Dino Catalano. Antologia Cronica
Dal 12 Giugno 2014 al 05 Settembre 2014
Latina
Luogo: Federlazio Latina
Indirizzo: piazza Mercato 11
Orari: da lunedì a venerdì 9-13 / 15-18
Curatori: Fabio D’Achille
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 077 3661212 / 393 3242424
E-Mail info: eventi@madarte.it
Sito ufficiale: http://www.federlazio-latina.com
Sarà inaugurata il 12 giugno alle 18 la nuova mostra della Rassegna MAD Impresa, a cura di Fabio D’Achille, volta alla creazione di un sodalizio e di una sinergia tra l’Arte Contemporanea e le realtà aziendali, attraverso esposizioni ospitate negli uffici della Federlazio di Latina, divenuti ormai una vera e propria Galleria.
“Protagoniste della mostra sono le coloratissime tele dell’artista di Sabaudia Dino Catalano, affiancate dalle fotografie di Paolo Vescovo che ritraggono Dino al lavoro o le sue opere che interagiscono nell’ambiente in cui hanno preso vita, ossia l’abitazione del pittore, un vero e proprio tripudio di quadri accesi e sgargianti. La ricchezza e la vivacità cromatica costituiscono infatti il fondamento pittorico di Catalano: è tramite il colore che la forma si plasma e prende corpo dalle mani dell’artista, è all’architettura cromatica che Dino si affida per creare chiaroscuro e per donare volume e profondità ai suoi soggetti, prevalentemente paesaggi o nudi femminili. La sua arte è dotata di una corporeità quasi scultorea: le tinte accese, in prevalenza calde –abbondano i gialli, i rossi, le terre in varie declinazioni tonali; e anche una cromia fredda come il blu, utilizzato dall’artista soprattutto nei paesaggi marini, perde quella connotazione di spiritualità eterea che comunemente gli viene assegnata, per acquistare matericità, come se nelle mani di Catalano divenisse un tono caldo- stese con un impulso cinetico fremente e a tratti vorticoso, sembrano fuoriuscire dal quadro per investire lo spettatore con il loro moto impetuoso. Ma la matericità delle opere di Dino non è solo una categoria formale: sta anche ad indicare la manifestazione simultanea dell’idea e della sua realizzazione pittorica, del soggetto e della forma; impossibile stabilire quale dei due venga prima. I paesaggi traggono ispirazione dal vero, che coincide con il vero sentire dell’artista nei confronti o in ricordo della natura in tutti i suoi spettacolari aspetti. I corpi femminili possiedono una passionalità carnale mai sfrontata, anzi, pura e autentica; presentano forme fluide, curve sinuose, sono abbondanti, voluminosi e dolcemente armonici, sono amati da Dino perché, secondo le sue parole “lì c'è tutto tondo, non c'è niente di spigoloso. E a me piace quando una cosa è curva e dolce. Lì non sento le difficoltà, lo stridio della vita”. Può l’arte guarire? Può certamente alleviare le sofferenze, recita infatti il sottotitolo della mostra”. (Laura Cianfarani)
“Nel gioco delle associazioni verbali, una parola che istintivamente assocerei alla pittura di Dino Catalano è “primavera”, forse anche condizionato dallo spettacolo a cui assisto in questo momento dalla finestra che affaccia sui Monti Lepini: l’albero di Giuda in fiore, e così il biancospino, il pruno selvatico… l’odore delicato che sale dalla zagara proprio qui sotto, cui lo stridio dei balestrucci fa da colonna sonora. La primavera rappresenta un concentrato esplosivo di vita, la vita che approfitta del momento propizio per esprimere al massimo la bellezza. È un momento magico, cinetico, preceduto dalla stasi del freddo che gela e seguito da quella del caldo che secca. Dino ama definirsi un pittore per caso, e sicuramente non è unico tra gli artisti ad aver scoperto questa vocazione quando per l’appunto un caso, violento e imprevisto, ha fatto irruzione nella successione più o meno graduale degli eventi quotidiani. È, infatti, a partire da una diagnosi medica che Dino comincia a dipingere, quasi vent'anni fa, da autodidatta. Prima di allora alcuni tentativi giovanili ma nulla di più. Da allora l’artista, che già dai primi lavori rivela uno sconcertante controllo del disegno e un grande intuito nell’uso del colore, ha dimostrato una capacità di crescita rapidissima; di fatto pare che la primavera si compia in lui quotidianamente, come se il ciclo delle stagioni si alternasse nella sua vita più volte al giorno. Costretto a momenti d’inattività che si ripetono a intervalli periodici ravvicinati, lui reagisce vivendo all’ennesima potenza, sulla tela, i momenti propizi. Tutto è attività e movimento nei suoi quadri; dove non sono le linee a creare le fughe, lo sono le scale cromatiche, personalissime e talvolta al limite dell’azzardo. Perderlo di vista per un anno equivale a perdere di vista per cinque anni un pittore che svolge la sua attività a tempo pieno; ed è inutile aspettarsi di ritrovarlo al lavoro sullo stesso tema, perché nel frattempo lo ha portato ad esaurimento ed è passato a tutt’altro. Visitare il suo atelier è un’esperienza che lascia il segno. A parte la simpatia della persona, non solo sulle pareti ma ovunque, talvolta invero similmente accatastate, ci sono talmente tante tele dipinte, una tale folla di meraviglie eseguite ad olio spatolato con precisione istintiva, che uscendo ci vuole del tempo per riprendersi. L’esperienza è di quelle che disorientano: si resta a lungo segnati interiormente dall’abbuffata di immagini e colori; e siccome lo spazio per muoversi è ridotto per via della massa di tele, di cui parecchie fresche e freschissime, è impossibile non rimanere “segnati” anche fuori”. (Claudio Muolo)
“Protagoniste della mostra sono le coloratissime tele dell’artista di Sabaudia Dino Catalano, affiancate dalle fotografie di Paolo Vescovo che ritraggono Dino al lavoro o le sue opere che interagiscono nell’ambiente in cui hanno preso vita, ossia l’abitazione del pittore, un vero e proprio tripudio di quadri accesi e sgargianti. La ricchezza e la vivacità cromatica costituiscono infatti il fondamento pittorico di Catalano: è tramite il colore che la forma si plasma e prende corpo dalle mani dell’artista, è all’architettura cromatica che Dino si affida per creare chiaroscuro e per donare volume e profondità ai suoi soggetti, prevalentemente paesaggi o nudi femminili. La sua arte è dotata di una corporeità quasi scultorea: le tinte accese, in prevalenza calde –abbondano i gialli, i rossi, le terre in varie declinazioni tonali; e anche una cromia fredda come il blu, utilizzato dall’artista soprattutto nei paesaggi marini, perde quella connotazione di spiritualità eterea che comunemente gli viene assegnata, per acquistare matericità, come se nelle mani di Catalano divenisse un tono caldo- stese con un impulso cinetico fremente e a tratti vorticoso, sembrano fuoriuscire dal quadro per investire lo spettatore con il loro moto impetuoso. Ma la matericità delle opere di Dino non è solo una categoria formale: sta anche ad indicare la manifestazione simultanea dell’idea e della sua realizzazione pittorica, del soggetto e della forma; impossibile stabilire quale dei due venga prima. I paesaggi traggono ispirazione dal vero, che coincide con il vero sentire dell’artista nei confronti o in ricordo della natura in tutti i suoi spettacolari aspetti. I corpi femminili possiedono una passionalità carnale mai sfrontata, anzi, pura e autentica; presentano forme fluide, curve sinuose, sono abbondanti, voluminosi e dolcemente armonici, sono amati da Dino perché, secondo le sue parole “lì c'è tutto tondo, non c'è niente di spigoloso. E a me piace quando una cosa è curva e dolce. Lì non sento le difficoltà, lo stridio della vita”. Può l’arte guarire? Può certamente alleviare le sofferenze, recita infatti il sottotitolo della mostra”. (Laura Cianfarani)
“Nel gioco delle associazioni verbali, una parola che istintivamente assocerei alla pittura di Dino Catalano è “primavera”, forse anche condizionato dallo spettacolo a cui assisto in questo momento dalla finestra che affaccia sui Monti Lepini: l’albero di Giuda in fiore, e così il biancospino, il pruno selvatico… l’odore delicato che sale dalla zagara proprio qui sotto, cui lo stridio dei balestrucci fa da colonna sonora. La primavera rappresenta un concentrato esplosivo di vita, la vita che approfitta del momento propizio per esprimere al massimo la bellezza. È un momento magico, cinetico, preceduto dalla stasi del freddo che gela e seguito da quella del caldo che secca. Dino ama definirsi un pittore per caso, e sicuramente non è unico tra gli artisti ad aver scoperto questa vocazione quando per l’appunto un caso, violento e imprevisto, ha fatto irruzione nella successione più o meno graduale degli eventi quotidiani. È, infatti, a partire da una diagnosi medica che Dino comincia a dipingere, quasi vent'anni fa, da autodidatta. Prima di allora alcuni tentativi giovanili ma nulla di più. Da allora l’artista, che già dai primi lavori rivela uno sconcertante controllo del disegno e un grande intuito nell’uso del colore, ha dimostrato una capacità di crescita rapidissima; di fatto pare che la primavera si compia in lui quotidianamente, come se il ciclo delle stagioni si alternasse nella sua vita più volte al giorno. Costretto a momenti d’inattività che si ripetono a intervalli periodici ravvicinati, lui reagisce vivendo all’ennesima potenza, sulla tela, i momenti propizi. Tutto è attività e movimento nei suoi quadri; dove non sono le linee a creare le fughe, lo sono le scale cromatiche, personalissime e talvolta al limite dell’azzardo. Perderlo di vista per un anno equivale a perdere di vista per cinque anni un pittore che svolge la sua attività a tempo pieno; ed è inutile aspettarsi di ritrovarlo al lavoro sullo stesso tema, perché nel frattempo lo ha portato ad esaurimento ed è passato a tutt’altro. Visitare il suo atelier è un’esperienza che lascia il segno. A parte la simpatia della persona, non solo sulle pareti ma ovunque, talvolta invero similmente accatastate, ci sono talmente tante tele dipinte, una tale folla di meraviglie eseguite ad olio spatolato con precisione istintiva, che uscendo ci vuole del tempo per riprendersi. L’esperienza è di quelle che disorientano: si resta a lungo segnati interiormente dall’abbuffata di immagini e colori; e siccome lo spazio per muoversi è ridotto per via della massa di tele, di cui parecchie fresche e freschissime, è impossibile non rimanere “segnati” anche fuori”. (Claudio Muolo)
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