Al cinema dal 2 ottobre il film di Sky e Progetto Immagine
Io, Leonardo – La nostra recensione
Luca Argentero nel film "Io, Leonardo". Courtesy Lucky Red
Francesca Grego
19/09/2019
Roma - Non un biopic, ma un viaggio cangiante e dinamico attraverso la mente di un genio universale: si presenta così, senza nascondere una virgola delle proprie ambizioni, il settimo film d’arte targato Sky. Diretto da Jesus Garces Lambert (Caravaggio – L’Anima e il Sangue), scritto da Sara Mosetti (Michelangelo Infinito) e Marcello Olivieri su soggetto di Cosetta Lagani (che firma anche la direzione artistica), Io, Leonardo segna una nuova tappa nella sperimentazione di nuove strade per raccontare i grandi protagonisti dell’arte italiana.
Non a caso sarà il primo ad affrontare le sfide di un percorso di distribuzione classico: lo vedremo al cinema con Lucky Red dal 2 ottobre e ci resterà finché lo vorrà il pubblico, diversamente dai titoli precedenti, in sala solo per pochi giorni secondo la formula del film evento.
Dalla sua, Io, Leonardo ha certamente l’occasione – il cinquecentenario della morte dell’artista celebrato in Italia e nel mondo da un gran numero di mostre – ma anche un cast che promette di attrarre il pubblico con la presenza scenica di Luca Argentero nel ruolo del protagonista e la calda voce fuori campo di Francesco Pannofino a dar corpo alla coscienza di Leonardo. Senza dimenticare Massimo De Lorenzo, credibilissimo nei panni di Ludovico il Moro, e Angela Fontana, che il costumista Maurizio Millenotti (candidato all’Oscar per Otello e Amleto di Zeffirelli, David di Donatello e Nastro d’Argento per La leggenda del pianista sull’Oceano di Tornatore), ha reso identica alla Dama con l’Ermellino alias Cecilia Gallerani, la giovane favorita del duca di Milano . E poi Andrea del Verrocchio nella sua leggendaria bottega, Pietro Perugino, nonché la cerchia di allievi e discepoli di cui Leonardo - tutt’altro che un genio solitario - si circondò, ciascuno un’anima diversa, fatta di pregi e difetti, qualcuno con lineamenti che ci appaiono familiari perché fissati dall’artista in opere ben note (come il San Giovanni Battista, che ha il volto del discolo Salaì).
“Strano fare un casting usando i dipinti come modelli” ha scherzato ieri il regista durante la presentazione del film alla Casa del Cinema di Roma: “Siamo impazziti alla ricerca di attori somiglianti ai personaggi di quadri di 500 anni fa. Ma i risultati ci hanno ampiamente ricompensati”.
“Ho accettato il ruolo così impegnativo per pura incoscienza”, ha dichiarato ironicamente Argentero, “senza immaginare il lavoro che mi aspettava, a partire dalle trasformazioni legate agli abiti e all’acconciatura. Pensavo di recitare in un film biografico tradizionale, invece sono stato travolto dal metodo di Jesus, che mi ha fatto fare settimane di letture e improvvisazioni sul personaggio con ognuno degli altri attori”. Una volontà di approfondimento che ha colpito anche Pannofino. “Qui conosciamo Leonardo come non lo avevamo mai visto”, ha detto l’attore, “si va oltre la rappresentazione scolastico-nozionistica a cui eravamo abituati, scavando nell’anima di un uomo per capire come nasca la sua arte”.
Nel film memorie e desideri, capolavori e intuizioni profetiche si rincorrono lungo un singolare flusso di coscienza: quello della mente di Leonardo, che come una preziosa Wunderkammern si svela agli spettatori mescolando genio e umanità. Attorno a questo spazio metaforico, che prende forma in uno studio d’artista in perpetua trasformazione, si distende la vastità della natura “maestra dei maestri”: le verdi colline toscane, i boschi della Valle dell’Arno, i misteri racchiusi nella vita vegetale, nel moto delle nuvole o in una goccia d’acqua.
“Per capire basta veder bene”, scriveva Leonardo e in omaggio al suo pensiero il film è una festa per gli occhi. Dalla ricercata fotografia di un maestro come Daniele Ciprì alle documentatissime scenografie di Francesco Frigeri (Non ci resta che piangere, La leggenda del pianista sull’Oceano, The Passion), appare subito evidente che nulla è stato lasciato al caso. Ma c’è un aspetto su cui i produttori di Sky e Progetto Immagine hanno puntato in maniera particolare, ed è quello tecnologico. Visual effects e ricostruzioni 3D riportano in vita le invenzioni e le opere d’arte di Leonardo, anche quelle mai completate che conosciamo attraverso i suoi disegni: la Sala delle Asse del Castello Sforzesco, la Battaglia d’Anghiari di Palazzo Vecchio, le macchine da guerra e il gigantesco monumento equestre per Francesco Sforza. Sullo schermo vediamo animarsi fiori e spighe, cervelli umani e vasi sanguigni, e infine il capolavoro dell’Ultima Cena, prima orchestrata dal maestro con figuranti scelti come in una scena teatrale, poi ricostruita con effetti digitali all’avanguardia per una fruizione ravvicinata, quasi immersiva. Rispetto al film su Caravaggio, l’uso delle tecnologie dell’immagine appare più maturo e consapevole: non c’è niente di gratuito, ogni passo è motivato e coerente rispetto alle esigenze del racconto.
Un racconto di “finzione documentato nei minimi dettagli”, ha spiegato Garces Lambert, le cui sperimentazioni visive dialogano con le parole tratte dagli scritti di Leonardo, in particolare dal Trattato della Pittura. Se la lista dei testi bibliografici consultati dagli autori è decisamente nutrita, a mettere il sigillo sulla veridicità scientifica del racconto è la consulenza del professor Pietro Marani, docente del Politecnico di Milano e presidente dell’Ente Raccolta Vinciana del Castello Sforzesco, con numerose pubblicazioni su Leonardo all’attivo.
Ma storia, scienza, arte abbandonano con leggerezza la pagina scritta per trasportarci in un mondo altro: tra gli azzardi di una mente audace – dallo studio dei cadaveri alle novità della prospettiva aerea o allo studio dei moti dell’anima – e i retroscena più umani dell’esistenza del genio (l’infanzia e il difficile legame con il padre, il distacco dalla madre, lo scandalo della sodomia, il carattere delicato, paziente e premuroso che vien fuori nel rapporto con gli allievi bambini).
Se i misteri nascosti nella Monna Lisa e la potenza simbolica dell’Uomo Vitruviano appartengono a un Leonardo che ben conosciamo, il film ci mostra anche un lato spesso lasciato in ombra, e cioè un non trascurabile numero di fallimenti, alcuni dei quali clamorosi: progetti grandiosi ma mai portati a termine perché troppo complessi e innovativi, per calcoli inesatti ed errori tecnici (come nella Battaglia d’Anghiari, i cui il colori colarono miseramente gli uni sugli altri), o per eccessiva lentezza nell’elaborazione (la Sala delle Asse e il monumento a Francesco Sforza, la cui lunga gestazione fu interrotta dall’invasione francese). Se già ser Piero da Vinci rimproverava al figlio inconcludenza e velleitarismo, non fu certo più tenero Ludovico Sforza che lo aveva sul libro paga. Insomma, la strada del genio per antonomasia non fu sempre incorniciata di allori.
Con la colonna sonora di Matteo Curallo la seguiamo fino in Francia, dove Leonardo trascorse i suoi ultimi anni, forse i più sereni. Dopo i giochi musicali ispirati ai numeri di Fibonacci, i suoni eleganti degli archi e quelli eterei delle voci bianche, a irrompere sulla scena sono le note intense e solenni di Bach in un vortice di foglie e fogli, danza della natura in tempesta con i frutti dell’umano ingegno. Se anche il film non vi fosse piaciuto, tenete duro: il finale vale quasi il biglietto.
Non a caso sarà il primo ad affrontare le sfide di un percorso di distribuzione classico: lo vedremo al cinema con Lucky Red dal 2 ottobre e ci resterà finché lo vorrà il pubblico, diversamente dai titoli precedenti, in sala solo per pochi giorni secondo la formula del film evento.
Dalla sua, Io, Leonardo ha certamente l’occasione – il cinquecentenario della morte dell’artista celebrato in Italia e nel mondo da un gran numero di mostre – ma anche un cast che promette di attrarre il pubblico con la presenza scenica di Luca Argentero nel ruolo del protagonista e la calda voce fuori campo di Francesco Pannofino a dar corpo alla coscienza di Leonardo. Senza dimenticare Massimo De Lorenzo, credibilissimo nei panni di Ludovico il Moro, e Angela Fontana, che il costumista Maurizio Millenotti (candidato all’Oscar per Otello e Amleto di Zeffirelli, David di Donatello e Nastro d’Argento per La leggenda del pianista sull’Oceano di Tornatore), ha reso identica alla Dama con l’Ermellino alias Cecilia Gallerani, la giovane favorita del duca di Milano . E poi Andrea del Verrocchio nella sua leggendaria bottega, Pietro Perugino, nonché la cerchia di allievi e discepoli di cui Leonardo - tutt’altro che un genio solitario - si circondò, ciascuno un’anima diversa, fatta di pregi e difetti, qualcuno con lineamenti che ci appaiono familiari perché fissati dall’artista in opere ben note (come il San Giovanni Battista, che ha il volto del discolo Salaì).
“Strano fare un casting usando i dipinti come modelli” ha scherzato ieri il regista durante la presentazione del film alla Casa del Cinema di Roma: “Siamo impazziti alla ricerca di attori somiglianti ai personaggi di quadri di 500 anni fa. Ma i risultati ci hanno ampiamente ricompensati”.
“Ho accettato il ruolo così impegnativo per pura incoscienza”, ha dichiarato ironicamente Argentero, “senza immaginare il lavoro che mi aspettava, a partire dalle trasformazioni legate agli abiti e all’acconciatura. Pensavo di recitare in un film biografico tradizionale, invece sono stato travolto dal metodo di Jesus, che mi ha fatto fare settimane di letture e improvvisazioni sul personaggio con ognuno degli altri attori”. Una volontà di approfondimento che ha colpito anche Pannofino. “Qui conosciamo Leonardo come non lo avevamo mai visto”, ha detto l’attore, “si va oltre la rappresentazione scolastico-nozionistica a cui eravamo abituati, scavando nell’anima di un uomo per capire come nasca la sua arte”.
Nel film memorie e desideri, capolavori e intuizioni profetiche si rincorrono lungo un singolare flusso di coscienza: quello della mente di Leonardo, che come una preziosa Wunderkammern si svela agli spettatori mescolando genio e umanità. Attorno a questo spazio metaforico, che prende forma in uno studio d’artista in perpetua trasformazione, si distende la vastità della natura “maestra dei maestri”: le verdi colline toscane, i boschi della Valle dell’Arno, i misteri racchiusi nella vita vegetale, nel moto delle nuvole o in una goccia d’acqua.
“Per capire basta veder bene”, scriveva Leonardo e in omaggio al suo pensiero il film è una festa per gli occhi. Dalla ricercata fotografia di un maestro come Daniele Ciprì alle documentatissime scenografie di Francesco Frigeri (Non ci resta che piangere, La leggenda del pianista sull’Oceano, The Passion), appare subito evidente che nulla è stato lasciato al caso. Ma c’è un aspetto su cui i produttori di Sky e Progetto Immagine hanno puntato in maniera particolare, ed è quello tecnologico. Visual effects e ricostruzioni 3D riportano in vita le invenzioni e le opere d’arte di Leonardo, anche quelle mai completate che conosciamo attraverso i suoi disegni: la Sala delle Asse del Castello Sforzesco, la Battaglia d’Anghiari di Palazzo Vecchio, le macchine da guerra e il gigantesco monumento equestre per Francesco Sforza. Sullo schermo vediamo animarsi fiori e spighe, cervelli umani e vasi sanguigni, e infine il capolavoro dell’Ultima Cena, prima orchestrata dal maestro con figuranti scelti come in una scena teatrale, poi ricostruita con effetti digitali all’avanguardia per una fruizione ravvicinata, quasi immersiva. Rispetto al film su Caravaggio, l’uso delle tecnologie dell’immagine appare più maturo e consapevole: non c’è niente di gratuito, ogni passo è motivato e coerente rispetto alle esigenze del racconto.
Un racconto di “finzione documentato nei minimi dettagli”, ha spiegato Garces Lambert, le cui sperimentazioni visive dialogano con le parole tratte dagli scritti di Leonardo, in particolare dal Trattato della Pittura. Se la lista dei testi bibliografici consultati dagli autori è decisamente nutrita, a mettere il sigillo sulla veridicità scientifica del racconto è la consulenza del professor Pietro Marani, docente del Politecnico di Milano e presidente dell’Ente Raccolta Vinciana del Castello Sforzesco, con numerose pubblicazioni su Leonardo all’attivo.
Ma storia, scienza, arte abbandonano con leggerezza la pagina scritta per trasportarci in un mondo altro: tra gli azzardi di una mente audace – dallo studio dei cadaveri alle novità della prospettiva aerea o allo studio dei moti dell’anima – e i retroscena più umani dell’esistenza del genio (l’infanzia e il difficile legame con il padre, il distacco dalla madre, lo scandalo della sodomia, il carattere delicato, paziente e premuroso che vien fuori nel rapporto con gli allievi bambini).
Se i misteri nascosti nella Monna Lisa e la potenza simbolica dell’Uomo Vitruviano appartengono a un Leonardo che ben conosciamo, il film ci mostra anche un lato spesso lasciato in ombra, e cioè un non trascurabile numero di fallimenti, alcuni dei quali clamorosi: progetti grandiosi ma mai portati a termine perché troppo complessi e innovativi, per calcoli inesatti ed errori tecnici (come nella Battaglia d’Anghiari, i cui il colori colarono miseramente gli uni sugli altri), o per eccessiva lentezza nell’elaborazione (la Sala delle Asse e il monumento a Francesco Sforza, la cui lunga gestazione fu interrotta dall’invasione francese). Se già ser Piero da Vinci rimproverava al figlio inconcludenza e velleitarismo, non fu certo più tenero Ludovico Sforza che lo aveva sul libro paga. Insomma, la strada del genio per antonomasia non fu sempre incorniciata di allori.
Con la colonna sonora di Matteo Curallo la seguiamo fino in Francia, dove Leonardo trascorse i suoi ultimi anni, forse i più sereni. Dopo i giochi musicali ispirati ai numeri di Fibonacci, i suoni eleganti degli archi e quelli eterei delle voci bianche, a irrompere sulla scena sono le note intense e solenni di Bach in un vortice di foglie e fogli, danza della natura in tempesta con i frutti dell’umano ingegno. Se anche il film non vi fosse piaciuto, tenete duro: il finale vale quasi il biglietto.
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