Futuristi alla GNAM - Le opere esposte e quelle che non verranno in Italia.

ZANG ZANG, TUMB TUMB ... SPLASH !

Umberto Boccioni, La città che sale (1911), particolare, MoMA, New York
 

Piero Muscarà e Eleonora Zamparutti

10/09/2024

Roma - Quando il curatore Pontus Hulten conclude il suo saggio per il catalogo della mostra Futurismo & Futurismi (Palazzo Grassi, Venezia 1986) pone un’insolita domanda: “Si terrà una mostra sul Futurismo nel 2986? Come sarà? Risulterà insolita come l’apertura di una necropoli cinese, con i fiumi di mercurio in miniatura, colma di sorprese e di bellezza? O sarà piuttosto simile a questa di Palazzo Grassi, formulata con amore, attenzione e tanto lavoro?”.
Nel 1986 la Fondazione Agnelli non aveva badato a spese per un’operazione culturale di prestigio finalizzata a rafforzare il consenso a livello nazionale e globale dei nuovi proprietari di Palazzo Grassi. I nomi migliori dell’intellighenzia italiana e internazionale vennero chiamati per organizzare una mostra con prestiti importanti a cui veniva affiancato un convegno di studi presieduto da Renzo De Felice. Gli allestimenti furono firmati da Gae Aulenti. Per dire.

Non occorrerà attendere un millennio per sentir parlare ancora di Futurismo. Il 30 ottobre 2024 fino al 28 febbraio 2025 aprirà alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma diretta da Renata Cristina Mazzantini, la mostra Il Tempo del Futurismo curata da Gabriele Simongini.

“L’operazione Futurismo” annunciata agli esordi del suo mandato nell’ottobre del 2022 dal Ministro della Cultura e letteralmente calata dall’alto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, è nata come chiara iniziativa di soft power. “Vorrei cominciare la mia attività da ministro con due grandi mostre. Una su Umberto Boccioni e il futurismo. L’altra sul Rinascimento. Questi due momenti storici e culturali sono stati quelli che, ognuno a modo suo, hanno proiettato l’Italia nel mondoaffermò Sangiuliano in un’intervista a Mario Ajello su Il Messaggero.

Oggi, a 22 mesi da quella dichiarazione d’intenti, rimasta orfana del suo ispiratore dopo le improvvise dimissioni di Sangiuliano, l’iniziativa è finita nelle mani del nuovo Ministro della Cultura, Alessandro Giuli che da qualche giorno ha assunto la carica del dicastero in Via del Collegio Romano.

La mostra, le opere: cosa sappiamo.

Due giorni prima dell’inaugurazione, il 28 ottobre, giungerà da Desenzano il famoso idrovolante Macchi - Castoldi MC 72, il velivolo che tra il 1934 e il 1939 fu il detentore del record mondiale di velocità, capace di sfrecciare a oltre 700 km all’ora. A Roma poi sta per arrivare dal MoMA di New York uno dei grandi capolavori di Giacomo Balla, quel Lampada ad Arco (1909-1911) che Umberto Boccioni non volle esporre a Parigi alla prima mostra futurista alla Galerie Bernheim-Jeune che il 7 febbraio del 1912 sconvolse la Ville Lumière. Per il resto, pochissime novità.

L’iniziale intento “enciclopedico”, ha precisato il curatore Gabriele Simongini al Giornale dell’arte, è stato negli ultimi mesi via via ridimensionato e il progetto espositivo è stato riportato entro confini meno ambiziosi di quanto non si fosse inizialmente ipotizzato. Questione di budget, molto probabilmente, ma forse ancor più amaramente, constatazione del poco tempo disponibile per organizzare un così “vasto programma”.

Basta sfogliare la lista elencata a corredo dell’avviso pubblico per il servizio di trasporto “da chiodo a chiodo” di opere d’arte, pubblicato il 9 agosto sul sito della GNAM nella sezione “Trasparenza”, per rendersene conto.

Ci sono quasi tutte le opere d’arte italiane che ci si aspetta di trovare. Opere da grandi collezioni museali, stra-pubblicate, di cui non si può mettere in dubbio l’autenticità o il rilievo storico artistico.

Oltre al grande contributo che la Galleria nazionale stessa potrà rendere possibile (104 opere in tutto, tra cui 25 solo di Giacomo Balla, 8 di Umberto Boccioni, 13 di Enrico Prampolini, e un’altra decina tra Fillia, Benedetta Cappa, Russolo, Ardengo Soffici, Gino Severini), aprendo lo scrigno dei propri depositi, tra le opere italiane che si potranno ammirare, molte provengono dalle collezioni milanesi. Il Museo del Novecento di Milano possiede una delle collezioni più importanti di opere futuriste in Europa. L’Arengario presterà le prime versioni del trittico Stati d’Animo di Umberto Boccioni (1911), Costruzione Spiralica (1913) e Dinamismo plastico-cavallo+caseggiato (1915) sempre di Boccioni, ma anche il bronzo realizzato nel 1935 dalla scultura in gesso Sviluppo di una bottiglia nello spazio del 1916, salvata miracolosamente dalla distruzione dopo la morte dell’artista. Grande assente il bronzo di Forme uniche di continuità nello spazio (per non parlare del gesso originale al Museo dell’Università di San Paolo in Brasile), capolavoro di Umberto Boccioni tanto famoso da essere stampato sulle monetine da 20 centesimi.

La GAM di Milano presterà la splendida Bambina che corre sul balcone (1912) di Giacomo Balla, mentre dal Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco giungerà un bel autoritratto a tempera e pastello su carta di Boccioni del 1909. Tra i grandi prestatori naturalmente il MART di Rovereto da dove arriveranno 18 opere tra cui le più preziose sono certamente Ballerina (1913) di Gino Severini, Ciò che mi ha detto il tram (1911) di Carlo Carrà, Velo di vedova+paesaggio del 1916 di Giacomo Balla e un bel gruppo (5) di opere di Fortunato Depero tra queste Uomo coi baffi del 1916. Dalla Pinacoteca di Brera arriveranno alla GNAM tre opere: il bozzetto in pittura a tempera su carta (36 × 60 cm) de La città che sale (1910) , Allegoria del lavoro (1905) di Carrà oltre a un Segantini del 1895. Inspiegabilmente nella lista dei prestiti non si trovano invece Rissa in Galleria (1910) e Elasticità (1912) di Boccioni. Di Tullio Crali e degli aeropittori si vedrà invece pochissimo. Se ci sarà Prima che si apra il paracadute del 1939 (dal Museo Galleria d’Arte Moderna - Casa Cavazzini di Udine) inspiegabilmente nella lista delle opere manca il celeberrimo Incuneandosi nell'abitato del 1939. Ci sono prestiti naturalmente dalle collezioni Banca d’Italia e della Fondazione Biagiotti Cigna di Guidonia.

Grandi assenze: le collezioni internazionali

Dall’estero giungeranno in tutto alla GNAM 16 opere delle 397 chieste in prestito. Il valore assicurativo di tutte le opere prestate supera i 300 milioni di euro. Le 16 provenienti dai grandi musei internazionali da sole “pesano” 135 milioni di euro di valore.

Nessuno dei grandi capolavori americani sarà in Italia come si sperava. Non avremo la fortuna di vedere la versione del trittico del MoMA Stati d’Animo di Umberto Boccioni (quelli che il giovane genio italiano realizzò dopo aver visto nel 1912 le opere cubiste di Braque e Picasso). Dal MoMA mancheranno anche altre opere iconiche, come il grande olio su tela (199.3 x 301 cm) de La città che sale (1910), La Risata (1911), Dinamismo di un calciatore (1913). Assenti anche le 11 opere di Giacomo Balla, mentre di Carlo Carrà ci sarà Sobbalzi di carrozza (1911) mentre non vedremo il più celebre I funerali dell’anarchico Galli (1910-1911). E alla GNAM non troveremo neppure l’iconico capolavoro di Giacomo Balla Dinamismo di un cane al guinzaglio (1912) che dal 2016 non si vede nel Bel Paese e che si trova fuori dai grandi circuiti internazionali dell’arte nelle collezioni del Buffalo AKG Art Museum nello stato di New York. L’elenco delle mancanze non si ferma qui, ed è davvero un peccato. Se Estorick Collection di Londra ha concesso in prestito i suoi pezzi forti - Idolo Moderno (1911) di Boccioni e Le Boulevard (1911) di Gino Severini - non si può non notare come altri fondamentali quadri manchino all’elenco predisposto per la mostra futurista della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Non c’è Visioni simultanee (1911) di Boccioni dalle collezioni del Von der Heydt Museum di Wuppertal e assente è anche La strada entra nella casa (1911) sempre di Boccioni dal Kunstmuseum di Hannover.

La coperta forse era troppo corta per soddisfare appieno le ambizioni del Ministero e del Governo. Meglio cambiare il taglio della mostra, in corso d’opera.

Il Futurismo oltre le polemiche

Se è vero come scriveva negli anni ‘40 George Orwell che “tutta l’arte è propaganda”, non serve scomodare il grande politologo Joseph Nye per ricordare l’importanza del soft power per asseverare le intenzioni di un governo che abbia ambizioni e sfere d’influenza da proiettare oltre i propri confini. Un discorso che vale anche per l’attuale in carica in Italia che all’avanguardia di Marinetti affida lo scopo di gettare ponti, stabilire nuove gerarchie, comunicare i propri valori, in una parola perseguire l’obiettivo politico di rovesciare quella che i promotori affermano esser stata “l’egemonia culturale della sinistra” nel Bel Paese.

Non stupisce quindi l’intenzione. E’ un po’ sconfortante constatare invece il metodo e la scarsa conoscenza delle complessità, del tempo e delle risorse che si necessitano per perseguire in modo realistico un così ambizioso obiettivo. Giacché il Futurismo, con buona pace dell’ispiratore pro tempore al MiC, era stato ampiamente sdoganato e raccontato negli ultimi quarant’anni da fior fior di mostre e da illustri curatori e organizzatori.

Ogni mostra sul Futurismo è chiaramente l'affermazione dell'identità della nostra cultura italiana. Il Futurismo è stato del resto il movimento di avanguardia più radicale del ventesimo secolo e anche il più controverso per i suoi aspetti politico-ideologici. Ne vogliamo parlare ?

Fu la creazione di Marinetti, l’agitatore. Sua la retorica del conflitto, sua la glorificazione della guerra come strumento per sradicare tutto ciò che era vecchio ed obsoleto, suo poi l’allineamento con il regime fascista per traghettare l’Italia verso la desiderata modernità. Con la Seconda Guerra mondiale commise la tragica scelta di anteporre la patria alla libertà compromettendo così l’immagine dell’Avanguardia per la posterità. Ma oggi il Futurismo non è più un movimento artistico sconosciuto o dileggiato.

Se si vogliono riallacciare le fila della storia del nostro Paese e riaffermare lo straordinario primato che l’avanguardia italiana ebbe sulle arti del Novecento in tutto il mondo, forse bisognerebbe partire dal ricordare che Filippo Tommaso Marinetti era anche un intellettuale che per sua stessa provenienza (nato al Cairo il 22 dicembre del 1876, parlava e scriveva in francese meglio che in italiano), aveva una innata vocazione internazionale. Il Manifesto ebbe l’eco mondiale che conosciamo quando fu pubblicato nel 1909 sul quotidiano francese Le Figaro. E gran parte dell’attività di promozione dell’arte futurista si imperniò su costosissime tournée internazionali, sostenute a proprie spese da FTM, che toccarono Parigi, Londra, Amsterdam, Berlino per citare le tappe più famose. Non fu solo un fenomeno italiano. Per questo è importante. Senza il Futurismo non sarebbe esistita nessuna delle avanguardie del secolo breve.

Dalla lista delle opere in mostra non si evince la volontà di mettere in dialogo il Futurismo con altre avanguardie internazionali, sottolineando una quanto mai attuale chiave di lettura europea.

Fa strano perché i rapporti tra i pittori Futuristi e Picasso e Braque ci furono eccome e a più riprese. Severini addirittura sposò la figlia di Paul Fort e passò una parte importante della sua vita a Parigi. Marinetti teneva una corrispondenza con Kandinskij negli anni cruciali per le sorti del Bauhaus. L’idea di continuità tra arte e vita propria del Futurismo ha avuto forti influenze sul Bauhaus in Germania, De Stijl in Olanda, l’Esprit Nouveau in Francia e nel Costruttivismo russo. Questi stessi movimenti hanno esercitato a loro volta un'importante influenza sul Futurismo.

Modernismo: la chiave per comprendere il Futurismo

Se è vero che il Futurismo non fu poi solo un’arte fascista - lo si usava dire 80 anni fa ed il tema è stato benissimo illustrato e smentito anche dalla recente esposizione Arte e Fascismo al MART di Rovereto ideata da Vittorio Sgarbi e curata da Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari - sarebbe stato utile forse approfondire anche in chiave espositiva e convegnistica questo aspetto, spiegando e guidando il pubblico a comprendere come da distruttore dei musei FTM si trovò a calzare la feluca dell’Accademia d’Italia assieme a grandi italiani del tempo come Marconi o Pirandello. E magari approfondendo anche quale fu la relazione che nei suoi 35 anni di vita ebbe il movimento artistico italiano con la propaganda di un regime che voleva fare della modernità uno dei cardini del proprio potere.

La modernità sarà rappresentata alla GNAM da molti oggetti, apparecchi radio, e trasmettitori dalle Officine Marconi, modelli, fotografie, aeroplani, mobili, oggetti e abiti futuristi in quella che pare essere la sezione più interessante di questa esposizione. Oggetti che qui pare vengano proposti in una chiave di riaffermazione passatista del “genio italico” (l’idea è creare un parallelismo con Marconi, di cui si celebra un altro anniversario) anziché di testimonianza dello spirito dei tempi. I primi 40 anni del Novecento furono un’epoca in cui l’Italia, al pari di altri paesi, fu una protagonista di rilievo. Il modernismo però per poter essere compreso nella sua straordinaria e devastante complessità, con la sua straordinaria accelerazione tecnologica e scientifica, andrebbe visto come fenomeno globale, non locale. L’emerito professore di Oxford Roger Griffin parla della “Generazione Titanic” e spiega come la radice dei totalitarismi che devastarono l’Europa e il mondo vada cercata proprio nel paradossale connubio tra modernità e mitizzazione di un antico passato proiettato nel futuro.

L’auspicio è che questa I Tempi del Futurismo non si riveli una colossale operazione di vanità nostalgica volta a riaffermare il genio italico. Se di soft power parliamo, portiamo questa mostra sul piano di discussione dove vivono i grandi musei del mondo. A Parigi, a Londra, a Tokyo e a New York. Non nelle nostre parrocchiette, per piacere. Il Futurismo non ha proprio bisogno di essere preso in ostaggio da nessuno.

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