Al Centro Candiani fino al 13 febbraio 2024.
Chagall fa sognare Mestre
La mostra Chagall. Il colore dei sogni al Centro Candiani di Mestre - courtesy © Fondazione Musei Civici di Venezia
Piero Muscarà
29/09/2023
Venezia - Dopo i record dello scorso anno con Kandinsky che superò i 35mila visitatori, il Centro Candiani di Mestre apre con una nuova grandiosa mostra progettata e organizzata dalla Fondazione dei Musei Civici di Venezia, curata dalla direttrice del prestigioso museo veneziano di Ca’ Pesaro Elisabetta Barisoni e dedicata ad un altro maestro dell’arte del Novecento, Marc Chagall.
E per dar forma al “sogno” di Chagall, che in questa mostra - intitolata Chagall. Il colore dei sogni - parla di colore (“il blu in cui tutto per Chagall poi si immerge” ci ricorda la Barisoni in conferenza stampa), parla di poesia, di miracoli religiosi, se non addirittura spirituali e che crea una meravigliosa atmosfera dove l’aura magica di questo pittore tanto amato dagli art lovers, quanto conosciuto ed apprezzato anche dal popolino che nulla sa di arte e di cultura per le sue immagini al tempo stesso semplici, comprensibili e sospese a mezz’aria come dei leggiadri pensieri che tutti possiamo cogliere con animo gentile e sensibile, per dar forma a questa mostra - dicevamo - gli amici del MUVE hanno coraggiosamente scelto la piazza più difficile, o meglio improbabile: quella del Centro Candiani di Mestre.
Epicentro del non-luogo per eccellenza il Candiani. Che poi sarebbe la new Venice in terraferma parte del più vasto dominio di Venezia metropolitana, quella Mestre sogno tradito della middle class serenissima che dagli anni ‘50 dello scorso secolo mise le radici qui per edificare il proprio futuro post-lagunare, moderno e votato all’innovazione per ritrovarsi oggi in una periferia senza fine di una Veniceland che solo nel turismo di massa e dei facili commerci ha saputo immaginare se stessa.
Una non-città Mestre dove a fianco della centrale Piazza Ferretto si erge come una cattedrale nel deserto appunto un Centro Candiani che è l’emblema di ogni sogno infranto.
Un colosso di cemento che pare appendice di un parcheggio più che un luogo votato alla cultura e all’arte. Dodicesimo spazio espositivo in gestione alla Fondazione Musei Civici di Venezia, quello che dovrebbe aver l’ambizione di parlare al territorio. Insomma spazio civico per eccellenza (e "non di mostre per i turisti", dice non sottovoce il primo cittadino - ndr), ma ospitato appunto in questo cubo di cemento che deve fare i conti con moquette improbabili nell’ingresso condiviso con il multiplex cinematografico IMG e un secondo piano espositivo dove gli encomiabili sforzi dei bravi e creativi architetti ed allestitori del MUVE si scontrano con il design labirintico di 600 metri quadri immaginati - a suo tempo - per altre funzioni che quelle di divenir un museo o una sala espositiva dove fare una mostra.
Ma tant’è. Ci vuole coraggio dicevamo per fare una mostra qui. E portarci Chagall, convincendo fior fior di musei internazionali - dall’Albertina Museum di Vienna, dal Musée National Marc Chagall di Nizza, dal Szépművészeti Múzeum di Budapest e dall’Israel Museum di Gerusalemme - ad affidare i propri capolavori in prestito. Una impresa non facile. Chapeau. I mestrini, anzi i veneziani metropolitani che abitano qui, ne hanno di che esser orgogliosi.
Quelli del MUVE, un team di super professionisti, un equipaggio che guida sicuro la fondazione veneziana civica e culturale, pur senza un direttore da quando Gabriella Belli è andata in pensione nel 2022, han messo su una mostra che si potrebbe trovare non dico a Parigi o a Londra, ma che certamente non sfigurerebbe a Milano, a Roma .. a Firenze o a Venezia. Una mostra che ha il pregio di esser anche gratuita e che siamo certi convincerà anche molte famiglie del vasto territorio veneziano di terra e di mar e qualche inaspettato cittadino più interessato agli spritz che alla cultura a far un salto a vederla.
E dopo questa lunga, necessaria premessa, veniamo alla mostra. Elisabetta Barisoni ha diviso il viaggio in sei tappe. La prima è una sorta di premessa: intitolata Il sogno simbolista, presenta i prodromi di quanto esprimerà poi Chagall con le opere di Odilon Redon che introducono al supernaturalismo di Chagall, a quello che Meyer chiama «il tempo interiore dell’artista», una misura che non ha riferimenti precisi al tempo cronologico e che si specchia in una bellissima Leda di Previati che spinge ad andare oltre a quello sguardo vuoto con cui rilette l’algida testa di Wildt appesa all’altro lato dello stanzino d’ingresso.
Marc Chagall, Rabbino n. 2 o Rabbino di Vitebsk | Rabbi No. 2 or Rabbi of Vitebsk, 1914-22 olio su tela | oil on canvas, cm 104 x 84 inv. 849, acquisto | purchase Biennale 1928 © Chagall ® by SIAE 2023
Nella seconda tappa la narrazione ha come punto di partenza ideale il dipinto Rabbino n. 2 o Rabbino di Vitebsk (1914- 1922), un capolavoro che fa parte delle collezioni di Ca’ Pesaro- Galleria Internazionale d’Arte Moderna acquisito dal Comune di Venezia alla Biennale del 1928 ma che normalmente è conservato nei depositi del VEGA, non esposto al pubblico. Il quadro viene giustamente messo a fianco del piccolo gioiello che proviene dalla collezione Batliner dell’Albertina Museum di Vienna, l’opera Vitebsk. Scena di villaggio (1935-37) che mette oniricamente in scena il luogo delle origini e dove la prima versione del Rabbino è stata realizzata. Una Vitebsk, che è il vero tema di questa seconda sosta, immersa in quei toni accesi del rosso che in questo dipinto prende i contorni di una sorta di rosebud, di un ricordo di quella mitica cittadina bielorussa da cui riuscì infine a fuggire nel 1922 e che sarà un ricorrente tema nell’arte e nei sogni di Chagall per tutta la sua lunga esistenza.
Un visitatore alla mostra Chagall. Il colore dei sogni al Centro Candiani osserva il dipinto Vitebsk. Scena di villaggio (1935-37)
La terza tematica affrontata in questa esposizione è quella degli Artisti in esilio e fa riferimento alle vicende che hanno accompagnato la migrazione dell’artista dall’Europa sotto la dittatura nazista. Una grande gigantografia in bianco e nero li mette tutti lì, artisti in fuga dall’orrore, lo sguardo ancora un po’ inconsapevole, ma sono sani e salvi seduti davanti al cavalletto di un fotografo alla mostra di Matisse a New York nel 1942: Roberto Matta Echaurren, Ossip Zadkine, Yves Tanguy, Max Ernst, Fernand Leger e appunto Marc Chagall. Guardano i capolavori esposti sul muro blu di fronte a loro. Al centro il meraviglioso The Weatherman di Max Ernst che non è coevo (è del 1952, ma chi se ne importa - ndr) e che proviene sempre dalle collezioni di Ca’ Pesaro. Nelle altre pareti due Composizioni e due sculture di Ossip Zadkine che oltre ad esser in fuga anche lui, e oltre ad esser un artista, ha agli occhi di Chagall un ulteriore intangibile pregio - quello di esser nato anche lui a Vitebsk.
La quarta sosta della esposizione porta come titolo Il colore dei sogni che è un po’ una metafora attraverso cui far emergere la potenza dell’amore, salvezza da ogni meschinità umana e chiave sentimentale per comprendere l’animo poetico di Chagall. Qui l’artista russo mette in scena due suoi capolavori Gli amanti (1937), due emblematiche figurine immerse tra i fiori sgargianti bianchi, rosa e rossi e sospesi nel blu dove la realtà dei sogni confonde ogni cosa. E Villaggio blu realizzato quasi 30 anni dopo nel 1968 dove il ricordo e l’iconografia ricca dei simboli di Chagall (la mamma e il bambino, l’angioletto, il rabbino, gli animali, le case) sono tutti immersi profondamente in questo blu dove ogni sogno sembra trar origine.
E poi la ricca ed ampia sezione delle Opere religiose dove, oltre alle diverse illustrazioni per la Bibbia e alle crocefissioni di Chagall va senz’altro menzionato anche lo straordinario Idoli (1909-1914) realizzato dal pittore ungherese István Csók, un dipinto recentemente restaurato e che anche fa parte delle collezioni di Ca’ Pesaro, acquisito dal Comune di Venezia alla Biennale del 1924.
Infine chiude la mostra la sesta sezione, Il colore delle favole che ospita il ciclo grafico in cui fantasia, istinto e gioia esplodono nelle gouaches realizzate da Chagall per illustrare le Favole di La Fontaine, ciclo grafico realizzato tra il 1927 e 1930 e che racconta l’utopia e l’anti-modernità di Chagall. Una pratica artistica fatta di sentimenti e colori puri, uniti a una indefinibile cifra di magia che da decenni continua ad affascinare generazioni diverse di critici d’arte e visitatori.
Ultima nota. Notevole il catalogo edito dalla casa editrice super local lineadacqua (tutta una parola), curato anch’esso dalla Barisoni, ha il pregio di esser ben impaginato, di aver scelto un’ottima carta opaca che rende benissimo i colori di Chagall e di non limitarsi ad elencare le opere, quanto a soffermarsi anche nei dettagli, rendendo probabile, come evocato alla presentazione della mostra dagli organizzatori, una sua vita oltre i tempi della mostra. Costa 40 € ma visto che la mostra è gratuita qualcuno potrebbe fare lo sforzo di acquistarlo.
Il sindaco Brugnaro, che ha presenziato alla conferenza stampa di presentazione della mostra e che notoriamente non ama i giri di parole ha introdotto (e concluso) la mostra di Chagall e in qualche modo spiegato il significato di una scelta fortemente voluta di ospitarla al Centro Candiani di Mestre dicendo: “Finalmente ghà un senso ‘sto baracon quà”. Ipse dixit. Così, in purissimo venexian. Che vuol dire, per chi non parla la lingua di Goldoni, dare un senso alla cattedrale nel deserto. Metterci dei contenuti. Farne un luogo in un non luogo. Un bell’auspicio insomma quello del sindaco.
Forse Chagall riuscirà a nobilitare con il suo animo leggero e colorato anche un posto così oscenamente brutto e anonimo come il Centro Candiani. Forse Chagall farà sognare Mestre.
Per saperne di più:
Chagall. Il colore dei sogni - la mostra al Centro Candiani fino al 13 febbraio 2024
Il colore dei sogni: a Mestre arriva Chagall
Marc Chagall - biografia su ARTE.it
E per dar forma al “sogno” di Chagall, che in questa mostra - intitolata Chagall. Il colore dei sogni - parla di colore (“il blu in cui tutto per Chagall poi si immerge” ci ricorda la Barisoni in conferenza stampa), parla di poesia, di miracoli religiosi, se non addirittura spirituali e che crea una meravigliosa atmosfera dove l’aura magica di questo pittore tanto amato dagli art lovers, quanto conosciuto ed apprezzato anche dal popolino che nulla sa di arte e di cultura per le sue immagini al tempo stesso semplici, comprensibili e sospese a mezz’aria come dei leggiadri pensieri che tutti possiamo cogliere con animo gentile e sensibile, per dar forma a questa mostra - dicevamo - gli amici del MUVE hanno coraggiosamente scelto la piazza più difficile, o meglio improbabile: quella del Centro Candiani di Mestre.
Epicentro del non-luogo per eccellenza il Candiani. Che poi sarebbe la new Venice in terraferma parte del più vasto dominio di Venezia metropolitana, quella Mestre sogno tradito della middle class serenissima che dagli anni ‘50 dello scorso secolo mise le radici qui per edificare il proprio futuro post-lagunare, moderno e votato all’innovazione per ritrovarsi oggi in una periferia senza fine di una Veniceland che solo nel turismo di massa e dei facili commerci ha saputo immaginare se stessa.
Una non-città Mestre dove a fianco della centrale Piazza Ferretto si erge come una cattedrale nel deserto appunto un Centro Candiani che è l’emblema di ogni sogno infranto.
Un colosso di cemento che pare appendice di un parcheggio più che un luogo votato alla cultura e all’arte. Dodicesimo spazio espositivo in gestione alla Fondazione Musei Civici di Venezia, quello che dovrebbe aver l’ambizione di parlare al territorio. Insomma spazio civico per eccellenza (e "non di mostre per i turisti", dice non sottovoce il primo cittadino - ndr), ma ospitato appunto in questo cubo di cemento che deve fare i conti con moquette improbabili nell’ingresso condiviso con il multiplex cinematografico IMG e un secondo piano espositivo dove gli encomiabili sforzi dei bravi e creativi architetti ed allestitori del MUVE si scontrano con il design labirintico di 600 metri quadri immaginati - a suo tempo - per altre funzioni che quelle di divenir un museo o una sala espositiva dove fare una mostra.
Ma tant’è. Ci vuole coraggio dicevamo per fare una mostra qui. E portarci Chagall, convincendo fior fior di musei internazionali - dall’Albertina Museum di Vienna, dal Musée National Marc Chagall di Nizza, dal Szépművészeti Múzeum di Budapest e dall’Israel Museum di Gerusalemme - ad affidare i propri capolavori in prestito. Una impresa non facile. Chapeau. I mestrini, anzi i veneziani metropolitani che abitano qui, ne hanno di che esser orgogliosi.
Quelli del MUVE, un team di super professionisti, un equipaggio che guida sicuro la fondazione veneziana civica e culturale, pur senza un direttore da quando Gabriella Belli è andata in pensione nel 2022, han messo su una mostra che si potrebbe trovare non dico a Parigi o a Londra, ma che certamente non sfigurerebbe a Milano, a Roma .. a Firenze o a Venezia. Una mostra che ha il pregio di esser anche gratuita e che siamo certi convincerà anche molte famiglie del vasto territorio veneziano di terra e di mar e qualche inaspettato cittadino più interessato agli spritz che alla cultura a far un salto a vederla.
E dopo questa lunga, necessaria premessa, veniamo alla mostra. Elisabetta Barisoni ha diviso il viaggio in sei tappe. La prima è una sorta di premessa: intitolata Il sogno simbolista, presenta i prodromi di quanto esprimerà poi Chagall con le opere di Odilon Redon che introducono al supernaturalismo di Chagall, a quello che Meyer chiama «il tempo interiore dell’artista», una misura che non ha riferimenti precisi al tempo cronologico e che si specchia in una bellissima Leda di Previati che spinge ad andare oltre a quello sguardo vuoto con cui rilette l’algida testa di Wildt appesa all’altro lato dello stanzino d’ingresso.
Marc Chagall, Rabbino n. 2 o Rabbino di Vitebsk | Rabbi No. 2 or Rabbi of Vitebsk, 1914-22 olio su tela | oil on canvas, cm 104 x 84 inv. 849, acquisto | purchase Biennale 1928 © Chagall ® by SIAE 2023
Nella seconda tappa la narrazione ha come punto di partenza ideale il dipinto Rabbino n. 2 o Rabbino di Vitebsk (1914- 1922), un capolavoro che fa parte delle collezioni di Ca’ Pesaro- Galleria Internazionale d’Arte Moderna acquisito dal Comune di Venezia alla Biennale del 1928 ma che normalmente è conservato nei depositi del VEGA, non esposto al pubblico. Il quadro viene giustamente messo a fianco del piccolo gioiello che proviene dalla collezione Batliner dell’Albertina Museum di Vienna, l’opera Vitebsk. Scena di villaggio (1935-37) che mette oniricamente in scena il luogo delle origini e dove la prima versione del Rabbino è stata realizzata. Una Vitebsk, che è il vero tema di questa seconda sosta, immersa in quei toni accesi del rosso che in questo dipinto prende i contorni di una sorta di rosebud, di un ricordo di quella mitica cittadina bielorussa da cui riuscì infine a fuggire nel 1922 e che sarà un ricorrente tema nell’arte e nei sogni di Chagall per tutta la sua lunga esistenza.
Un visitatore alla mostra Chagall. Il colore dei sogni al Centro Candiani osserva il dipinto Vitebsk. Scena di villaggio (1935-37)
La terza tematica affrontata in questa esposizione è quella degli Artisti in esilio e fa riferimento alle vicende che hanno accompagnato la migrazione dell’artista dall’Europa sotto la dittatura nazista. Una grande gigantografia in bianco e nero li mette tutti lì, artisti in fuga dall’orrore, lo sguardo ancora un po’ inconsapevole, ma sono sani e salvi seduti davanti al cavalletto di un fotografo alla mostra di Matisse a New York nel 1942: Roberto Matta Echaurren, Ossip Zadkine, Yves Tanguy, Max Ernst, Fernand Leger e appunto Marc Chagall. Guardano i capolavori esposti sul muro blu di fronte a loro. Al centro il meraviglioso The Weatherman di Max Ernst che non è coevo (è del 1952, ma chi se ne importa - ndr) e che proviene sempre dalle collezioni di Ca’ Pesaro. Nelle altre pareti due Composizioni e due sculture di Ossip Zadkine che oltre ad esser in fuga anche lui, e oltre ad esser un artista, ha agli occhi di Chagall un ulteriore intangibile pregio - quello di esser nato anche lui a Vitebsk.
La quarta sosta della esposizione porta come titolo Il colore dei sogni che è un po’ una metafora attraverso cui far emergere la potenza dell’amore, salvezza da ogni meschinità umana e chiave sentimentale per comprendere l’animo poetico di Chagall. Qui l’artista russo mette in scena due suoi capolavori Gli amanti (1937), due emblematiche figurine immerse tra i fiori sgargianti bianchi, rosa e rossi e sospesi nel blu dove la realtà dei sogni confonde ogni cosa. E Villaggio blu realizzato quasi 30 anni dopo nel 1968 dove il ricordo e l’iconografia ricca dei simboli di Chagall (la mamma e il bambino, l’angioletto, il rabbino, gli animali, le case) sono tutti immersi profondamente in questo blu dove ogni sogno sembra trar origine.
E poi la ricca ed ampia sezione delle Opere religiose dove, oltre alle diverse illustrazioni per la Bibbia e alle crocefissioni di Chagall va senz’altro menzionato anche lo straordinario Idoli (1909-1914) realizzato dal pittore ungherese István Csók, un dipinto recentemente restaurato e che anche fa parte delle collezioni di Ca’ Pesaro, acquisito dal Comune di Venezia alla Biennale del 1924.
Infine chiude la mostra la sesta sezione, Il colore delle favole che ospita il ciclo grafico in cui fantasia, istinto e gioia esplodono nelle gouaches realizzate da Chagall per illustrare le Favole di La Fontaine, ciclo grafico realizzato tra il 1927 e 1930 e che racconta l’utopia e l’anti-modernità di Chagall. Una pratica artistica fatta di sentimenti e colori puri, uniti a una indefinibile cifra di magia che da decenni continua ad affascinare generazioni diverse di critici d’arte e visitatori.
Ultima nota. Notevole il catalogo edito dalla casa editrice super local lineadacqua (tutta una parola), curato anch’esso dalla Barisoni, ha il pregio di esser ben impaginato, di aver scelto un’ottima carta opaca che rende benissimo i colori di Chagall e di non limitarsi ad elencare le opere, quanto a soffermarsi anche nei dettagli, rendendo probabile, come evocato alla presentazione della mostra dagli organizzatori, una sua vita oltre i tempi della mostra. Costa 40 € ma visto che la mostra è gratuita qualcuno potrebbe fare lo sforzo di acquistarlo.
Il sindaco Brugnaro, che ha presenziato alla conferenza stampa di presentazione della mostra e che notoriamente non ama i giri di parole ha introdotto (e concluso) la mostra di Chagall e in qualche modo spiegato il significato di una scelta fortemente voluta di ospitarla al Centro Candiani di Mestre dicendo: “Finalmente ghà un senso ‘sto baracon quà”. Ipse dixit. Così, in purissimo venexian. Che vuol dire, per chi non parla la lingua di Goldoni, dare un senso alla cattedrale nel deserto. Metterci dei contenuti. Farne un luogo in un non luogo. Un bell’auspicio insomma quello del sindaco.
Forse Chagall riuscirà a nobilitare con il suo animo leggero e colorato anche un posto così oscenamente brutto e anonimo come il Centro Candiani. Forse Chagall farà sognare Mestre.
Per saperne di più:
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