Dal 23 maggio a Venezia la rassegna curata da Hashim Sarkis
Spazi futuri per vivere insieme: le novità della 17° Biennale di Architettura
Francesca Grego
28/02/2020
Venezia - How will we live toghether? Come vivremo insieme? È questo il tema della XVII Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, che aprirà i battenti in laguna il prossimo 23 maggio fino al 29 novembre. La presentazione in streaming di ieri, giovedì 27 febbraio, dà la misura di quanto sia strategico dedicare attenzione agli spazi di vita comune, ora più che mai, quando le misure contro il Coronavirus limitano le possibilità di incontro e di partecipazione collettiva. Ma la Biennale guarda oltre per entrare in rapporto con un panorama decisamente più vasto.
“Abbiamo bisogno di un nuovo contratto spaziale”, ha detto in collegamento da Cambridge, Connecticut, il curatore Hashim Sarkis: “In un contesto caratterizzato da divergenze politiche sempre più ampie e da sempre maggiori diseguaglianze economiche, chiediamo agli architetti di immaginare degli spazi nei quali vivere generosamente insieme”. Se è vero che l’architettura può orientare le forme della socialità, i progettisti chiamati a partecipare alla Biennale 2020 hanno lavorato in stretta collaborazione con artisti, costruttori, artigiani, ma anche politici, giornalisti, sociologi e cittadini comuni, alla ricerca di risposte il più possibile partecipate.
Il succo di questa edizione, ha proseguito Sarkis, è già tutto nel titolo: “How ci parla di approcci pratici e soluzioni concrete, evidenziando il primato della risoluzione dei problemi nel pensiero architettonico. Will segnala uno sguardo rivolto verso il futuro. We è un termine inclusivo – di altri popoli, di altre specie – e richiama una comprensione empatica dell’architettura. Live significa non solo esistere, ma anche prosperare, fiorire, abitare ed esprimere la vita. Together implica azioni collettive, beni comuni, valori universali, evidenziando come l’architettura sia una forma collettiva ma anche una forma di espressione”. Il punto interrogativo, infine, “indica una domanda aperta, non retorica, che cerca molte risposte celebrando la pluralità dei valori attraverso l’architettura e nell’architettura stessa”.
Come prenderà forma tutto questo a Venezia? Tra i Giardini, l’Arsenale e Forte Marghera, scopriremo le proposte di 114 partecipanti provenienti da 46 paesi, con una rappresentanza crescente di Africa, Asia e America Latina e tre stati presenti per la prima volta (Grenada, Iraq e Uzbekistan). A queste si aggiungono le ricerche fuori concorso di Stations e Cohabitats, frutto di esperienze realizzate nelle università di tutto il mondo. Cinque scale scandiranno l’allestimento negli spazi esterni dei Giardini e dell’Arsenale, ciascuna collegata a una grande installazione. Tra i temi da esplorare, i rapporti dell’architettura con il corpo umano e il futuro della casa in relazione alle nuove tecnologie, al boom demografico globale e alle nuove forme di famiglia. Parchi, scuole, megalopoli e campi di rifugiati si reinventano nella sezione dedicata all’architettura delle comunità, per poi lasciare spazio alle indagini sull’idea di confine e sull’ambiente, tra la Terra e il cosmo.
Forte Marghera, invece, accoglierà il progetto How will we play together?, dedicato al gioco da cinque architetti e un fotografo. E se il Progetto Speciale al Padiglione delle Arti Applicate ci invita a viaggiare nelle più insolite moschee di Londra in collaborazione con il Victoria and Albert Museum, alle Tese delle Vergini in Arsenale conosceremo le proposte selezionate dal curatore Alessandro Melis per il Padiglione Italia.
Incontri pubblici con architetti e professionisti di tutto il mondo, iniziative didattiche rivolte a ogni fascia di pubblico e iniziative editoriali arricchiranno come di consueto l’offerta della Biennale.
“L’architettura ci fa individui più consapevoli, ci aiuta a essere non solo consumatori ma cittadini, ci stimola a considerare gli effetti indiretti delle nostre azioni, ci aiuta a comprendere meglio l’importanza dei beni pubblici e gratuiti. Ci aiuta a non sperperare risorse e a donarci qualche grado di felicità”, ha detto Paolo Baratta, presidente della Biennale Architettura per un’ultima edizione prima di passare il testimone al successore Roberto Cicutto. “La mostra di Hashim Sarkis – ha proseguito il presidente – coglie i problemi strutturali della società contemporanea: egli osserva, e noi con lui, che in tutte le aree del mondo sono in corso fenomeno di intensa trasformazione, assai diversi tra loro ma accomunati dalla necessità di ‘aggiustamenti’ nelle condizioni dell’abitare”. L’architettura diventa quindi il catalizzatore di “un vasto impegno interdisciplinare”, che è anche “culturale e politico”.
Oltre che un’arena di confronto per gli addetti ai lavori, “la Mostra è una chiamata al pubblico a farsi visitatore attento, testimone diretto e oculare. L’esposizione chiede al visitatore una disponibilità a dilatare lo sguardo, chiede al curatore di essere scienziato e drammaturgo a un tempo. Non basta diffondere conoscenza ma occorre contribuire alla consapevolezza, non basta rivelare problemi, occorre alimentare con esempi di proposte e realizzazioni il desiderio di Architettura”, ha concluso Baratta.
“Abbiamo bisogno di un nuovo contratto spaziale”, ha detto in collegamento da Cambridge, Connecticut, il curatore Hashim Sarkis: “In un contesto caratterizzato da divergenze politiche sempre più ampie e da sempre maggiori diseguaglianze economiche, chiediamo agli architetti di immaginare degli spazi nei quali vivere generosamente insieme”. Se è vero che l’architettura può orientare le forme della socialità, i progettisti chiamati a partecipare alla Biennale 2020 hanno lavorato in stretta collaborazione con artisti, costruttori, artigiani, ma anche politici, giornalisti, sociologi e cittadini comuni, alla ricerca di risposte il più possibile partecipate.
Il succo di questa edizione, ha proseguito Sarkis, è già tutto nel titolo: “How ci parla di approcci pratici e soluzioni concrete, evidenziando il primato della risoluzione dei problemi nel pensiero architettonico. Will segnala uno sguardo rivolto verso il futuro. We è un termine inclusivo – di altri popoli, di altre specie – e richiama una comprensione empatica dell’architettura. Live significa non solo esistere, ma anche prosperare, fiorire, abitare ed esprimere la vita. Together implica azioni collettive, beni comuni, valori universali, evidenziando come l’architettura sia una forma collettiva ma anche una forma di espressione”. Il punto interrogativo, infine, “indica una domanda aperta, non retorica, che cerca molte risposte celebrando la pluralità dei valori attraverso l’architettura e nell’architettura stessa”.
Come prenderà forma tutto questo a Venezia? Tra i Giardini, l’Arsenale e Forte Marghera, scopriremo le proposte di 114 partecipanti provenienti da 46 paesi, con una rappresentanza crescente di Africa, Asia e America Latina e tre stati presenti per la prima volta (Grenada, Iraq e Uzbekistan). A queste si aggiungono le ricerche fuori concorso di Stations e Cohabitats, frutto di esperienze realizzate nelle università di tutto il mondo. Cinque scale scandiranno l’allestimento negli spazi esterni dei Giardini e dell’Arsenale, ciascuna collegata a una grande installazione. Tra i temi da esplorare, i rapporti dell’architettura con il corpo umano e il futuro della casa in relazione alle nuove tecnologie, al boom demografico globale e alle nuove forme di famiglia. Parchi, scuole, megalopoli e campi di rifugiati si reinventano nella sezione dedicata all’architettura delle comunità, per poi lasciare spazio alle indagini sull’idea di confine e sull’ambiente, tra la Terra e il cosmo.
Forte Marghera, invece, accoglierà il progetto How will we play together?, dedicato al gioco da cinque architetti e un fotografo. E se il Progetto Speciale al Padiglione delle Arti Applicate ci invita a viaggiare nelle più insolite moschee di Londra in collaborazione con il Victoria and Albert Museum, alle Tese delle Vergini in Arsenale conosceremo le proposte selezionate dal curatore Alessandro Melis per il Padiglione Italia.
Incontri pubblici con architetti e professionisti di tutto il mondo, iniziative didattiche rivolte a ogni fascia di pubblico e iniziative editoriali arricchiranno come di consueto l’offerta della Biennale.
“L’architettura ci fa individui più consapevoli, ci aiuta a essere non solo consumatori ma cittadini, ci stimola a considerare gli effetti indiretti delle nostre azioni, ci aiuta a comprendere meglio l’importanza dei beni pubblici e gratuiti. Ci aiuta a non sperperare risorse e a donarci qualche grado di felicità”, ha detto Paolo Baratta, presidente della Biennale Architettura per un’ultima edizione prima di passare il testimone al successore Roberto Cicutto. “La mostra di Hashim Sarkis – ha proseguito il presidente – coglie i problemi strutturali della società contemporanea: egli osserva, e noi con lui, che in tutte le aree del mondo sono in corso fenomeno di intensa trasformazione, assai diversi tra loro ma accomunati dalla necessità di ‘aggiustamenti’ nelle condizioni dell’abitare”. L’architettura diventa quindi il catalizzatore di “un vasto impegno interdisciplinare”, che è anche “culturale e politico”.
Oltre che un’arena di confronto per gli addetti ai lavori, “la Mostra è una chiamata al pubblico a farsi visitatore attento, testimone diretto e oculare. L’esposizione chiede al visitatore una disponibilità a dilatare lo sguardo, chiede al curatore di essere scienziato e drammaturgo a un tempo. Non basta diffondere conoscenza ma occorre contribuire alla consapevolezza, non basta rivelare problemi, occorre alimentare con esempi di proposte e realizzazioni il desiderio di Architettura”, ha concluso Baratta.
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