A Palazzo Litta 69 opere confiscate per frode fiscale
Arte e criminalità: una mostra a Milano
Una sala di Palazzo Litta a Milano dove è esposta l'opera di Pol Bury, 102 Cones Creux (1964). Riflessa sullo specchio la serigrafia di Andy Warhol che ritrae Giorgio Armani. Foto di Roberto Morelli.
Eleonora Zamparutti
08/10/2018
Milano - Era un uomo della finanza, appassionato di alcuni filoni specifici dell’arte del XX secolo. O forse semplicemente un personaggio facoltoso le cui attività illegali avevano fruttato un bel gruzzolo che aveva investito nell’acquisto di opere d’arte, avvalendosi saggiamente di bravi consulenti.
Aveva messo in piedi una collezione notevole che spaziava dall’Astrattismo organico con opere di Jan Arp e di Arnaldo Pomodoro, all’Informale, abbracciando le Neoavanguardie degli anni Sessanta e includendo lavori più tardi di Penone, Calzolari, Paolini e Bury, e che si apriva con disinvoltura alle presenze internazionali con un nome importante per una collezione privata, nello specifico la grafica di Andy Warhol che ritrae Giorgio Armani.
Sessantanove opere in tutto, esposte nella sua abitazione. Una collezione di estrema raffinatezza, creata con particolare cura per l’autenticità delle opere.
Poi un bel giorno tutto cambia: le forze dell’ordine irrompono nell’abitazione. Parte il sequestro dei beni e poi, a processo concluso, la confisca definitiva. Fine del sogno e inizio di un lungo iter, intrapreso da Beatrice Bentivoglio-Ravasio, Responsabile della Tutela dell’area Beni Storico-artistici ed Etnoantropologici del Segretariato regionale del Mibac per la Lombardia.
“Ci sono voluti dieci anni dal sequestro per arrivare al risultato di oggi: la consegna dei beni al nostro Ministero. La mostra “Arte Liberata” è allestita nelle sale barocche di Palazzo Litta in Corso Magenta a Milano”. Il catalogo dell'esposizione, aperta al pubblico fino all'11 Novembre, è stato realizzato da Scalpendi Editore.
Il legame tra criminalità e arte è indubbiamente forte, ma non per questo i criminali si intendono di arte. C’è chi si prende dei clamorosi granchi. E’ il caso ad esempio del Signor B a cui l’autorità giudiziaria nel 2008 confisca 458 opere d’arte tra quadri, disegni, stampe, qualche scultura, un’anfora romana, ma anche arredi, gioielli, orologi e persino una borsetta con dentro tredicimila euro in contanti. Tutto frutto dell’attività criminale organizzata. Peccato che l’indagine successiva abbia dimostrato che la maggior parte dei beni sequestrati fosse falsa, le poche opere autentiche comunque di scarso valore e non meritevoli di assoggettamento al regime di tutela.
La mostra “Arte Liberata” è una storia a lieto fine. Ci vuole raccontare, dottoressa Beatrice Bentivoglio-Ravasio, da dove è cominciato tutto?
“Nel 2008 avviene il sequestro dei beni nell’abitazione di una persona a cui vengono contestati reati fiscali e finanziari. Del sequestro faceva parte la straordinaria collezione di 69 opere d’arte ora in mostra. A quel tempo il Tribunale di Milano decide di affidare la collezione non ai depositi classici, ma a una società specializzata in conservazione di beni culturali, la Open Care. Negli anni successivi il procedimento giudiziario va avanti e il sequestro preventivo dei beni, avvenuto sulla base delle misure di prevenzione, si trasforma in confisca definitiva. Da quel momento in poi la gestione dei beni confiscati al collezionista milanese passa nelle mani dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, una struttura apposita creata nel 2010, che ha come compito la gestione dei grossi patrimoni sequestrati a chi ha commesso reati di particolare pericolosità sociale, come quelli legati all’associazionismo di stampo mafioso”.
Qual è il ruolo dell’Agenzia in questa vicenda?
“L’Agenzia amministra e gestisce il patrimonio seguendo le direttive del codice delle misure di prevenzione in base al quale la via prioritaria è il riutilizzo a scopi sociali, ammesso che ve ne siano i presupposti. Viceversa si procede alla vendita. I proventi della vendita finiscono poi nel fondo di risarcimento delle vittime e delle famiglie delle vittime. In base alla normativa, le opere false e contraffatte devono essere distrutte. Tuttavia l’Agenzia non ha il know-how per la gestione di beni particolari come le opere d’arte. In quello stesso periodo l’Agenzia si era trovata a dover gestire anche un’altra confisca in Lombardia: questa volta si trattava di 458 opere, che poi si sono rivelate per buona parte false o di basso valore culturale.”
C’erano stati in Italia dei precedenti?
“Fino a questo momento l’unico caso di confisca di beni stato-artistici ritornati allo Stato sotto forma di collezione museale è quello dei beni sequestrati a Gioacchino Campolo, il re dei videopoker a Reggio Calabria. Il sequestro aveva riguardato 107 tele preziose, tra cui opere di Picasso, de Chirico e Guttuso. Grazie a un accordo tra il Comune e il Museo Archeologico di Reggio Calabria - a quel tempo in fase di riallestimento in attesa del ritorno dei Bronzi di Riace -, nel 2013 è stata allestita un’esposizione temporanea dei beni sequestrati che in seguito, dal 2015, sono entrati a far parte della collezione permanente del museo Palazzo della Cultura “Pasquino Crupi” di Reggio Calabria”.
Passano 6 anni dalla confisca ed entra in scena il Ministero per i Beni e le Attività culturali…
“L’Agenzia contatta l’ufficio del Segretariato regionale per la Lombardia del Mibac, di cui faccio parte tutt’ora e insieme alla collega Flora Berizzi iniziamo a occuparci della valutazione delle opere. Trattandosi di una collezione di arte molto contemporanea, decidiamo di affidarci all’Università di Pavia, nello specifico al professor Paolo Campiglio, ricercatore di Storia dell’Arte Contemporanea. La fortuna vuole che nel 2015 venga emesso un bando di gara dalla Regione Lombardia per “progetti di ricerca nell’ambito dei beni culturali”. L’accesso al bando con un progetto dedicato e frutto di un accordo di partenariato a 4 - che includeva il Mibac, l’Agenzia Nazionale, l’Università di Pavia e Open Care – ci ha consentito di accedere ai fondi necessari per avviare il progetto di studio, per procedere all’emissione di 5 borse di ricerca, e per realizzare una giornata di studi e la pubblicazione dei relativi atti.”
Prima di tutto era necessario accertarsi del valore e dell’autenticità delle opere…
“In quel momento il passaggio obbligato era di poter visionare, studiare e analizzare da vicino le opere per accertarne la provenienza e l’autenticità. Nel caso della collezione ora in mostra, quest’ultimo passaggio è stato cosa facile visto tutte le opere erano dotate di expertise e di certificato di acquisto.”
Quale poteva essere la destinazione di una collezione così importante?
“Arriviamo finalmente alla primavera del 2016. In quel momento prende corpo la consapevolezza che la collezione di “Arte Liberata” che avevamo in mano fosse assolutamente omogenea, compatta, con un senso compiuto: impossibile dunque venderla o disperderla. Oltretutto il valore simbolico era molto alto: si trattava di un simbolo della lotta alla criminalità organizzata, un maltolto che poteva e doveva essere restituito alla collettività. Occorreva dunque pensare a una destinazione: non banale per un museo di arte contemporanea accogliere un corpus di 69 opere per ragioni di scarsità di spazio espositivo e complementarietà rispetto alla collezione residente. C’era anche il rischio che l’istituzione museale che si fosse eventualmente fatta carico della collezione scegliesse di esporre solo un paio di opere e destinasse le restanti al deposito. Fortunatamente la GAMeC di Bergamo ci ha accolti a braccia aperte. Le opere che sono esposte oggi a Palazzo Litta saranno accolte nelle sale del museo”.
Quali sono i progetti per il futuro?
“Il progetto del Ministero in accordo con le altre istituzioni presenti sul territorio sarebbe quello di costituire un Padiglione dell’Arte Liberata, un polo dedicato al rapporto della criminalità con dell’arte, allestito in un immobile sottratto alla criminalità organizzata che potesse accogliere anche un centro di studi sull’argomento”.
Leggi anche:
• Arte Liberata. Andy Warhol, Christo, Jean Arp strappati alla crminalità
Aveva messo in piedi una collezione notevole che spaziava dall’Astrattismo organico con opere di Jan Arp e di Arnaldo Pomodoro, all’Informale, abbracciando le Neoavanguardie degli anni Sessanta e includendo lavori più tardi di Penone, Calzolari, Paolini e Bury, e che si apriva con disinvoltura alle presenze internazionali con un nome importante per una collezione privata, nello specifico la grafica di Andy Warhol che ritrae Giorgio Armani.
Sessantanove opere in tutto, esposte nella sua abitazione. Una collezione di estrema raffinatezza, creata con particolare cura per l’autenticità delle opere.
Poi un bel giorno tutto cambia: le forze dell’ordine irrompono nell’abitazione. Parte il sequestro dei beni e poi, a processo concluso, la confisca definitiva. Fine del sogno e inizio di un lungo iter, intrapreso da Beatrice Bentivoglio-Ravasio, Responsabile della Tutela dell’area Beni Storico-artistici ed Etnoantropologici del Segretariato regionale del Mibac per la Lombardia.
“Ci sono voluti dieci anni dal sequestro per arrivare al risultato di oggi: la consegna dei beni al nostro Ministero. La mostra “Arte Liberata” è allestita nelle sale barocche di Palazzo Litta in Corso Magenta a Milano”. Il catalogo dell'esposizione, aperta al pubblico fino all'11 Novembre, è stato realizzato da Scalpendi Editore.
Il legame tra criminalità e arte è indubbiamente forte, ma non per questo i criminali si intendono di arte. C’è chi si prende dei clamorosi granchi. E’ il caso ad esempio del Signor B a cui l’autorità giudiziaria nel 2008 confisca 458 opere d’arte tra quadri, disegni, stampe, qualche scultura, un’anfora romana, ma anche arredi, gioielli, orologi e persino una borsetta con dentro tredicimila euro in contanti. Tutto frutto dell’attività criminale organizzata. Peccato che l’indagine successiva abbia dimostrato che la maggior parte dei beni sequestrati fosse falsa, le poche opere autentiche comunque di scarso valore e non meritevoli di assoggettamento al regime di tutela.
La mostra “Arte Liberata” è una storia a lieto fine. Ci vuole raccontare, dottoressa Beatrice Bentivoglio-Ravasio, da dove è cominciato tutto?
“Nel 2008 avviene il sequestro dei beni nell’abitazione di una persona a cui vengono contestati reati fiscali e finanziari. Del sequestro faceva parte la straordinaria collezione di 69 opere d’arte ora in mostra. A quel tempo il Tribunale di Milano decide di affidare la collezione non ai depositi classici, ma a una società specializzata in conservazione di beni culturali, la Open Care. Negli anni successivi il procedimento giudiziario va avanti e il sequestro preventivo dei beni, avvenuto sulla base delle misure di prevenzione, si trasforma in confisca definitiva. Da quel momento in poi la gestione dei beni confiscati al collezionista milanese passa nelle mani dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, una struttura apposita creata nel 2010, che ha come compito la gestione dei grossi patrimoni sequestrati a chi ha commesso reati di particolare pericolosità sociale, come quelli legati all’associazionismo di stampo mafioso”.
Qual è il ruolo dell’Agenzia in questa vicenda?
“L’Agenzia amministra e gestisce il patrimonio seguendo le direttive del codice delle misure di prevenzione in base al quale la via prioritaria è il riutilizzo a scopi sociali, ammesso che ve ne siano i presupposti. Viceversa si procede alla vendita. I proventi della vendita finiscono poi nel fondo di risarcimento delle vittime e delle famiglie delle vittime. In base alla normativa, le opere false e contraffatte devono essere distrutte. Tuttavia l’Agenzia non ha il know-how per la gestione di beni particolari come le opere d’arte. In quello stesso periodo l’Agenzia si era trovata a dover gestire anche un’altra confisca in Lombardia: questa volta si trattava di 458 opere, che poi si sono rivelate per buona parte false o di basso valore culturale.”
C’erano stati in Italia dei precedenti?
“Fino a questo momento l’unico caso di confisca di beni stato-artistici ritornati allo Stato sotto forma di collezione museale è quello dei beni sequestrati a Gioacchino Campolo, il re dei videopoker a Reggio Calabria. Il sequestro aveva riguardato 107 tele preziose, tra cui opere di Picasso, de Chirico e Guttuso. Grazie a un accordo tra il Comune e il Museo Archeologico di Reggio Calabria - a quel tempo in fase di riallestimento in attesa del ritorno dei Bronzi di Riace -, nel 2013 è stata allestita un’esposizione temporanea dei beni sequestrati che in seguito, dal 2015, sono entrati a far parte della collezione permanente del museo Palazzo della Cultura “Pasquino Crupi” di Reggio Calabria”.
Passano 6 anni dalla confisca ed entra in scena il Ministero per i Beni e le Attività culturali…
“L’Agenzia contatta l’ufficio del Segretariato regionale per la Lombardia del Mibac, di cui faccio parte tutt’ora e insieme alla collega Flora Berizzi iniziamo a occuparci della valutazione delle opere. Trattandosi di una collezione di arte molto contemporanea, decidiamo di affidarci all’Università di Pavia, nello specifico al professor Paolo Campiglio, ricercatore di Storia dell’Arte Contemporanea. La fortuna vuole che nel 2015 venga emesso un bando di gara dalla Regione Lombardia per “progetti di ricerca nell’ambito dei beni culturali”. L’accesso al bando con un progetto dedicato e frutto di un accordo di partenariato a 4 - che includeva il Mibac, l’Agenzia Nazionale, l’Università di Pavia e Open Care – ci ha consentito di accedere ai fondi necessari per avviare il progetto di studio, per procedere all’emissione di 5 borse di ricerca, e per realizzare una giornata di studi e la pubblicazione dei relativi atti.”
Prima di tutto era necessario accertarsi del valore e dell’autenticità delle opere…
“In quel momento il passaggio obbligato era di poter visionare, studiare e analizzare da vicino le opere per accertarne la provenienza e l’autenticità. Nel caso della collezione ora in mostra, quest’ultimo passaggio è stato cosa facile visto tutte le opere erano dotate di expertise e di certificato di acquisto.”
Quale poteva essere la destinazione di una collezione così importante?
“Arriviamo finalmente alla primavera del 2016. In quel momento prende corpo la consapevolezza che la collezione di “Arte Liberata” che avevamo in mano fosse assolutamente omogenea, compatta, con un senso compiuto: impossibile dunque venderla o disperderla. Oltretutto il valore simbolico era molto alto: si trattava di un simbolo della lotta alla criminalità organizzata, un maltolto che poteva e doveva essere restituito alla collettività. Occorreva dunque pensare a una destinazione: non banale per un museo di arte contemporanea accogliere un corpus di 69 opere per ragioni di scarsità di spazio espositivo e complementarietà rispetto alla collezione residente. C’era anche il rischio che l’istituzione museale che si fosse eventualmente fatta carico della collezione scegliesse di esporre solo un paio di opere e destinasse le restanti al deposito. Fortunatamente la GAMeC di Bergamo ci ha accolti a braccia aperte. Le opere che sono esposte oggi a Palazzo Litta saranno accolte nelle sale del museo”.
Quali sono i progetti per il futuro?
“Il progetto del Ministero in accordo con le altre istituzioni presenti sul territorio sarebbe quello di costituire un Padiglione dell’Arte Liberata, un polo dedicato al rapporto della criminalità con dell’arte, allestito in un immobile sottratto alla criminalità organizzata che potesse accogliere anche un centro di studi sull’argomento”.
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