Hirst e Pinault inaugurano un nuovo Rinascimento
Il trionfo è di Damien Hirst a Venezia
Damien Hirst, Demon with Bowl, "Treasures from the Wreck of the Unbelievable", Palazzo Grassi, Venezia, 2017
Eleonora Zamparutti
06/04/2017
Venezia - Come ogni aprile, anche quest’anno la Fondazione Pinault presenta a Venezia il nuovo progetto espositivo per le due sedi in città, Palazzo Grassi e Punta della Dogana.
“Treasures from the Wreck of the Unbelievable” questo il titolo della mostra a sedi congiunte (dal 9 aprile al 3 dicembre 2017), è il frutto dello stretto rapporto di amicizia tra l’artista Damien Hirst e il collezionista François Pinault.
Quando nel 2005 la nuova gestione Pinault rilevò Palazzo Grassi dal gruppo Fiat, che aveva investito per un ventennio nella promozione dell’arte e della cultura a Venezia producendo esposizioni di grande impatto sul largo pubblico sperando in un ritorno di immagine a livello internazionale – molti ricordano le esposizioni “Futurismo e Futuristi”, i “Fenici”, “Dalì” e numerose altre –, inaugurò l’anno seguente la nuova stagione ospitando nel grande salone al primo piano un‘opera di Damien Hirst dal titolo “Where are we going?”. Da allora il palazzo sul Canal Grande, a cui si è aggiunta la sede di Punta della Dogana, si è votato a un’offerta artistica improntata al segno della contemporaneità, valorizzando la collezione del patròn di casa, e dell’esclusività in termini delle scelte culturali.
In questo senso l’esposizione odierna va letta nel segno della continuità rispetto alla domanda posta nel 2006 e conferma la lunga relazione di rispetto tra l’istituzione, il collezionista e l’artista.
Le oltre 200 opere collocate in 50 sale, sommando gli spazi delle due sedi, necessitano di un tempo lungo per la visita, 3 ore secondo il direttore di Palazzo Grassi.
Certo è che la mostra è molto ambiziosa: il mecenate François Pinault ha collaborato con Damien Hirst per rendere possibile la realizzazione dei suoi sogni, non certo modesti data la caratura dell’artista.
Dal felice sodalizio tra i due è nata un’esposizione kolossal di scultura che si presta a vari livelli di lettura, sintesi riuscita di molteplici riferimenti culturali, ancorata a miti sempreverdi e a paure ancestrali, piacevolmente godibile e di grande intrattenimento, ironica nei confronti di un certo mondo espositivo e museale legato a criteri conservativi, e soprattutto sostenuta da una brillante struttura narrativa retta da una tensione degna di un blockbuster movie alla Tarantino.
Tutto è nato nel giorno in cui Damien Hirst sognò di riportare a galla il vascello di Cif Amotan II, un liberto originario di Antiochia vissuto tra la metà del I e l’inizio del II sec. d.C. Secondo quanto si tramanda questa figura leggendaria era nota ai suoi tempi per le immense fortune accumulate. Si narra che gran parte della collezione di Cif Amotan fu un giorno caricata su un enorme vascello, l’Apistos (che in greco significa incredibile) e che la nave durante il tragitto di inabissò.
Nel 2008 Damien Hirst decide di mettere in piedi una spedizione per recuperare il vascello e il suo tesoro al largo delle coste dell’Africa orientale. Dell’eccezionale carico e del suo rinvenimento la mostra dà testimonianza così come dello straordinario gusto enciclopedico del collezionista originario.
Chissà se nel 2006, quando Damien Hirst si recò a Napoli per l’allestimento della sua mostra al MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli, qualcuno gli raccontò la storia di Raffaele Gargiulo, il falsario che nell’’800 realizzò un finto sarcofago egizio, tutt’ora esposto al museo a testimoniare la moda e il gusto di quel tempo.
Certo è che di questi tempi, dove le fake news rimbalzano da un social all’altro, la questione della post-verità e della disponibilità o no a credere a ciò che ci viene raccontato è un tema di grande attualità.
Punta della Dogana, dove inizia la mostra, ospita nelle sue navate le opere di grandi dimensioni mentre Palazzo Grassi accoglie le sculture realizzate nei materiali più preziosi: malachite, giada, lapislazzulo, cristallo di rocca, oro e argento. Sorprendente la statua di 18 metri d’altezza collocata nella hall di Palazzo Grassi.
Per la produzione dell’evento c’è stato un enorme dispiegamento di mezzi e di risorse umane, l’esposizione è il frutto di un gran numero di maestranze di altissimo livello che hanno saputo apportare tecniche, qualità esecutiva e innovazione di grande impatto sotto una mega regia che segna un punto di non ritorno nell’arte contemporanea. Non sarà facile per altri artisti confrontarsi con la messa in scena realizzata da Damien Hirst a Venezia.
Nei 5000 metri quadrati c’è di tutto: l’amore giovanile per l’avventura, il viaggio, la scoperta alla “Indiana Jones”, la bramosia dell’uomo per i tesori e le cose preziose, i riferimenti mitologici alla cultura classica, pop e manga contemporanea, la serialità maniacale e ossessiva del collezionista, l’esposizione didascalica e noiosa di tanti musei di antichità, la nuova vague di voler dotarsi di una guida museale interattiva a tutti i costi, la parodia dell’uso di un linguaggio alto nella produzione dei testi descrittivi delle opere museali, la presa in giro della produzione artistica antica e classica improntata al gigantismo, il gusto megalomane di certa oggettistica preziosa.
Alla fine della visita torna alla mente un racconto. Deve essere stato incredibile quel giorno del 1506 a Roma sul colle Oppio quando al cospetto di Michelangelo fu ritrovato il blocco in marmo del Laocoonte di epoca romana, copia di un originale greco in bronzo, che finì poi nella straordinaria collezione classica di Giulio II.
Forse c’è stato un momento in cui François Pinault e Damien Hirst sono stati posseduti del demone del Rinascimento: il collezionista che si fa mecenate come Giulio II o Lorenzo il Magnifico e l’artista che si ingaggia in una gara con se stesso e il proprio tempo per trascendere ogni limite e assurgere all’Olimpo.
“Treasures from the Wreck of the Unbelievable” questo il titolo della mostra a sedi congiunte (dal 9 aprile al 3 dicembre 2017), è il frutto dello stretto rapporto di amicizia tra l’artista Damien Hirst e il collezionista François Pinault.
Quando nel 2005 la nuova gestione Pinault rilevò Palazzo Grassi dal gruppo Fiat, che aveva investito per un ventennio nella promozione dell’arte e della cultura a Venezia producendo esposizioni di grande impatto sul largo pubblico sperando in un ritorno di immagine a livello internazionale – molti ricordano le esposizioni “Futurismo e Futuristi”, i “Fenici”, “Dalì” e numerose altre –, inaugurò l’anno seguente la nuova stagione ospitando nel grande salone al primo piano un‘opera di Damien Hirst dal titolo “Where are we going?”. Da allora il palazzo sul Canal Grande, a cui si è aggiunta la sede di Punta della Dogana, si è votato a un’offerta artistica improntata al segno della contemporaneità, valorizzando la collezione del patròn di casa, e dell’esclusività in termini delle scelte culturali.
In questo senso l’esposizione odierna va letta nel segno della continuità rispetto alla domanda posta nel 2006 e conferma la lunga relazione di rispetto tra l’istituzione, il collezionista e l’artista.
Le oltre 200 opere collocate in 50 sale, sommando gli spazi delle due sedi, necessitano di un tempo lungo per la visita, 3 ore secondo il direttore di Palazzo Grassi.
Certo è che la mostra è molto ambiziosa: il mecenate François Pinault ha collaborato con Damien Hirst per rendere possibile la realizzazione dei suoi sogni, non certo modesti data la caratura dell’artista.
Dal felice sodalizio tra i due è nata un’esposizione kolossal di scultura che si presta a vari livelli di lettura, sintesi riuscita di molteplici riferimenti culturali, ancorata a miti sempreverdi e a paure ancestrali, piacevolmente godibile e di grande intrattenimento, ironica nei confronti di un certo mondo espositivo e museale legato a criteri conservativi, e soprattutto sostenuta da una brillante struttura narrativa retta da una tensione degna di un blockbuster movie alla Tarantino.
Tutto è nato nel giorno in cui Damien Hirst sognò di riportare a galla il vascello di Cif Amotan II, un liberto originario di Antiochia vissuto tra la metà del I e l’inizio del II sec. d.C. Secondo quanto si tramanda questa figura leggendaria era nota ai suoi tempi per le immense fortune accumulate. Si narra che gran parte della collezione di Cif Amotan fu un giorno caricata su un enorme vascello, l’Apistos (che in greco significa incredibile) e che la nave durante il tragitto di inabissò.
Nel 2008 Damien Hirst decide di mettere in piedi una spedizione per recuperare il vascello e il suo tesoro al largo delle coste dell’Africa orientale. Dell’eccezionale carico e del suo rinvenimento la mostra dà testimonianza così come dello straordinario gusto enciclopedico del collezionista originario.
Chissà se nel 2006, quando Damien Hirst si recò a Napoli per l’allestimento della sua mostra al MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli, qualcuno gli raccontò la storia di Raffaele Gargiulo, il falsario che nell’’800 realizzò un finto sarcofago egizio, tutt’ora esposto al museo a testimoniare la moda e il gusto di quel tempo.
Certo è che di questi tempi, dove le fake news rimbalzano da un social all’altro, la questione della post-verità e della disponibilità o no a credere a ciò che ci viene raccontato è un tema di grande attualità.
Punta della Dogana, dove inizia la mostra, ospita nelle sue navate le opere di grandi dimensioni mentre Palazzo Grassi accoglie le sculture realizzate nei materiali più preziosi: malachite, giada, lapislazzulo, cristallo di rocca, oro e argento. Sorprendente la statua di 18 metri d’altezza collocata nella hall di Palazzo Grassi.
Per la produzione dell’evento c’è stato un enorme dispiegamento di mezzi e di risorse umane, l’esposizione è il frutto di un gran numero di maestranze di altissimo livello che hanno saputo apportare tecniche, qualità esecutiva e innovazione di grande impatto sotto una mega regia che segna un punto di non ritorno nell’arte contemporanea. Non sarà facile per altri artisti confrontarsi con la messa in scena realizzata da Damien Hirst a Venezia.
Nei 5000 metri quadrati c’è di tutto: l’amore giovanile per l’avventura, il viaggio, la scoperta alla “Indiana Jones”, la bramosia dell’uomo per i tesori e le cose preziose, i riferimenti mitologici alla cultura classica, pop e manga contemporanea, la serialità maniacale e ossessiva del collezionista, l’esposizione didascalica e noiosa di tanti musei di antichità, la nuova vague di voler dotarsi di una guida museale interattiva a tutti i costi, la parodia dell’uso di un linguaggio alto nella produzione dei testi descrittivi delle opere museali, la presa in giro della produzione artistica antica e classica improntata al gigantismo, il gusto megalomane di certa oggettistica preziosa.
Alla fine della visita torna alla mente un racconto. Deve essere stato incredibile quel giorno del 1506 a Roma sul colle Oppio quando al cospetto di Michelangelo fu ritrovato il blocco in marmo del Laocoonte di epoca romana, copia di un originale greco in bronzo, che finì poi nella straordinaria collezione classica di Giulio II.
Forse c’è stato un momento in cui François Pinault e Damien Hirst sono stati posseduti del demone del Rinascimento: il collezionista che si fa mecenate come Giulio II o Lorenzo il Magnifico e l’artista che si ingaggia in una gara con se stesso e il proprio tempo per trascendere ogni limite e assurgere all’Olimpo.
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