Armin T. Wegner/ Helen Sheehan
Palazzo Zenobio, Venezia, interno
Dal 24 Aprile 2012 al 24 Maggio 2012
Venezia
Luogo: Palazzo Zenobio
Indirizzo: Dorsoduro 2596
Orari: 11-17; lunedì chiuso
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 041 5228770
E-Mail info: eventi@collegioarmeno.com
Sito ufficiale: http://www.collegioarmeno.com
Armin T. Wegner e gli Armeni in Anatolia,1915
La mostra, a Palazzo Zenobio, composta di 22 pannelli con fotografie e testi, è stata inaugurata a Milano al Museo archeologico nel 1995, in occasione dell’80° anniversario del genocidio del popolo armeno ed è diventata “itinerante”. Ha toccato sino ad ora più di 90 città in Italia e all’estero (di questa mostra esiste anche un’edizione in inglese).
Si tratta di circa 80 fotografie scattate dall’ufficiale tedesco Armin T. Wegner, testimone oculare del genocidio degli armeni, perpetrato nel 1915 dal governo dei Giovani turchi, genocidio in cui hanno perso la vita più di un milione e mezzo di persone. Il primo genocidio del XX secolo, genocidio dimenticato e sino ad oggi “negato” dalla Turchia, di cui gli armeni vogliono tener viva la memoria per un doveroso tributo alle vittime.
La mostra, corredata di carte geografiche e schede storiche, documenta anche l’impegno di Armin T Wegner nella difesa dei diritti civili e il suo sforzo di far conoscere al mondo quanto era accaduto nei deserti dell’Anatolia.
Testimonianze di un genocidio dimenticato dove la disperazione del testimone sembra aggiungersi alla disperazione delle vittime, restituendoci immagini cariche di sofferenza e dignità.
Armin T. Wegner, dando voce ai deportati armeni nel deserto di Der es Zor, è diventato la voce di tutti i deportati della terra.
Quello degli armeni è stato il primo genocidio del XX secolo nel significato fatto proprio dalla “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”approvata dall’Assemblea dell’ONU il 9 dicembre del 1948: eliminazione fisica di un popolo e della sua cultura.
Introdurrà la mostra al pubblico Mischa Wegner, figlio di Armin Wegner.
Il 24 aprile è il giorno dell'anniversario del genocidio armeno.
Dalle ore 9.30 della mattina, alle ore 20.00 di sera il Maestro Koko Garabed Sakayan realizzerà una grande pittura dedicata al tema nell'atrio del Palazzo;
la performance d'arte e l'opera finita s'intitoleranno: ...per me ogni giorno è il 24 aprile...
...e ancora l'affascinante mostra: 'Frammenti di luce intorno ad un giardino nero'
Esposizione di 24 quadri (foto) di chiese armene, costruite nei diversi tempi nel primo medioevo.
Chiese che hanno unicità architettonica e di posizione.
Sono foto scelte da 1010 fotografie che Bjorn Jorgonson (architetto danese) ha realizzato in Armenia e ha pubblicato in un libro (per adesso solo in danese).
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Helen Sheehan
Diyarbakir, Dikranagerd, Zeytun, Van : Storie di esistenze sparite
In occasione della mostra Armin T. Wegner a Palazzo Zenobio, si presenta anche la mostra dell'artista irlandese Helen Sheehan.
Tanti sono gli armeni dispersi per il mondo a causa del Genocidio, perpetrato tra il 1915 e il 1916 durante gli ultimi anni dell’Impero Ottomano, che ha cancellato dalle mappe gran parte dell’Armenia storica. Cosa significa vivere in esilio? Il presente lavoro della fotografa irlandese Helen Sheehan tratta delle vicende di alcune famiglie, narrandone l’esilio attraverso immagini e suoni, aspetti tangibili della memoria. Nelle quattro sezioni dell’esposizione, Diyarbakir, Dikranagerd, Zeytun e Van, Sheehan si reca in diversi siti della Turchia orientale, abitati un tempo dagli armeni. Esplorando aspetti sonori delle loro esistenze, lo spettatore partecipa a un viaggio nel passato.
Sheehan concentra la sua attenzione su Diyarbakir da dove provengono molte delle famiglie da lei intervistate. All’interno del quartiere Sur ?çi, ‘Entro le mura’, a cui gli abitanti si riferiscono come al ‘Quartiere degli infedel i’, è situato l’antico rione armeno che oggi è popolato in gran parte dalle famiglie curde e zaza, a loro volta esuli dalle loro terre. A Zeytun, il cui nome è stato cambiato in Süleymanl?, le poche tracce della presenza armena di una volta sono i pioppi e la fontana all’ingresso della città. Sulle sponde del lago Van, dove un tempo fioriva la vita culturale dell’Armenia occidentale, Sheehan ha fotografato il villaggio natio di Arshile Gorky (Vosdanig Manug Atoyan, 1904–1948). La mostra presenta un’immagine dell’artista e di sua madre proiettata su una masseria abbandonata, incrociata dallo sguardo di un anziano del villaggio.
Questi viaggi ci trasportano nei luoghi connessi con l’eredità comune delle famiglie esiliate e con i loro ricordi. Il negazionismo radicato nella Turchia contemporanea ha portato a nche alla distruzione di monumenti storici significativi per la tradizione armena, alimentando una continua fonte di dolore per i discendenti delle vittime del Genocidio, nonché di imbarazzo per il mondo.
Sheehan è cresciuta in Irlanda, dove ha spesso visitato le remote lande occidentali con le loro masserie abbandonate che si elevano come monumenti a coloro che morirono o furono esiliati durante la grande carestia degli anni quaranta dell’Ottocento. Avvertendo quindi un legame personale con la storia dell’Anatolia orientale, la fotografa parte alla ricerca delle tracce dell’esistenza armena in questa terra. L’esposizione è frutto di un lavoro che Sheehan iniziò già alla fine degli anni Ottanta in occasione dei suoi primi incontri con le famiglie di esiliati armeni residenti a Parigi e a Londra. Le loro s torie e gli oggetti sopravvissuti lungo i percorsi dell’esilio pervadono il lavoro di Sheehan con voci e memorie che non possono essere cancellate.
La mostra, a Palazzo Zenobio, composta di 22 pannelli con fotografie e testi, è stata inaugurata a Milano al Museo archeologico nel 1995, in occasione dell’80° anniversario del genocidio del popolo armeno ed è diventata “itinerante”. Ha toccato sino ad ora più di 90 città in Italia e all’estero (di questa mostra esiste anche un’edizione in inglese).
Si tratta di circa 80 fotografie scattate dall’ufficiale tedesco Armin T. Wegner, testimone oculare del genocidio degli armeni, perpetrato nel 1915 dal governo dei Giovani turchi, genocidio in cui hanno perso la vita più di un milione e mezzo di persone. Il primo genocidio del XX secolo, genocidio dimenticato e sino ad oggi “negato” dalla Turchia, di cui gli armeni vogliono tener viva la memoria per un doveroso tributo alle vittime.
La mostra, corredata di carte geografiche e schede storiche, documenta anche l’impegno di Armin T Wegner nella difesa dei diritti civili e il suo sforzo di far conoscere al mondo quanto era accaduto nei deserti dell’Anatolia.
Testimonianze di un genocidio dimenticato dove la disperazione del testimone sembra aggiungersi alla disperazione delle vittime, restituendoci immagini cariche di sofferenza e dignità.
Armin T. Wegner, dando voce ai deportati armeni nel deserto di Der es Zor, è diventato la voce di tutti i deportati della terra.
Quello degli armeni è stato il primo genocidio del XX secolo nel significato fatto proprio dalla “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”approvata dall’Assemblea dell’ONU il 9 dicembre del 1948: eliminazione fisica di un popolo e della sua cultura.
Introdurrà la mostra al pubblico Mischa Wegner, figlio di Armin Wegner.
Il 24 aprile è il giorno dell'anniversario del genocidio armeno.
Dalle ore 9.30 della mattina, alle ore 20.00 di sera il Maestro Koko Garabed Sakayan realizzerà una grande pittura dedicata al tema nell'atrio del Palazzo;
la performance d'arte e l'opera finita s'intitoleranno: ...per me ogni giorno è il 24 aprile...
...e ancora l'affascinante mostra: 'Frammenti di luce intorno ad un giardino nero'
Esposizione di 24 quadri (foto) di chiese armene, costruite nei diversi tempi nel primo medioevo.
Chiese che hanno unicità architettonica e di posizione.
Sono foto scelte da 1010 fotografie che Bjorn Jorgonson (architetto danese) ha realizzato in Armenia e ha pubblicato in un libro (per adesso solo in danese).
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Helen Sheehan
Diyarbakir, Dikranagerd, Zeytun, Van : Storie di esistenze sparite
In occasione della mostra Armin T. Wegner a Palazzo Zenobio, si presenta anche la mostra dell'artista irlandese Helen Sheehan.
Tanti sono gli armeni dispersi per il mondo a causa del Genocidio, perpetrato tra il 1915 e il 1916 durante gli ultimi anni dell’Impero Ottomano, che ha cancellato dalle mappe gran parte dell’Armenia storica. Cosa significa vivere in esilio? Il presente lavoro della fotografa irlandese Helen Sheehan tratta delle vicende di alcune famiglie, narrandone l’esilio attraverso immagini e suoni, aspetti tangibili della memoria. Nelle quattro sezioni dell’esposizione, Diyarbakir, Dikranagerd, Zeytun e Van, Sheehan si reca in diversi siti della Turchia orientale, abitati un tempo dagli armeni. Esplorando aspetti sonori delle loro esistenze, lo spettatore partecipa a un viaggio nel passato.
Sheehan concentra la sua attenzione su Diyarbakir da dove provengono molte delle famiglie da lei intervistate. All’interno del quartiere Sur ?çi, ‘Entro le mura’, a cui gli abitanti si riferiscono come al ‘Quartiere degli infedel i’, è situato l’antico rione armeno che oggi è popolato in gran parte dalle famiglie curde e zaza, a loro volta esuli dalle loro terre. A Zeytun, il cui nome è stato cambiato in Süleymanl?, le poche tracce della presenza armena di una volta sono i pioppi e la fontana all’ingresso della città. Sulle sponde del lago Van, dove un tempo fioriva la vita culturale dell’Armenia occidentale, Sheehan ha fotografato il villaggio natio di Arshile Gorky (Vosdanig Manug Atoyan, 1904–1948). La mostra presenta un’immagine dell’artista e di sua madre proiettata su una masseria abbandonata, incrociata dallo sguardo di un anziano del villaggio.
Questi viaggi ci trasportano nei luoghi connessi con l’eredità comune delle famiglie esiliate e con i loro ricordi. Il negazionismo radicato nella Turchia contemporanea ha portato a nche alla distruzione di monumenti storici significativi per la tradizione armena, alimentando una continua fonte di dolore per i discendenti delle vittime del Genocidio, nonché di imbarazzo per il mondo.
Sheehan è cresciuta in Irlanda, dove ha spesso visitato le remote lande occidentali con le loro masserie abbandonate che si elevano come monumenti a coloro che morirono o furono esiliati durante la grande carestia degli anni quaranta dell’Ottocento. Avvertendo quindi un legame personale con la storia dell’Anatolia orientale, la fotografa parte alla ricerca delle tracce dell’esistenza armena in questa terra. L’esposizione è frutto di un lavoro che Sheehan iniziò già alla fine degli anni Ottanta in occasione dei suoi primi incontri con le famiglie di esiliati armeni residenti a Parigi e a Londra. Le loro s torie e gli oggetti sopravvissuti lungo i percorsi dell’esilio pervadono il lavoro di Sheehan con voci e memorie che non possono essere cancellate.
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