New York anni '80
Courtesy of ©The Estate of Jean-Michel Basquiat, ©SIAE, 2002 Courtesy of ©Galerie Enrico Navarra |
Opere di Jean Michel Basquiat
23/01/2002
Parlando di Jean Michel Basquiat è facile cadere in uno dei tanti luoghi comuni che lo videro protagonista. Uno di questi lo vuole caratterizzare solamente come graffitista, andando a svilire il suo ruolo all’interno di quel variegato e multiforme universo artistico che era rappresentato nella New York degli anni ’80, dove la sua figura entrò di prepotenza al fianco di quelle piuttosto ingombranti dei colossi della pop art che in quegli anni dominavano il mercato.
È vero che Basquiat ebbe un rapporto prediletto con Andy Warhol, che ha sempre considerato il suo maestro e del quale voleva proporsi come successore, ma quando si dice che gran parte del suo successo è dovuta alla protezione di Warhol (il quale lo definirà il più grande disegnatore della seconda metà del secolo) si fa un torto al suo talento. Quando i due cominciarono a frequentarsi Jean Michel aveva già ottenuto grandi consensi sia con la sua personale a Modena che con l’esposizione a N.Y. da Annina Nosei.
Erano anni particolari, in cui gli esponenti di spicco del mondo artistico potevano ottenere fortune immense grazie al grande risalto che veniva loro tributato dai media, che avevano trasformato Haring, Warhol, Scharf in personaggi da copertina, al centro dei gossip e della vita mondana di un paese che per la prima volta nella storia si sentiva il cuore pulsante delle nuove tendenze artistiche, non più costretto a subire il peso culturale dell’Europa ma finalmente capace di espressioni autonome: gli artisti della pop art rappresentano i simboli della cultura americana del dopoguerra.
Basquiat accettò volentieri le regole del gioco, sfruttando anche il colore della sua pelle, che divenne un aiuto per lui in anni dove il politically correct imponeva all’America segnali forti di apertura alla cultura delle minoranze interne, della quale erano stati precursori pochi anni prima musicisti jazz e rock, ma mai nessun artista.
A tutt’oggi Basquiat è l’artista di colore che ha raggiunto i successi maggiori sia di critica che di pubblico.
Presto prese a frequentare i locali di Soho e dell’East Village dove si riunivano i campioni della nuova generazione, come lo Studio 54 o il Mudd Club, e aiutò Warhol ad uscire da un periodo di crisi creativa che lo attanagliava. Il suo mondo è infatti figlio della televisione, della pubblicità e di tutto quello che scandiva i ritmi di vita dell’America degli anni ’60 e ’70, e per questo non dovette faticare per farsi apprezzare dai mercanti d’arte, avidi di opere da gettare in pasto ad un mercato nel quale giravano cifre astronomiche che arrivavano direttamente dal boom della borsa di inizio anni ’80 e stanchi di creazioni difficili e di minor presa sul pubblico dei compratori come erano quelle dell’arte concettuale del dopoguerra.
Non meno successo ebbe tra il pubblico, specialmente tra quello femminile, tanto che alcuni artisti si sono spinti a definirlo il James Dean dell’arte, bello e dannato, pronto a scherzare con la morte pur di vivere sempre al di sopra delle righe, ma anche capace di farsi interprete della società multirazziale che popolava la Grande Mela con i suoi riferimenti alla cultura e alla storia tanto dell’occidente che del mondo afro-caraibico da dove proveniva.
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