Cesare Capitani è Michelangelo Merisi

La Caravaggio-mania sbarca a teatro

Lo spettacolo "Io, Caravaggio" di Cesare Capitani è in scena a Milano al Teatro Franco Parenti fino al 26 Novembre. E' ispirato al romanzo di Dominique Fernandez "La Course à l’abîme" Edizioni Grasset. In scena Cesare Capitani e Laetitia Favart.
 

Eleonora Zamparutti

24/11/2017

Milano - Cesare Capitani è Michelangelo Merisi da Caravaggio, sul palcoscenico del Teatro Franco Parenti di Milano fino al 26 Novembre. Siamo ormai alla 480 replica della pièce, in scena da più di sette anni.
“Io, Caravaggio” è già stato presentato al Festival di Avignone e al Festival di Asti, ha fatto tournée in Francia, a Malta e in Marocco, riscuotendo un buon successo di pubblico.
 
Ora sbarca a Milano, città di origine dell’attore - che è anche regista -, e che lo vede nuovamente sul palco dopo un’assenza lunga 18 anni, trascorsi per lo più oltre le Alpi.
L’emozione è alle stelle: in sala, in prima fila, c’è la maestra di Cesare Capitani e più giù tanti amici venuti a salutarlo, “nel giorno del mio compleanno” come dirà alla fine, vincendo con grande sforzo un’iniziale ritrosia a rendere pubblica un’informazione privata, irrilevante.
L’opera è tratta dal libro di Dominique Fernandez “La Course à l’abîme”, versione romanzata della vita di Caravaggio. La scenografia non prevede la visione delle opere dell’artista lombardo.

L’evento è uno degli appuntamenti di una stagione improntata alla Caravaggio-mania: presso Palazzo Reale a Milano è in corso la mostraDentro Caravaggio” (fino al 28 Gennaio 2018) con 20 capolavori, tra cui Ragazzo morso da un ramarro e la Buona Ventura. Tra qualche mese, a Febbraio, uscirà al cinema il film Caravaggio –l’Anima e il Sangue”, prodotto da Sky con Magnitudo film e distribuito da Nexo Digital. Grazie all’impiego del formato Cinemascope 2:40, che determina una visione più “allungata” delle immagini, simile ad una tela, e alle riprese in 8K, sarà possibile percepire la singola pennellata e carpire dettagli delle opere altrimenti non visibili ad occhio nudo.
 
Quale Caravaggio vedremo sul palco questa sera, chiedo a Cesare Capitani nel pomeriggio parlandogli al telefono…
“Ripercorro la vita di Caravaggio a cominciare dalla fine. Uno spettro, quasi un fantasma, all’inizio della pièce afferma: “Il mio corpo non l’hanno mai ritrovato. Sono nato a Caravaggio, avevo una vocazione per la pittura”. Tra la vita dell’artista e le sue opere c’è un forte parallelo. Dai suoi quadri emerge molta violenza e una grande carica di sensualità. Ho cercato di mettere in scena la potenza, la ribellione e tutta la provocazione di Caravaggio. Era un artista protetto dai cardinali, che faceva una vita dissoluta, che si aggirava per le strade ubriaco. E questa turbolenza della sua vita si riversa nelle sue opere che ritraggono in molti casi personaggi della strada, prostitute, modelle usate per le celebri Madonne”.
 
Scende il buio nella sala da una cinquantina di posti a sedere presso il Teatro Franco Parenti. Il palco è disadorno: solo due cubi di legno che verranno impiegati durante lo spettacolo.
Caravaggio-Capitani è sul palcoscenico. Siamo agli inizi della sua biografia, quando va a bottega da Simone Peterzano per apprendere l’arte della pittura.
“Quando arriva a Roma il suo stile lombardo sicuramente sconvolge il manierismo che imperava nella capitale” mi diceva Capitani al telefono.
Parte quello che sarà il lungo monologo di Caravaggio-Capitani, interrotto solo a tratti da brevi battute o da una melodia cantata.
 
Accompagnato da Laetitia Favart, Caravaggio-Capitani mette in scena alcune celebri espressioni dei volti e i particolari delle mani di opere originali, evocando le composizioni di tele che nello spettacolo non si vedono. Ora sale la tensione di “Caravaggio, c’est moi”. Decido di fare una foto con il telefonino per fare un lancio sui nostri social, i nostri 100.000 utenti apprezzano molto che li informiamo in diretta. Il primo scatto viene malissimo, mosso. Il secondo pure. Meglio il terzo. Caravaggio mi lancia uno sguardo di fuoco. Mi collego sul sito web del Teatro per sapere fino a quando lo spettacolo sarà in scena per non dare un’informazione sbagliata ai miei lettori. Tempo trascorso 5 minuti: ok, lanciato. Ho fatto il mio dovere.

Alzo lo sguardo e il monologo va avanti, ma a un certo punto la voce è senza corpo. Capitani è uscito da Caravaggio! Mano al volto: “No, così non ci riesco. Questi apparecchi mi disturbano. Non posso recitare così, spegneteli” afferma Capitani puntando il dito nella mia direzione. Merita un applauso, e lo riceve ampio e avvolgente. E’ questo il punto in cui avviene lo svelamento: se credevi che quello in scena fosse Caravaggio, ti sbagliavi. Era invece “Je suis Capitani”. 
 “Dammi l’ultima frase” chiede al tecnico in sala. “Ripartiamo da dove eravamo rimasti… riprendiamo da lì”. Primo tentativo di rientrare nei panni di Caravaggio, ma non ci siamo. L’incantesimo della 480 replica sembra infranto. Secondo tentativo. Et voilà! Ingrana, per fortuna. Bravo, bravo, bravo!
 
“A Parigi è piaciuto molto il personaggio Caravaggio, scomodo, provocatorio, con una forte tendenza all’autodistruzione” affermava Capitani al telefono. “Un uomo che sfidava a duello i rivali e che si aggirava per le vie di Roma con un pugnale, dalla sessualità particolare, che aveva subito torture, arresti, e morto a 39 anni su spiaggia non lontano dalla Capitale. Per questo episodio, ricorda in un certo senso Pasolini. Se si fosse sposato e avesse avuto una vita normale, forse non sarebbe stato un artista così eccezionale”.
 
Un uomo venuto dalla polvere e alla polvere tornato, come tutti gli esseri. E’ il Novecento che ci ha abituati a considerare l’artista come un individuo unico, al centro della scena. Ma non è sempre stato così. In questa chiave di lettura, la biografia di Caravaggio diventa quella di un personaggio eroico, dannato e geniale, e si ammanta di un velo mitologico.
 
Ma l’eterno ha smesso di abitare questo mondo da un pezzo. Emerge ogni tanto, raramente. Ci sono uomini, artisti, capaci di consegnare all’eternità il loro gesto e con esso far rivivere l’archetipo in cui tutti, più o meno, ci ritroviamo. In questo senso è l’eternità nelle opere di Caravaggio che giunge a noi: gli episodi della sua vita sono alquanto trascurabili, più o meno come quelli che viviamo tutti noi ogni giorno.

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