Le donne nell’arte, inediti accostamenti, gli spazialisti veneziani

Un nuovo dinamismo aleggia sulla Collezione Peggy Guggenheim

Karole P.B. Vail, direttrice della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia | Foto: Matteo De Fina
 

Eleonora Zamparutti

07/11/2019

Venezia - Karole P.B. Vail è a capo della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Il suo compito è quello di individuare iniziative che contribuiscano a rendere dinamica la straordinaria collezione, suscitando interesse anche da parte delle nuove generazioni verso una casa museo che ha molte storie da raccontare.
 
“Questo è un posto molto speciale” afferma Karole P.B. Vail, direttrice della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. “Abbiamo la grande fortuna di avere una collezione eccellente, a livello qualitativo, di opere d’arte del Novecento, nella città di Venezia che è magica. Abbiamo sede in un palazzo inconsueto, incompiuto, senz’altro affascinante, una struttura sorprendentemente moderna sul Canal Grande, dove ci sono solo palazzi storici, ma secondo me si addice alle opere del Novecento. Abbiamo un giardino bellissimo. C’è anche la figura di Peggy che è diventata un’icona, un mito, una leggenda. Peggy portò a Venezia l’arte americana nel dopoguerra e decise di vivere qui per trent’anni. La Collezione Peggy Guggenheim è ormai entrata a far parte del classico circuito di visita della città. Malgrado queste grandi fortune, dobbiamo offrire sempre qualcosa di più e questa è una sfida importante”.


Peggy Guggenheim al Gritti Palace in occasione della festa per il suo 80° compleanno, Venezia, 26 agosto 1978 | © Gianfranco Tagliapietra Interpress Photo
 
Karole Vail è arrivata a Venezia due anni e mezzo fa, ricoprendo l’incarico che Philip Rylands aveva tenuto per quasi quarant’anni. Un passaggio di consegne che è corrisposto a un cambio di passo nelle iniziative intraprese, a cominciare dalla mostra Peggy Guggenheim. L’Ultima Dogaressa in corso fino al 27 gennaio 2020.
 
“Nell’anno in cui ricorrono i 40 anni dalla scomparsa di Peggy Guggenheim, ho ritenuto importante valorizzare la sua collezione, raccontando una storia coerente e curiosa. E’ stata l’occasione per restaurare alcune opere e far conoscere lavori poco conosciuti perché raramente esposti.”
 
Come ha scelto di commemorare Peggy Guggenheim?
“La prima parte dell’esposizione presenta il nucleo delle opere che Peggy aveva collezionato dal 1938 a metà degli anni ‘40, mentre la seconda parte si concentra sul periodo veneziano con un omaggio alla Biennale del ’48, la prima dopo la guerra. In quell’occasione Peggy aveva introdotto artisti come Pollock e Motherwell al pubblico italiano e veneziano. C’è anche un ricordo della prima mostra di scultura contemporanea che organizza nel ’49, quando compra Palazzo Venier dei Leoni. La scultura per lei era stata sempre molto importante: la prima opera che acquista è un lavoro di Jean Arp. Segue l’omaggio alla prima mostra di Pollock al Museo Correr nel ’50. Poi si passa al periodo veneziano durante il quale acquista opere di artisti che lei ha amato e sostenuto come gli spazialisti veneziani tra cui Bacci, Tancredi, che diventerà un suo protegé e al quale darà uno studio a Palazzo Venier (l’unico artista insieme a Pollock a ricevere uno stipendio da Peggy Guggenheim) e Vedova, il primo artista che conosce insieme a Santomaso quando arriva a Venezia. E tante altre opere meno note, tra cui un lavoro di Grace Hartigan, una delle donne del movimento dell’astrattismo americano insieme a Helen Frankenthaler e Lee Krasner. Peggy compra l’opera nel ’59: è il più grande quadro della collezione, per questo si può raramente esporre. Questo ci fa capire come le donne possano dipingere anche su un formato molto grande a parità dell’uomo.
Peggy ha continuato a sostenere gli artisti anche se non aveva una galleria. Qui a Venezia compra opere da Carlo Cardazzo e ha rapporti con diverse altre gallerie. Donerà opere di Bacci e Tancredi all’estero in Europa e soprattutto in America. Si è sempre impegnata a far conoscere i giovani artisti italiani all’estero.
La mostra Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa mette in evidenza anche il lavoro di altri pittori meno conosciuti in Europa, come Kenzo Okada, giapponese americano. Peggy andava oltre i confini dell’arte europea e nord-americana: tra il ‘60 e il ‘61 era stata anche in Giappone insieme al suo amico John Cage e nei primi anni ’60 aveva comprato un lavoro del giapponese Toyofuko. Ha continuato negli anni a sostenere i giovani artisti, comprando direttamente da loro le opere, andando alla Biennale, e acquistando lavori anche nelle gallerie veneziane”.


Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, primi anni '60, Fondazione Solomon R. Guggenheim | Photo Archivio Cameraphoto Epoche | Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005
 
Molti spunti che potrebbero tracciare un percorso per il futuro. Quali saranno le prossime iniziative?
“Faremo vedere la collezione di Peggy Guggenheim di opere provenienti da Africa, Oceania e Americhe. Sono circa una trentina. Alcune sono sempre esposte a Palazzo. Abbiamo deciso di lavorare con degli esperti in questo campo e di accostarle ad altri lavori presenti in collezione, di Picasso o dei Surrealisti, per mostrare gli abbinamenti che lei stessa faceva quando abitava a Palazzo Venier.
Per ricordare il legame con gli artisti veneziani spazialisti, abbiamo poi in programma una mostra dedicata a Edmondo Bacci, la prima monografica dopo tanti anni. E prima ancora presenteremo una grande pittrice Lygia Clark, un’importante figura dell’avanguardia brasiliana. Anche se non ci sono opere della Clark nella nostra collezione, ho ritenuto significativo parlare dell’astrazione, movimento che qui in museo è molto ben rappresentato, ma facendone vedere un aspetto extra europeo.
La nostra missione è anche, e soprattutto, quella di educare e di sensibilizzare il pubblico a nuove realtà artistiche o ad aspetti delle avanguardie poco conosciuti. In questa direzione nel 2021 faremo una grande mostra sul Surrealismo e la magia, un tema poco indagato, grazie al fatto che la collezione comprende importanti quadri surrealisti. Oltre ai lavori presenti in museo ci saranno opere provenienti da importanti istituzioni internazionali.”
 
Qual è la sua ricetta per incrementare le visite al museo?
Abbiamo un programma che prevede numerose attività educative collaterali alle mostre. Attualmente stiamo facendo un bel percorso con le “Visionarie”, in omaggio a Peggy. Si tratta di conversazioni con collezioniste di spicco, visionarie che hanno fatto dell’arte la loro vita, ma con una componente sociale, aprendo le porte di fondazioni e musei al pubblico. Diciamo, le Peggy Guggenheim del futuro.”

La Collezione Peggy Guggenheim si arricchisce di nuove acquisizioni?
“La Collezione Peggy Guggenheim non prevede nuove acquisizioni perché è la collezione di Peggy. La Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, da cui dipende la Collezione Peggy Guggenheim, continua ad acquisire opere. Ogni tanto ci possono essere delle donazioni e acquisizioni di opere che riteniamo siano importanti. Recentemente abbiamo avuto la possibilità di acquisire alcune foto originali della galleria “The Art of This Century”. Poi c’è stata la possibilità di ottenere il disegno di un ritratto del gallerista Howard Putzel, un personaggio molto importante nella vita di Peggy, realizzato da un pittore che  lei stessa sosteneva. In generale dobbiamo essere molto attenti quando riceviamo delle donazioni perché non abbiamo molto spazio ed è impegnativo.”
 
Lei appartiene a una famiglia di grandi imprenditori e importanti collezionisti. Suo marito è un artista. Che cosa significa per lei essere cresciuta in un mondo dove l’arte era di casa?
Mia nonna era una collezionista. Suo zio Solomon ha fondato il Guggenheim di New York. A casa non è che avessimo grandi opere, ma certo abbiamo respirato arte, musica, letteratura. Da piccola andavo molto spesso nei musei, ma i miei genitori non erano coinvolti direttamente nel mondo dell’arte. Mio padre è stato da giovane editore di una rivista di letteratura e poesia inglese a Parigi nei primi anni ’50. Anche mio nonno paterno era un artista e uno scrittore e Peggy ha fatto quello che poteva per sostenerlo con mostre ed esposizioni. L’arte in famiglia è sempre stata ritenuta importante, qualcosa da valorizzare. Andare nei musei e nelle gallerie fin da piccola ha sempre fatto parte della mia vita.”


Ritratto di Karole P.B. Vail | Foto: Matteo De Fina
 
A suo avviso, qual è il potere dell’arte oggi?
“Già negli anni ’60 Peggy pensava che il mondo dell’arte fosse diventato troppo commerciale e in quell’epoca era molto più ristretto: c’erano meno collezionisti, meno musei, meno fondazioni, c’era solo la Biennale di Venezia e dal ’51 quella di San Paolo, le case d’aste esistevano sì, ma non avevano un impatto così forte sull’arte contemporanea, e non c’erano tante fiere. Forse sì, il mondo dell’arte si sta fortemente commercializzando, già da tanto, e alcuni artisti ancor di più, e questa è una critica. Poi c’è chi se ne approfitta. Ci sono tanti artisti che non hanno fortuna, e fanno molta fatica a farsi conoscere. Ci sono le grandi gallerie, ma ci sono anche tante piccole gallerie talvolta costrette a chiudere. Rembrandt aveva uno studio con tanti collaboratori, una sorta di factory e per mantenerla doveva vendere le sue opere. Oggi ad esempio c’è Jeff Koons che ha creato una vera e propria industria per soddisfare una domanda di mercato sempre più ampia. Se da una parte il mondo dell’arte è diventato molto avido, mi sembra altresì giusto che anche gli artisti abbiano la loro giusta ricompensa. La visione romantica dell’artista povero e affamato non esiste più. Ci sono poi artisti che non vogliono far parte del sistema, cosa che apprezzo moltissimo, e vogliono percorrere la loro strada perché ritengono sia la più giusta dal loro dal punto di vista intellettuale ed emotivo. Diventa difficile quando un artista comincia ad avere un certo successo commerciale: fino a dove deve arrivare? C’è anche la paura che la produzione artistica possa diventare produzione tout court. Come trovi un equilibrio tra ciò che veramente vuoi fare e che ritieni importante e la produzione per il mercato dei collezionisti? Alla fine il tema è terribilmente complesso. Credo che si debba cercare di mantenere dei livelli di qualità alta, e di integrità. E' assolutamente fondamentale e ancor di più per un museo.”
 
Nel panorama dell’arte contemporanea, lei a che cosa guarda con curiosità e interesse?
“Oggi c’è troppo da vedere! Quando Peggy e Solomon lavoravano alle loro collezioni, il mondo dell’arte era molto più piccolo. C’erano pochi artisti, ora ce ne sono tantissimi. Non solo europei e americani, ma dall’Africa, dall’Asia, giustamente. Una volta essere artista era molto speciale. Oggigiorno si può decidere di diventare artista così come si sceglie una qualsiasi altra professione. Una volta la scelta nasceva da un impulso interno, artistico e spirituale. In America capita di sentire artisti che hanno terminato i loro studi presso un’ottima scuola o università, lamentarsi che non hanno trovato subito una galleria per vedere le proprie opere. Pensano che aver fatto una scuola importante dia loro automaticamente accesso a una galleria di prim’ordine. A me piace guardare. Mi piace andare alla Biennale, a Palazzo Ducale, a Ca’ Rezzonico. Mi piace la storia, il passato ma anche il presente. Oggi assistiamo a una sovraproduzione di immagini che trovo stancante. Per capire quello che rimarrà in futuro è difficilissimo. Il nostro museo è concentrato sull’arte del Novecento, ma non va pensato come un mausoleo. Come ex curatrice, uno degli aspetti che mi piacciono di più del mio lavoro è di poter muovere le opere, trovare nuove relazioni tra i lavori in esposizione. Quello che vogliamo è una storia, una narrativa. Ho sempre lavorato sul Novecento. Molto raramente con l’arte contemporanea. Dal punto di vista professionale mi sono impegnata di più nell’ambito di artisti che non ci sono più.”
 
Il vostro museo fa sinergia con le altre istituzioni della città? Avete mai organizzato una mostra in collaborazione?
“Collaboriamo con tante istituzioni a Venezia: Università Ca’ Foscari, lo Iuav, l’Accademia di Belle Arti, Palazzo Grassi. E’ importante essere coinvolti nella vita cittadina. Se c’è la richiesta di un prestito, la consideriamo molto attentamente, ma realizzare una mostra insieme al momento non è mai successo, magari in futuro accadrà.  Sono aperta al dialogo.”
 
In che modo le istituzioni veneziane possono lavorare insieme per ripensare il futuro di questa città? Ci sono iniziative in cui siete coinvolti?
“Il nostro contributo è quello di aprire le nostre porte. Organizziamo numerosi programmi per i bambini, scuole, famiglie. Abbiamo la settimana dei veneziani, quest’anno dal 16 al 21 novembre, in cui il museo è aperto ai residenti. La collezione è stata all’avanguardia nel lavorare con le scuole di Venezia e del Veneto. La collaborazione nasce dalla volontà di puntare sull’educazione e sulla divulgazione, una missione che è il cuore della Fondazione Guggenheim.”
 
Come si fa a essere collezionisti oggi?
“Non è facile perché il mondo dell’arte si è così allargato che bisogna avere idee chiare, una forte capacità di visione. Si può fare tutto se si hanno molti mezzi, ma ci sono anche modi per creare collezioni nuove e dinamiche. Tutti i collezionisti sbagliano alcune volte, cioè vendono quello che non dovrebbero vendere, oppure non colgono alcune occasioni. Importante è individuare un tema: vuoi artisti giovani, vuoi solo donne? L’indirizzo facilita il compito.”
 
Le donne nell’arte: la questione del genere è un tema rilevante secondo lei?
“Dipende. Io vorrei valorizzare maggiormente le donne all’interno della collezione Guggenheim, anche se non ce ne sono molte. Nell’esposizione L’Ultima Dogaressa c’è la Hartigan, c’è anche Marina Apollonio un’artista vivente di Padova che si è dedicata all’arte cinetica. Peggy a suo tempo, negli anni ’60, comprò un’opera sua, che non è mai stata molto esposta e che appartiene a un momento importante della storia dell’arte. A me è sempre piaciuto valorizzare artisti anche meno noti. Se posso valorizzare donne è importante, ma è una questione di qualità. L’arte per me non ha genere. Nella mostra sul Surrealismo e la magia ci saranno diverse opere di artiste  perché le donne hanno svolto un ruolo cruciale nel Surrealismo. Lygia Clarck, la pittrice brasiliana, forse non tanto conosciuta in Italia e in Europa, merita di essere più conosciuta. In generale trovo che le donne abbiano maggiore facilità a collaborare con gli altri, sono più aperte al dialogo. Dipende dai caratteri, non si può generalizzare.”