La Biennale d’Arte dal 9 Maggio al 22 novembre 2015
L’angelo della storia e tutti i futuri del mondo
Paul Klee, "Angelus Novus" (1921)
Piero Muscarà
22/10/2014
Venezia - All the World’s Futures, tutti i possibili futuri del mondo, è questo il titolo scelto da Okwui Enwezor, curatore della 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia che si svolgerà in laguna dal 9 maggio al 22 novembre 2015.
Un'apertura anticipata rispetto al consueto che come spiega il Presidente della Biennale Paolo Baratta vuole mettere in collegamento la storica manifestazione veneziana con il prossimo EXPO 2015 che aprirà a Milano proprio negli stessi giorni.
Il tema della contemporaneità e della vivacità, in un contesto di occupazione non solo spaziale ma anche temporale, è del resto uno dei primi “filtri” che il critico d’arte, scrittore e giornalista nigeriano oggi chiamato alla guida della prestigiosa manifestazione italiana ha scelto come filo narrativo della prossima esposizione di arte contemporanea che come di consueto avrà come suo teatro i Giardini della Biennale, l’Arsenale e l’intera città di Venezia con i padiglioni di 53 paesi partecipanti.
Vitalità: sulla durata epica
E in questo gioco di “filtri sovrapposti” come spiega Baratta che la Biennale di Venezia può giustamente rivendicare un proprio “ritorno al futuro” dove l’idea stessa di padiglioni-nazione - tempo addietro additata come obsoleta rappresentazione di una realtà da Società delle Nazioni che non più testimonierebbe il mondo globale - sembra invece rivivere una nuova vita. I Giardini stessi simbolo e traccia di un tentativo impossibile di catturare il contemporaneo e che quindi trova, proprio nel rinnovamento permanente di quegli stessi spazi una sua ideale nuova forma di attualità. E così Enwezor ricorda il padiglione della Bavaria, poi divenuto della Germania, della Germania occidentale e di nuovo della Germania riunificata. O il percorso analogo di altri spazi come quello dei padiglioni dell’ex-Cecoslovacchia o dell’ex-Yugoslavia, o l’apertura simbolicamente significativa del nuovo Padiglione della Mongolia un ponte che ricongiunge Venezia alle steppe lontane di Gengis Kahn, di Marco Polo e di un'altra contemporaneità che si radica 8 secoli indietro nel tempo.
Il giardino del disordine: Angelus Novus come allegoria del presente
All the World’s Future ha anche due altre chiavi di lettura. Il secondo filtro proposto da Okwui Enwezor usa una allegoria potente per parlarci del mondo odierno, quella proposta da Walter Benjamin nella interpretazione dell’opera di Paul Klee “Angelus Novus”. E qui conviene affidarsi – come spiega lo stesso curatore – alla citazione originale:
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove a noi appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta” (Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia)
Angelo della Storia come metafora dunque del tempo distruttore e rigeneratore e come invito a ritrovare nell’arte la “clairevoiance”, la capacità di anticipare il tempo, di essere interprete del futuro.
Il capitale: una lettura dal vivo
Il terzo e ultimo “filtro sovrapposto” proposto dal vivace e allegro curatore nigeriano (che durante la conferenza stampa ha più volte intervallato i suoi interventi a brevi ma simpatici siparietti con la traduttrice seduta al suo fianco - ndr) è quello del capitale, con la “c” minuscola. Sì il tema – veramente radical chic e con una strizzata d’occhio all’economista francese che spopola nei salotti bene di qua e di là dall’Oceano Thomas Piketty – è proprio quello di “Das Kapital” di Karl Marx. Questa volta non più riletto, interpretato e tradotto dai suoi molteplici apostoli novecenteschi, ma proprio letto, riga per riga in tutto il suo poderoso formato originale composto da 4 tomi. Qui l’idea è che dal primo all’ultimo secondo della maratona della Biennale si svolgerà una performance, basata sulla lettura delle parole del barbuto filosofo tedesco, intervallata da inframezzi di altre letture, teatro, eventi. Un soggetto quello del “capitale” molto en vogue non solo nelle periferie di Buenos Aires tanto care a Papa Francesco ma anche nei più illuminati salotti di Londra, Parigi e New York. Capitale come metafora del nostro tempo e parola chiave per interrogarsi sul ruolo – nella storia – che l’arte e le arti possono avere nel comprendere il pianeta in cui viviamo e offrire, per usare le parole del Presidente Baratta, un progetto di Mostra Internazionale ispirata dall'ambizione di “offrire al mondo una cassa di risonanza del mondo”.
Un'apertura anticipata rispetto al consueto che come spiega il Presidente della Biennale Paolo Baratta vuole mettere in collegamento la storica manifestazione veneziana con il prossimo EXPO 2015 che aprirà a Milano proprio negli stessi giorni.
Il tema della contemporaneità e della vivacità, in un contesto di occupazione non solo spaziale ma anche temporale, è del resto uno dei primi “filtri” che il critico d’arte, scrittore e giornalista nigeriano oggi chiamato alla guida della prestigiosa manifestazione italiana ha scelto come filo narrativo della prossima esposizione di arte contemporanea che come di consueto avrà come suo teatro i Giardini della Biennale, l’Arsenale e l’intera città di Venezia con i padiglioni di 53 paesi partecipanti.
Vitalità: sulla durata epica
E in questo gioco di “filtri sovrapposti” come spiega Baratta che la Biennale di Venezia può giustamente rivendicare un proprio “ritorno al futuro” dove l’idea stessa di padiglioni-nazione - tempo addietro additata come obsoleta rappresentazione di una realtà da Società delle Nazioni che non più testimonierebbe il mondo globale - sembra invece rivivere una nuova vita. I Giardini stessi simbolo e traccia di un tentativo impossibile di catturare il contemporaneo e che quindi trova, proprio nel rinnovamento permanente di quegli stessi spazi una sua ideale nuova forma di attualità. E così Enwezor ricorda il padiglione della Bavaria, poi divenuto della Germania, della Germania occidentale e di nuovo della Germania riunificata. O il percorso analogo di altri spazi come quello dei padiglioni dell’ex-Cecoslovacchia o dell’ex-Yugoslavia, o l’apertura simbolicamente significativa del nuovo Padiglione della Mongolia un ponte che ricongiunge Venezia alle steppe lontane di Gengis Kahn, di Marco Polo e di un'altra contemporaneità che si radica 8 secoli indietro nel tempo.
Il giardino del disordine: Angelus Novus come allegoria del presente
All the World’s Future ha anche due altre chiavi di lettura. Il secondo filtro proposto da Okwui Enwezor usa una allegoria potente per parlarci del mondo odierno, quella proposta da Walter Benjamin nella interpretazione dell’opera di Paul Klee “Angelus Novus”. E qui conviene affidarsi – come spiega lo stesso curatore – alla citazione originale:
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove a noi appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta” (Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia)
Angelo della Storia come metafora dunque del tempo distruttore e rigeneratore e come invito a ritrovare nell’arte la “clairevoiance”, la capacità di anticipare il tempo, di essere interprete del futuro.
Il capitale: una lettura dal vivo
Il terzo e ultimo “filtro sovrapposto” proposto dal vivace e allegro curatore nigeriano (che durante la conferenza stampa ha più volte intervallato i suoi interventi a brevi ma simpatici siparietti con la traduttrice seduta al suo fianco - ndr) è quello del capitale, con la “c” minuscola. Sì il tema – veramente radical chic e con una strizzata d’occhio all’economista francese che spopola nei salotti bene di qua e di là dall’Oceano Thomas Piketty – è proprio quello di “Das Kapital” di Karl Marx. Questa volta non più riletto, interpretato e tradotto dai suoi molteplici apostoli novecenteschi, ma proprio letto, riga per riga in tutto il suo poderoso formato originale composto da 4 tomi. Qui l’idea è che dal primo all’ultimo secondo della maratona della Biennale si svolgerà una performance, basata sulla lettura delle parole del barbuto filosofo tedesco, intervallata da inframezzi di altre letture, teatro, eventi. Un soggetto quello del “capitale” molto en vogue non solo nelle periferie di Buenos Aires tanto care a Papa Francesco ma anche nei più illuminati salotti di Londra, Parigi e New York. Capitale come metafora del nostro tempo e parola chiave per interrogarsi sul ruolo – nella storia – che l’arte e le arti possono avere nel comprendere il pianeta in cui viviamo e offrire, per usare le parole del Presidente Baratta, un progetto di Mostra Internazionale ispirata dall'ambizione di “offrire al mondo una cassa di risonanza del mondo”.
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