Il capolavoro di René Magritte raccontato dal direttore della Collezione Peggy Guggenheim

Karole Vail: il fascino ambiguo dell'Impero della luce, specchio dei giorni nostri

Karole P.B. Vail, direttrice della Collezione Peggy Guggenehim di Venezia. Foto Matteo De Fina
 

Karole Vail

01/04/2020

Venezia - Buongiorno, sono Karole P. B. Vail, direttrice della Collezione Peggy Gugenheim a Venezia. Come tutti voi sono a casa a lavorare e non mi posso recare al museo se non per grande necessità.
La Serenissima è particolarmente bella in questo momento anche se deserta, vuota, silenziosa, molto triste, molto sconcertante.
Ma appunto sono a casa a lavorare e, anche se non posso andare in quel museo meraviglioso sul Canal Grande, anche se non posso vedere tutte quelle opere d'arte meravigliose, le posso sempre sfogliare sui libri d'arte oppure posso consultarle online.



Un quadro che sto guardando in questo momento è un'opera dell'artista René Magritte che ha realizzato nel 1954. Si intitola L'impero della luce e ne ha fatte numerosissime versioni. Certamente quest'opera è una delle più belle e delle più emblematiche della nostra collezione. E' un'opera anche molto amata dal nostro pubblico.

Questo quadro è composto da elementi abbastanza semplici, tutto sommato. Vediamo una casa al buio, degli alberi e poi un grande cielo, luminoso e pieno di nuvole soffici. A prima vista sembra piuttosto normale: una casa illuminata, degli alberi sparsi e questo cielo molto grande. Però ci accorgiamo ben presto che c'è qualcosa che non va, qualcosa che non funziona molto bene. Non capiamo più quello che è luce e quello che è buio, quello che è giorno e quello che è notte. C'è un grande sconcerto, c'è una grande dualità visiva e anche psicologica. Questo è molto perturbante, molto strano. Ma è forse questa dualità che forse piace al pubblico, che fa parte del suo grande fascino anche se in modo bizzarro, severo.


René Magritte,  Empire of Light1953-1954, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim | © Courtesy Peggy Guggenheim Collection

Credo che questo quadro rifletta abbastanza bene questo momento di incredulità che stiamo vivendo. Ma questo momento passerà e torneremo a lavorare, e torneremo al museo che è sempre un luogo di incontro, di educazione, di bellezza e di riflessione e che certamente guarderemo con occhi molto diversi.

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