Da un atomo all’altro. Laboratorio di ricerca per la creazione di una collezione d’arte contemporanea
Dal 19 Gennaio 2023 al 10 Febbraio 2023
Milano
Luogo: Fondazione Mudima
Indirizzo: Via Tadino 26
Orari: dal lunedì al venerdì 11:00-13:00 / 14:00-17:30
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02.29409633
E-Mail info: info@mudima.net
Sito ufficiale: http://www.mudima.net
Collezionare arte è un processo graduale. Occorrono molti tentativi ed errori e bisogna educare l’occhio e la mente. È un viaggio che richiede tempo, passione, dedizione e un grande bagaglio di conoscenza. È necessario visitare esposizio- ni artistiche, studi, gallerie, case d’asta, fiere, musei e studiare. Il collezionista Christian Boros ha dichiarato: “Una collezione privata non è un modello migliore di un museo, ma è un’aggiunta importante. Si ha bisogno di un museo per scopi storici, per mostrare la migliore arte del decennio, poi ci sono le collezioni private, con i loro gusti soggettivi”.
In una collezione privata si percepisce la passione di chi ha scelto le opere per sé, l’innamoramento un po’ feticista e un po’ smanioso di chi ha visto in quei piccoli gioielli la scintilla di chi li ha creati, perché l’anima di un artista non la vedi solo nell’immagine più nota e riprodotta ma spesso è più visibile nel pezzo raro. Elio Grazioli nel suo libro La collezione come forma d’arte dice che “una collezione è un modo di mettere e tenere insieme le cose, dunque una visione e un modo di intendere, un’opera fatta di opere altrui, dai cui accostamenti scaturiscono pen- sieri e visioni diverse. [...] Queste relazioni possono essere le più diverse e danno soprattutto una visione diversa della storia, anche corrente, non rispondente alle categorie e ai partiti presi, alle evoluzioni e alle tendenze. Sono un invito a una vi- sione della realtà molto più dall’interno, più endogena, più gaudente anche, atten- ta e appassionata al dettaglio, alle superfici – alla pelle, potremmo dire, per dare uno slancio erotico al nostro discorso. Gli accostamenti possono essere lontani nel tempo o invece sincronici, orizzontali; ognuno rivelerà un aspetto che la Storia ordinata nei musei trascura, sottovaluta anche, in nome di un ordine stabilito”.
La mostra “Da un atomo all’altro. Laboratorio di ricerca per la creazione di una collezione d’arte contemporanea” racconta uno dei tanti atomi che compongono la storia di Gino Di Maggio e Viviana Succi nel loro rapporto con l’arte e gli artisti, la costituzione di una “collezione” particolare, che va al di là della definizione del collezionare ed è il risultato di incontri, situazioni, relazioni umane che non erano principalmente finalizzate all’acquisizione di opere d’arte, come spiega lo stesso Gino Di Maggio:
“A chi me lo chiede rispondo sempre che non sono un collezionista, perché è probabilmente difficile o improprio definire una collezione quello che ho casualmente raccol- to in tutti questi anni. Credo che “collezionare”significhi cercare, rincorrere, scegliere qualcosa di cui non si può fare a meno. Debbo ammettere che io non ho mai fatto tutto questo... Sono stato sempre molto determinato nel seguire o inseguire situazioni, esperienze che apparivano ed effettivamente si sono rivelate nel tempo fuori dal coro. Con gli artisti, per alcuni tratti, ho camminato insieme, scrutandone da vicino il processo creativo. È stato un grande privilegio. Quello che è rimasto è qui solo parzialmente documentato e mi dà l’occasione di rendere sopratutto omaggio a questi miei straordinari amici, a cui devo molto più che una collezione. Mai dimentico di quel formidabile paradosso di Robert Filliou “L’art est ce qui rend la vie plus intéressante que l’art”
Una raccolta che mostra un particolare gusto per la performance, l’interdisciplina- rità nell’arte, la sperimentazione musicale.
Da un atomo all’altro, con incessante movimento raccoglie e mette insieme diversi protagonisti, coinvolti tutti nella formulazione e presentazione di un discorso articolato in una sequenza sintattica di materiali. Il fine ultimo è rendere espressivo, entro un sistema che risponde ad un progetto organico, un insieme di oggetti che altrimenti, nel loro isolamento o in un’inadeguata ostensione, non raggiungerebbero la loro piena potenzialità. La mostra si dividerà in vari momenti e tappe successive, cercando di raggruppare i lavori per vicinanza cronologica o tematica, alternando sempre fra i piani espositivi della fondazione una parte dedicata agli artisti storici e una parte dedicata all’epoca più recente.
In questo primo atomo troviamo al piano terra della fondazione la raccolta dedicata agli Affichistes: la vita quotidiana della città che diviene arte, con i suoi manifesti che il tempo lacera, ulteriormente e intenzionalmente reinterpretati da un gruppo di artisti che hanno segnato in modo significativo l’evoluzione dell’arte dal dopoguerra agli anni ‘70. Gli Affichistes, creano lavori di grande impatto utilizzando il supporto del manifesto lacerato per dare vita alla propria arte. Il movimento è nato a Milano nel 1960, all’interno del Nouveau Réalisme. Ed ecco dunque i celebri collages e décollages che raccontano il gesto rabbioso e la protesta sociale propria dell’arte degli Affichistes.
Che li si consideri l’alba della Pop Art, o i precursori della Street Art, alla fine de- gli anni ‘50 gli Affichistes sperimentarono un concetto completamente nuovo di pittura. Attraversando le strade di Roma e Parigi nel dopoguerra collezionarono ovunque frammenti di poster. Strappati, rovinati dalle intemperie o incollati l’uno sull’altro che fossero, li trasformarono in arte. Il loro approccio alla realtà, così po- eticamente sovversivo, ne fece anche i pionieri del neorealismo. Testimoni e aspri critici di una società in crisi nel dopoguerra, appesa ai falsi miti del capitalismo.
Presentiamo in fondazione le opere di artisti quali François Dufrêne, Raymond Hains, Mimmo Rotella, Jacques Villeglé, Wolf Vostell, Asger Jorn e Arthur Aeschbacher, fra i prinicipali esponenti del movimento.
Al primo piano invece abbiamo provato ad accostare artisti o atomi diversi cercando di costruire una nuova narrazione.
Siamo partiti dall’immagine archetipica dell’uovo come inizio di tutto l’universo. L’uovo che si divide in due parti, così come racconta il mito cinese di Pangu, e diventa cielo e terra.
Seguendo questa immagine abbiamo aperto la prima sala con l’installazione di Maïmouna Guerresi e i suoi uomini-uovo. Nella seconda sala abbiamo voluto rappresentare il mondo aereo, nonché etereo, e quello terreno. Da una parte le sagome spirituali ed estatiche di Giovanni Manfredini e dall’altra le forme aliene dei fantasmi di Alessandro Verdi. A loro si contrappongono i corpi flaccidi e sfigurati che mostrano la carnalità di Alessandro Bellucco, i lacerti e i brandelli di corpi di Margherita Palmero e un corpo che emerge dalla parete e fluttua nel bianco di Matteo Pugliese.
Inaugurazione: giovedì 19 gennaio 2023 ore 18
In una collezione privata si percepisce la passione di chi ha scelto le opere per sé, l’innamoramento un po’ feticista e un po’ smanioso di chi ha visto in quei piccoli gioielli la scintilla di chi li ha creati, perché l’anima di un artista non la vedi solo nell’immagine più nota e riprodotta ma spesso è più visibile nel pezzo raro. Elio Grazioli nel suo libro La collezione come forma d’arte dice che “una collezione è un modo di mettere e tenere insieme le cose, dunque una visione e un modo di intendere, un’opera fatta di opere altrui, dai cui accostamenti scaturiscono pen- sieri e visioni diverse. [...] Queste relazioni possono essere le più diverse e danno soprattutto una visione diversa della storia, anche corrente, non rispondente alle categorie e ai partiti presi, alle evoluzioni e alle tendenze. Sono un invito a una vi- sione della realtà molto più dall’interno, più endogena, più gaudente anche, atten- ta e appassionata al dettaglio, alle superfici – alla pelle, potremmo dire, per dare uno slancio erotico al nostro discorso. Gli accostamenti possono essere lontani nel tempo o invece sincronici, orizzontali; ognuno rivelerà un aspetto che la Storia ordinata nei musei trascura, sottovaluta anche, in nome di un ordine stabilito”.
La mostra “Da un atomo all’altro. Laboratorio di ricerca per la creazione di una collezione d’arte contemporanea” racconta uno dei tanti atomi che compongono la storia di Gino Di Maggio e Viviana Succi nel loro rapporto con l’arte e gli artisti, la costituzione di una “collezione” particolare, che va al di là della definizione del collezionare ed è il risultato di incontri, situazioni, relazioni umane che non erano principalmente finalizzate all’acquisizione di opere d’arte, come spiega lo stesso Gino Di Maggio:
“A chi me lo chiede rispondo sempre che non sono un collezionista, perché è probabilmente difficile o improprio definire una collezione quello che ho casualmente raccol- to in tutti questi anni. Credo che “collezionare”significhi cercare, rincorrere, scegliere qualcosa di cui non si può fare a meno. Debbo ammettere che io non ho mai fatto tutto questo... Sono stato sempre molto determinato nel seguire o inseguire situazioni, esperienze che apparivano ed effettivamente si sono rivelate nel tempo fuori dal coro. Con gli artisti, per alcuni tratti, ho camminato insieme, scrutandone da vicino il processo creativo. È stato un grande privilegio. Quello che è rimasto è qui solo parzialmente documentato e mi dà l’occasione di rendere sopratutto omaggio a questi miei straordinari amici, a cui devo molto più che una collezione. Mai dimentico di quel formidabile paradosso di Robert Filliou “L’art est ce qui rend la vie plus intéressante que l’art”
Una raccolta che mostra un particolare gusto per la performance, l’interdisciplina- rità nell’arte, la sperimentazione musicale.
Da un atomo all’altro, con incessante movimento raccoglie e mette insieme diversi protagonisti, coinvolti tutti nella formulazione e presentazione di un discorso articolato in una sequenza sintattica di materiali. Il fine ultimo è rendere espressivo, entro un sistema che risponde ad un progetto organico, un insieme di oggetti che altrimenti, nel loro isolamento o in un’inadeguata ostensione, non raggiungerebbero la loro piena potenzialità. La mostra si dividerà in vari momenti e tappe successive, cercando di raggruppare i lavori per vicinanza cronologica o tematica, alternando sempre fra i piani espositivi della fondazione una parte dedicata agli artisti storici e una parte dedicata all’epoca più recente.
In questo primo atomo troviamo al piano terra della fondazione la raccolta dedicata agli Affichistes: la vita quotidiana della città che diviene arte, con i suoi manifesti che il tempo lacera, ulteriormente e intenzionalmente reinterpretati da un gruppo di artisti che hanno segnato in modo significativo l’evoluzione dell’arte dal dopoguerra agli anni ‘70. Gli Affichistes, creano lavori di grande impatto utilizzando il supporto del manifesto lacerato per dare vita alla propria arte. Il movimento è nato a Milano nel 1960, all’interno del Nouveau Réalisme. Ed ecco dunque i celebri collages e décollages che raccontano il gesto rabbioso e la protesta sociale propria dell’arte degli Affichistes.
Che li si consideri l’alba della Pop Art, o i precursori della Street Art, alla fine de- gli anni ‘50 gli Affichistes sperimentarono un concetto completamente nuovo di pittura. Attraversando le strade di Roma e Parigi nel dopoguerra collezionarono ovunque frammenti di poster. Strappati, rovinati dalle intemperie o incollati l’uno sull’altro che fossero, li trasformarono in arte. Il loro approccio alla realtà, così po- eticamente sovversivo, ne fece anche i pionieri del neorealismo. Testimoni e aspri critici di una società in crisi nel dopoguerra, appesa ai falsi miti del capitalismo.
Presentiamo in fondazione le opere di artisti quali François Dufrêne, Raymond Hains, Mimmo Rotella, Jacques Villeglé, Wolf Vostell, Asger Jorn e Arthur Aeschbacher, fra i prinicipali esponenti del movimento.
Al primo piano invece abbiamo provato ad accostare artisti o atomi diversi cercando di costruire una nuova narrazione.
Siamo partiti dall’immagine archetipica dell’uovo come inizio di tutto l’universo. L’uovo che si divide in due parti, così come racconta il mito cinese di Pangu, e diventa cielo e terra.
Seguendo questa immagine abbiamo aperto la prima sala con l’installazione di Maïmouna Guerresi e i suoi uomini-uovo. Nella seconda sala abbiamo voluto rappresentare il mondo aereo, nonché etereo, e quello terreno. Da una parte le sagome spirituali ed estatiche di Giovanni Manfredini e dall’altra le forme aliene dei fantasmi di Alessandro Verdi. A loro si contrappongono i corpi flaccidi e sfigurati che mostrano la carnalità di Alessandro Bellucco, i lacerti e i brandelli di corpi di Margherita Palmero e un corpo che emerge dalla parete e fluttua nel bianco di Matteo Pugliese.
Inaugurazione: giovedì 19 gennaio 2023 ore 18
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