La Macchina Imperfetta
Dal 15 Novembre 2013 al 01 Dicembre 2013
Venezia
Luogo: Centro Culturale Candiani
Indirizzo: p.le Candiani 7, Mestre
Orari: venerdì 15.30-19.30; sabato e domenica 10.30-12.30/ 15.30-19.30
Curatori: Gaetano Salerno
Enti promotori:
- Assessorato alle Attività Culturali della Città di Venezia
- Centro Culturale Candiani
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 041 2386111
E-Mail info: candiani@comune.venezia.it
Sito ufficiale: http://www.centroculturalecandiani.it
Si inaugura giovedì 14 novembre 2013, presso gli spazi espositivi del secondo piano del Centro Culturale Candiani di Venezia Mestre, il progetto espositivo La Macchina Imperfetta, a cura di Gaetano Salerno, organizzato e promosso dall’ Assessorato alle Attività Culturali della Città di Venezia e dal Centro Culturale Candiani in collaborazione con Segnoperenne.
La Macchina Imperfetta è un progetto sincretico di pittura, fotografia, digipaint, video, performance, già presentato da Segnoperenne, con buon successo di pubblico e critica, in occasione di ArteFiera OFF - Bologna 2012.
Quattro artisti, quattro differenti linguaggi, quattro riflessioni sul valore e utilizzo della bellezza nelle società contemporanee: Dosaka Maike, Federica Palmarin, Andrea Tagliapietra, Fabrizio Vatta. I quattro artisti, di area veneziana, saranno presenti con lavori recenti ed in buona parte inediti, chiamati a confrontarsi dal curatore della mostra sul tema del corpo umano nella sua condizione di “macchina imperfetta”, dettata dalla presa di coscienza della realtà esistenziale odierna e del nuovo ruolo da questo assunto all’interno delle dinamiche comportamentali, individuali e sociali, attuali.
Lontana dai canoni di perfezione e di registrazione di condizioni esistenziali ottimali e universalmente appaganti, l’arte orienta e sviluppa le proprie ricerche verso una concezione dell’Io straniata e distorta dalla svalutazione della carica individuale e sociale in rapporto ad una realtà osmotica che, altrettanto straniata, distorta e disumana, vanifica il nostro agire all’interno di contesti narrativi ripetitivi, standardizzati in epiloghi prevedibili, corrotti da false culture dell’immagine.
Nel segmento che separa il fatalismo dal nichilismo, l’inesorabile caduta della bellezza, la disgregazione delle sicurezze collettive, l’annichilimento delle coscienze singole e di gruppo, la decostruzione dei sistemi emotivi evidenziano così, all’interno di questo progetto espositivo, le incongruenti eterogeneità di fitte trame biologiche e psicologiche, le difficoltà del nostro intenderci esseri sociali oggi, prigionieri di strutture imperfette, ingranaggi di un sistema vitale massificato e alienante.
Gli artisti de La Macchina Imperfetta abbandonano gradualmente i registri linguistici propri della mitologia per inventare storie di martiri sacrificati sull’altare della visione, facendo proprie nuove grammatiche e nuove costruzioni sintattiche epurate dai virtuosismi linguistici e da false retoriche, conducendo la loro analisi verso una sintesi percettiva anti-teorica e anti-classica che accoglie nella sfera della conoscenza sia l’elemento divino sia l’elemento umano, individuando un livello unico di espressione in cui l’ icona vive di autoreferenzialità e si staglia solitaria e sicura, offrendosi nuda al nostro impietoso sguardo pregiudizievole - né spirituale né terreno e quindi imperfetto - per la stesura di una nuova e più attuale saga epica.
Uno spaccato di letteratura verista: i corpi riponderati, ricostruiti e ricontestualizzati dei reportage fotografici di Federica Palmarin evidenziano il labile confine tra realtà fisica e sfera psichica e la ricerca di una comunione tra forma e sostanza dell’essere biologico, alla conquista di armonie che la natura stessa non è in grado di intuire né di intercettare; i burattini umani di Dosaka Maike, macchinari inermi e compressi da vincoli, limiti e tabù sociali in cui spunti di falsa e anacronistica bellezza si rivelano solo inutili e tragici dettagli oggettivi, esistono liberi solo all’interno di claustrofobiche e preordinate gabbie la cui struttura ricalca i nostri labirinti urbani; l’incrocio di sguardi attoniti e vuoti dei soggetti ritratti da Andrea Tagliapietra, schiavi di un ossessivo guardare privo di comprensione e compassione, evidenziano le prigioni mentali di sensi alterati e l’impreparazione alla dolorosa utopia dell’esistere; le corruzioni della carne e dell’intelletto delle figure in disfacimento di Fabrizio Vatta, abbandonate in mondi privi di forma e di consistenza, esprimono il rimpianto per la perdita di stati felici della ragione, in attesa di un trapasso liberatorio dalle sofferenze inteso come definitivo – forse unico – appagamento cultuale.
Apparente apologia dell’incompletezza e della finitezza del gesto artistico, la mostra vuole invece evidenziare la metamorfosi liberatoria della figura umana da realtà iconica a realtà aniconica, indagando, attraverso le espressioni e i linguaggi propri dei quattro artisti, sia la caduta della bellezza come conseguenza della perdita di innocenza collettiva sia l’attitudine del fare arte come rivendicazione – lontana da leggi certe ed inoppugnabili di equilibrio ed euritmia – di onestà indagativa.
Il ritratto di volti e corpi dunque come paradigma documentativo per ripensare una moderna scienza antropologica: non più attestazione di presenze, rievocazione di status sociali, celebrazione di individui e di ruoli, quanto piuttosto simulacro di corpi destrutturati e ricostruiti dal passaggio – nel segno e oltre il segno – dalla figurazione all’astrazione, da meccanismi perfetti (in quanto prodotti di un’Idea superiore) a macchine imperfette, contenitori di pensieri deboli e colpevoli dell’accettazione e condivisione di verità parziali, solo accennate, occultate dai molti sistemi autoimposti ai quali non siamo più in grado di rinunciare.
Nell’era della bellezza superficiale e dell’immediatezza di opinione che pianifica i propri punti di fuga e allontana aprioristicamente l’imperfezione dagli angoli visivi, La Macchina Imperfetta ci ricorda perciò che tutto è perfettibile e che la rappresentazione artistica, percorrendo la strada segnata da regole visive dettate da personaggi-oggetto minori – ricodificate da tutte le esperienze artistiche svincolate dal canone policleteo, dalle pitture di genere, dalle ritrattistiche sociali, dai realismi e iperrealismi carichi di oneste e umane contraddizioni, dalla street photography e dai reportage che hanno contribuito alla formazione di un’arte più vera a livello del tempo, di un’arte che smette di credersi bella, di un’arte che non può ritrarre gli angeli - è efficace solo se in grado di porre al centro del proprio agire il concetto di esistenza, intercettando i valori comunicativi dei codici neo-linguistici esterni all’immagine stessa.
Ancora condannati dalle culture (della visione) di massa all’ inaccettabilità dell’imperfezione, l’arte è il solo strumento di analisi e di catarsi, lo stimolo ad un continuo ammodernamento linguistico del nostro guardare, il balzo verso lente ma inesorabili conquiste di conoscenze (e di sguardi) superiori, il paradigma di un sapere che deve emanciparsi dalle oligarchie del pensiero per esprimersi libero, ben oltre le effimere sicurezze dell’analisi di superficie, ben oltre gli appagamenti di una bellezza immediata ma effimera.
La Macchina Imperfetta è un progetto sincretico di pittura, fotografia, digipaint, video, performance, già presentato da Segnoperenne, con buon successo di pubblico e critica, in occasione di ArteFiera OFF - Bologna 2012.
Quattro artisti, quattro differenti linguaggi, quattro riflessioni sul valore e utilizzo della bellezza nelle società contemporanee: Dosaka Maike, Federica Palmarin, Andrea Tagliapietra, Fabrizio Vatta. I quattro artisti, di area veneziana, saranno presenti con lavori recenti ed in buona parte inediti, chiamati a confrontarsi dal curatore della mostra sul tema del corpo umano nella sua condizione di “macchina imperfetta”, dettata dalla presa di coscienza della realtà esistenziale odierna e del nuovo ruolo da questo assunto all’interno delle dinamiche comportamentali, individuali e sociali, attuali.
Lontana dai canoni di perfezione e di registrazione di condizioni esistenziali ottimali e universalmente appaganti, l’arte orienta e sviluppa le proprie ricerche verso una concezione dell’Io straniata e distorta dalla svalutazione della carica individuale e sociale in rapporto ad una realtà osmotica che, altrettanto straniata, distorta e disumana, vanifica il nostro agire all’interno di contesti narrativi ripetitivi, standardizzati in epiloghi prevedibili, corrotti da false culture dell’immagine.
Nel segmento che separa il fatalismo dal nichilismo, l’inesorabile caduta della bellezza, la disgregazione delle sicurezze collettive, l’annichilimento delle coscienze singole e di gruppo, la decostruzione dei sistemi emotivi evidenziano così, all’interno di questo progetto espositivo, le incongruenti eterogeneità di fitte trame biologiche e psicologiche, le difficoltà del nostro intenderci esseri sociali oggi, prigionieri di strutture imperfette, ingranaggi di un sistema vitale massificato e alienante.
Gli artisti de La Macchina Imperfetta abbandonano gradualmente i registri linguistici propri della mitologia per inventare storie di martiri sacrificati sull’altare della visione, facendo proprie nuove grammatiche e nuove costruzioni sintattiche epurate dai virtuosismi linguistici e da false retoriche, conducendo la loro analisi verso una sintesi percettiva anti-teorica e anti-classica che accoglie nella sfera della conoscenza sia l’elemento divino sia l’elemento umano, individuando un livello unico di espressione in cui l’ icona vive di autoreferenzialità e si staglia solitaria e sicura, offrendosi nuda al nostro impietoso sguardo pregiudizievole - né spirituale né terreno e quindi imperfetto - per la stesura di una nuova e più attuale saga epica.
Uno spaccato di letteratura verista: i corpi riponderati, ricostruiti e ricontestualizzati dei reportage fotografici di Federica Palmarin evidenziano il labile confine tra realtà fisica e sfera psichica e la ricerca di una comunione tra forma e sostanza dell’essere biologico, alla conquista di armonie che la natura stessa non è in grado di intuire né di intercettare; i burattini umani di Dosaka Maike, macchinari inermi e compressi da vincoli, limiti e tabù sociali in cui spunti di falsa e anacronistica bellezza si rivelano solo inutili e tragici dettagli oggettivi, esistono liberi solo all’interno di claustrofobiche e preordinate gabbie la cui struttura ricalca i nostri labirinti urbani; l’incrocio di sguardi attoniti e vuoti dei soggetti ritratti da Andrea Tagliapietra, schiavi di un ossessivo guardare privo di comprensione e compassione, evidenziano le prigioni mentali di sensi alterati e l’impreparazione alla dolorosa utopia dell’esistere; le corruzioni della carne e dell’intelletto delle figure in disfacimento di Fabrizio Vatta, abbandonate in mondi privi di forma e di consistenza, esprimono il rimpianto per la perdita di stati felici della ragione, in attesa di un trapasso liberatorio dalle sofferenze inteso come definitivo – forse unico – appagamento cultuale.
Apparente apologia dell’incompletezza e della finitezza del gesto artistico, la mostra vuole invece evidenziare la metamorfosi liberatoria della figura umana da realtà iconica a realtà aniconica, indagando, attraverso le espressioni e i linguaggi propri dei quattro artisti, sia la caduta della bellezza come conseguenza della perdita di innocenza collettiva sia l’attitudine del fare arte come rivendicazione – lontana da leggi certe ed inoppugnabili di equilibrio ed euritmia – di onestà indagativa.
Il ritratto di volti e corpi dunque come paradigma documentativo per ripensare una moderna scienza antropologica: non più attestazione di presenze, rievocazione di status sociali, celebrazione di individui e di ruoli, quanto piuttosto simulacro di corpi destrutturati e ricostruiti dal passaggio – nel segno e oltre il segno – dalla figurazione all’astrazione, da meccanismi perfetti (in quanto prodotti di un’Idea superiore) a macchine imperfette, contenitori di pensieri deboli e colpevoli dell’accettazione e condivisione di verità parziali, solo accennate, occultate dai molti sistemi autoimposti ai quali non siamo più in grado di rinunciare.
Nell’era della bellezza superficiale e dell’immediatezza di opinione che pianifica i propri punti di fuga e allontana aprioristicamente l’imperfezione dagli angoli visivi, La Macchina Imperfetta ci ricorda perciò che tutto è perfettibile e che la rappresentazione artistica, percorrendo la strada segnata da regole visive dettate da personaggi-oggetto minori – ricodificate da tutte le esperienze artistiche svincolate dal canone policleteo, dalle pitture di genere, dalle ritrattistiche sociali, dai realismi e iperrealismi carichi di oneste e umane contraddizioni, dalla street photography e dai reportage che hanno contribuito alla formazione di un’arte più vera a livello del tempo, di un’arte che smette di credersi bella, di un’arte che non può ritrarre gli angeli - è efficace solo se in grado di porre al centro del proprio agire il concetto di esistenza, intercettando i valori comunicativi dei codici neo-linguistici esterni all’immagine stessa.
Ancora condannati dalle culture (della visione) di massa all’ inaccettabilità dell’imperfezione, l’arte è il solo strumento di analisi e di catarsi, lo stimolo ad un continuo ammodernamento linguistico del nostro guardare, il balzo verso lente ma inesorabili conquiste di conoscenze (e di sguardi) superiori, il paradigma di un sapere che deve emanciparsi dalle oligarchie del pensiero per esprimersi libero, ben oltre le effimere sicurezze dell’analisi di superficie, ben oltre gli appagamenti di una bellezza immediata ma effimera.
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