, Chia, Laurie Anderson.
L’unico limite riguarda le dimensioni del formato a cui devono attenersi gli artisti: 10 cm x 12 cm. Poco più di un francobollo. “E’ proprio questo che viene richiesto agli artisti, cioè di andare al di là della dimensione prigioniera dello spazio, esprimendo creatività” continua Nicolas Vamvouklis. “Ci interessa soprattutto la diffusione delle idee, con particolare attenzione rivolta ai giovani e alle minoranze. L’idea è di dare vita a un grande archivio dove gli artisti possano mettere il loro tassello in cambio di visibilità. La Fondazione collabora con altre istituzioni internazionali a New York, a Sarajevo, a Kiev, a Palermo, a New Orleans, a Trieste. Attualmente è in fase di realizzazione un nuovo progetto di collaborazione con l’Aga Khan Museum di Toronto su arte ed emigrazione di seconda generazione. Come tutte le mostre di Imago Mundi, anche questa sarà itinerante”.
Di recente è stata presentata la prima collezione ArtTheorema, progetto a cura di Claudio Scorretti e Irina Ungureanu che, con cadenza annuale, integra il lavoro di ricerca e promozione dei talenti artistici di Imago Mundi, aggiungendosi alle oltre 155 collezioni dedicate alle nazioni e alle comunità native dei cinque continenti. Questa collezione presenta 231 opere di 203 artisti da 104 Paesi.
L'interno della chiesa di San Teonisto con le gradinate a scomparsa, realizzate su progetto di Tobia Scarpa
Lasciamo le Prigioni alle spalle e ci dirigiamo in direzione della chiesa sconsacrata di San Teonisto, due anni fa entrata a far parte della Fondazione. In questo luogo cambia totalmente la prospettiva di osservazione verso il tempo: non più il presente, ma la storia passata, vero e proprio collante dell'identità locale, è protagonista.
Dopo un intervento di restauro a cura di Tobia Scarpa (con tanto di gradinate a scomparsa che trasformano all'occorenza lo spazio in auditorium), la chiesa è stata destinata a spazio per musica e spettacoli culturali. Oggi è uno dei tanti tasselli che formano la galassia Benetton.
Le origini della chiesa risalgono al 1434, quando le monache del convento di Santa Maria Assunta di Mogliano si trasferirono a Treviso per osservare una più stretta clausura e decisero di erigere un nuovo luogo di culto. All'interno della chiesa sono conservate opere del ‘600.
Con l’arrivo di Napoleone molte opere furono trafugate, come ad esempio le Nozze di Cana di Paolo Veronese (ora a Montecitorio) e la pala di Palma il Giovane raffigurante il Martirio di San Teonisto (ora alla Pinacoteca di Brera), mentre il Martirio di Santa Giuliana di Carletto Caliari si trova al Castello sforzesco di Milano. Ma le vicende della storia si sono abbattute anche in seguito su questo luogo. Fortemente danneggiata in seguito ai bombardamenti del ’44, la chiesa è stata spoliata delle tele e delle opere di pregio portate in salvo presso i Musei Civici di Treviso.
Con l’arrivo di Benetton le opere originarie sono state oggetto di un importante restauro e oggi si trovano collecate nuovamente nella chiesa.
Ma intanto lo sguardo già volge al futuro: all'inizio del prossimo anno, protagonista degli spazi delle Gallerie delle Prigioni, sarà un'esposizione dedicata alla prima e alla seconda edizione della collezione ArTheorema.
“Luciano Benetton ha fatto veramente tanto per la sua città” afferma Marco Tamaro all’ingresso dei Palazzi Bomben e Caotorta dove ha sede la Fondazione Benetton Studi Ricerche, di cui Tamaro è il direttore. All’interno del complesso si scopre una cosa curiosa: è difficile fare una distinzione tra dentro e fuori, pubblico e privato. Tutti gli abitanti possono avere accesso al giardino urbano pedonale, realizzato su disegno di Domenico Luciani, superando la passerella sopra le acque della Roggia.
La sede della Fondazione Benetton dal ponticello di via Roggia a Treviso. Foto di Corrado Piccoli
Ci addentriamo lungo i corridoi del centro documentazione aperto ai visitatori e ospitato al piano terra di Palazzo Caotorta. Sono conservati documenti, libri e materiali di interesse per i temi di ricerca della Fondazione: il paesaggio e la cura dei luoghi, la storia e la civiltà dei giochi, la storia veneta. Oltre 70mila volumi, 12mila cartografie e 60mila fotografie fanno parte del fondo.
La recente notizia del conferimento da parte del comitato scientifico della Fondazione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, giunto quest’anno alla XXX edizione, a I giardini del tè di Dazhangshan, situati nella Cina meridionale, ha fatto un gran parlare sulla stampa. Visto da qui quel premio, istituito trenta anni fa, sembra un dardo lanciato nello spazio: per l’attenzione verso un tema a quel tempo non abbastanza valorizzato nel nostro paese come il paesaggio - inteso come sintesi di natura, memoria e invenzione - e per la sua vocazione internazionale.
Lasciamo il cortile del Palazzo Bomben, solo dopo aver ammirato la scultura Crescita di Carlo Scarpa, e percorrendo le vie di Treviso ci dirigiamo verso piazza Duomo, dove hanno sede le Gallerie delle Prigioni.
Si tratta di un edificio massiccio a ridosso del Tribunale, invisibile per i passanti, e che un tempo, dal 1850 fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, ospitava le prigioni asburgiche di Treviso e poi per i successivi 60 anni è stato adibito ad archivio del tribunale.
Acquistato da Benetton, l’immobile è stato oggetto di un importante intervento di restauro su progetto di Tobia Scarpa, e da un anno ha trovato la nuova destinazione: centro culturale di arte contemporanea.
Proprio in questa sede dal 10 maggio sarà allestita “The Ground We Have in Common”, un’esposizione dalla duplice anima curata da Nikolas Vamvouklis e Patrizia Boschiero che unirà un percorso a taglio storico per ricordare 30 anni di ricerca sul paesaggio coronati da altrettanti premi Scarpa, e uno più artistico per il quale sono stati chiamati 12 artisti contemporanei internazionali ai quali stanno a cuore i temi come la cura dei luoghi, il paesaggio, la memoria.Tra gli altri, Michele Spanghero presenterà la scultura Listening Is Making Sense (2016) che utilizza travi di legno come vettori per la propagazione delle vibrazioni sonore. Mentre un'altra artista tra le più importanti della sua generazione, Susan Hiller, introdurrà nel percorso espositivo l’elemento del tempo attraverso l'installazione audio What Every Gardener Knows, 2003. La sua musica è basata sulle scoperte di Gregor Mendel relative alla trasmissione dei caratteri ereditari in natura.
Insomma un ponte artistico verso l’istituzione sorella che sorge a qualche centinaio di metri.
Mi accolgono all’ingresso Nikolas Vamvouklis, capo curatore delle Gallerie delle Prigioni, e Mattia Solari, curatore della mostra “Poetic Boom Boom”, recentemente prorogata fino al 25 aprile. Osservo il manifesto che campeggia nel cortile: l’iconica fotografia di Sarenco che ritrae una ragazzina in minigonna a Dublino con in mano delle pietre, pronta a scagliarle, e la scritta “Poetical Licence”.
Sarenco, Poetical Licence
“Questo spazio di arte contemporanea, l’unico a Treviso, è aperto al pubblico, gratuitamente” afferma Nicolas Vamvouklis. “Dall’inaugurazione a oggi abbiamo ospitato 3 mostre, compresa quella in corso che finora ha contato oltre 70mila visitatori. L’attività espositiva è affiancata da un ricco palinsesto che prevede numerosi eventi collaterali, proiezioni, programmi educativi per le scuole. Di recente abbiamo ospitato anche la performance di Julien Blaine, un omaggio a Sarenco. E’ stato un intervento decisamente provocatorio”.
Il manifesto che troneggia all’ingresso offre un assaggio di quello che ci attende. “Poetic Boom Boom”, l’esposizione ospitata all’interno, è una panoramica incentrata sulla Poesia Visiva - movimento che è cominciato negli anni ’60 focalizzato sul significato del guardare - attraverso la selezione di opere da leggere e opere da vedere, realizzate in Europa dagli anni ’60 a oggi. L’intento è di fornire un aiuto o uno strumento per liberare la lettura delle immagini. La parola viene trasformata in soggetto dell’opera d’arte e la poesia diventa così leggibile e visibile. Appropriandosi dei linguaggi della pubblicità e della comunicazione, il lavoro dei poeti visivi voleva criticare la cultura di massa e portare alla luce questioni sociali e politiche.
Difficile non intravvedere un segno di continuità tra i contenuti della mostra e le intenzioni della comunicazione del gruppo industriale negli anni Novanta, ai tempi d’oro, quando a dirigerla c’era Oliviero Toscani, peraltro chiamato recentemente a riprendere in mano il lavoro interrotto.
“Le Gallerie delle Prigioni sono la sede del progetto Imago Mundi” continua Vamvouklis. “Si tratta di una collezione cominciata nel 2008 da Luciano Benetton che è sempre stato interessato all’arte e in particolar modo quella contemporanea.Si tratta di una collezione anomala, che si è accresciuta negli anni nel corso dei numerosi viaggi compiuti per l’attività imprenditoriale e poi durante i viaggi privati. Tutto è nato in Ecuador nell’atelier dell’artista Miguel Betancourt che aveva deciso di regalare al signor Benetton un’opera di piccole dimensioni, per poterla trasportare facilmente a casa. Quell’opera è considerata il numero zero della collezione. Imago Mundi è nata con la volontà di mostrare la diversità.”
Esposizione di alcune opere della collezione Imago Mundi ospitata presso le Gallerie delle Prigioni a Treviso
Oggi la collezione alimenta un enorme database che raccoglie 25.000 opere, organizzate in 155 collezioni geografiche nazionali e transnazionali nel caso in cui siano espressione di etnie sparpagliate tra nazioni diverse, gestite da 120 curatori che agiscono su base locale per la selezione e l’aggiornamento delle collezioni che avviene su base annua. Fino ad ora le collezioni hanno dato vita alla pubblicazione di 150 cataloghi, distribuiti esclusivamente online. Sul sito ufficiale sono pubblicate le biografie di tutti gli artisti che hanno aderito al progetto e la scheda dell’opera che hanno donato a titolo gratuito. Ci sono anche nomi noti: nella collezione sono presenti opere che portano la firma di artisti affermati come Kiki Smith, Christo, Chia, Laurie Anderson.
L’unico limite riguarda le dimensioni del formato a cui devono attenersi gli artisti: 10 cm x 12 cm. Poco più di un francobollo. “E’ proprio questo che viene richiesto agli artisti, cioè di andare al di là della dimensione prigioniera dello spazio, esprimendo creatività” continua Nicolas Vamvouklis. “Ci interessa soprattutto la diffusione delle idee, con particolare attenzione rivolta ai giovani e alle minoranze. L’idea è di dare vita a un grande archivio dove gli artisti possano mettere il loro tassello in cambio di visibilità. La Fondazione collabora con altre istituzioni internazionali a New York, a Sarajevo, a Kiev, a Palermo, a New Orleans, a Trieste. Attualmente è in fase di realizzazione un nuovo progetto di collaborazione con l’Aga Khan Museum di Toronto su arte ed emigrazione di seconda generazione. Come tutte le mostre di Imago Mundi, anche questa sarà itinerante”.
Di recente è stata presentata la prima collezione ArtTheorema, progetto a cura di Claudio Scorretti e Irina Ungureanu che, con cadenza annuale, integra il lavoro di ricerca e promozione dei talenti artistici di Imago Mundi, aggiungendosi alle oltre 155 collezioni dedicate alle nazioni e alle comunità native dei cinque continenti. Questa collezione presenta 231 opere di 203 artisti da 104 Paesi.
L'interno della chiesa di San Teonisto con le gradinate a scomparsa, realizzate su progetto di Tobia Scarpa
Lasciamo le Prigioni alle spalle e ci dirigiamo in direzione della chiesa sconsacrata di San Teonisto, due anni fa entrata a far parte della Fondazione. In questo luogo cambia totalmente la prospettiva di osservazione verso il tempo: non più il presente, ma la storia passata, vero e proprio collante dell'identità locale, è protagonista.
Dopo un intervento di restauro a cura di Tobia Scarpa (con tanto di gradinate a scomparsa che trasformano all'occorenza lo spazio in auditorium), la chiesa è stata destinata a spazio per musica e spettacoli culturali. Oggi è uno dei tanti tasselli che formano la galassia Benetton.
Le origini della chiesa risalgono al 1434, quando le monache del convento di Santa Maria Assunta di Mogliano si trasferirono a Treviso per osservare una più stretta clausura e decisero di erigere un nuovo luogo di culto. All'interno della chiesa sono conservate opere del ‘600.
Con l’arrivo di Napoleone molte opere furono trafugate, come ad esempio le Nozze di Cana di Paolo Veronese (ora a Montecitorio) e la pala di Palma il Giovane raffigurante il Martirio di San Teonisto (ora alla Pinacoteca di Brera), mentre il Martirio di Santa Giuliana di Carletto Caliari si trova al Castello sforzesco di Milano. Ma le vicende della storia si sono abbattute anche in seguito su questo luogo. Fortemente danneggiata in seguito ai bombardamenti del ’44, la chiesa è stata spoliata delle tele e delle opere di pregio portate in salvo presso i Musei Civici di Treviso.
Con l’arrivo di Benetton le opere originarie sono state oggetto di un importante restauro e oggi si trovano collecate nuovamente nella chiesa.
Ma intanto lo sguardo già volge al futuro: all'inizio del prossimo anno, protagonista degli spazi delle Gallerie delle Prigioni, sarà un'esposizione dedicata alla prima e alla seconda edizione della collezione ArTheorema.
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