Fino al 16 marzo a Rovereto

Al Mart il mito etrusco rivive nell'arte del Novecento

Allestimento della mostra Etruschi del Novecento | Foto: © Mart
 

Samantha De Martin

10/01/2025

A partire dal ritrovamento, nel 1916, dell’Apollo di Veio, la cosiddetta “rinascenza etrusca” che prese piede in seguito a questa scoperta sarebbe stata destinata a esplodere in un’autentica “etruscomania” alimentata da grandi mostre internazionali oltre che dal fiorire di studi, convegni, dibattiti.
Agli Etruschi si ispirano intellettuali, artisti, designer, stilisti, orafi come racconta la mostra che sarà ospitata al Mart di Rovereto fino al 16 marzo per poi spostarsi alla Fondazione Luigi Rovati di Milano dal 2 aprile al 3 agosto.
“Etruschi del Novecento", questo il titolo del progetto, racconta la fortuna che la cultura etrusca ebbe su moderni e contemporanei. Attraverso oltre 200 opere esposte i curatori Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Alessandra Tiddia, Giulio Paolucci restituiscono un dialogo tra grandi capolavori dell’arte moderna e reperti archeologici ai quali si aggiungono documenti, libri, fotografie, riviste. I confronti che caratterizzano il percorso espositivo sono basati su documenti e dichiarazioni degli artisti stessi che, coinvolti in “tour etruschi”, furono letteralmente stregati da musei e zone archeologiche e iniziarono a studiare e a dedicarsi alle “etruscherie”. Etruschi del Novecento racconta di come la civiltà etrusca abbia influenzato la cultura visiva del secolo breve, dai ritrovamenti archeologici e dai tour etruschi, organizzati a cavallo tra il XIX e il XX secolo, fino alla Chimera di Mario Schifano, eseguita durante una performance a Firenze nel 1985, in occasione dell’inaugurazione del cosiddetto anno degli etruschi. Il sorriso arcaico, la vita e la morte, il culto di questo popolo misterioso ammaliarono i moderni, affascinati da quello stile così denso, sintetico, sincero, “primitivo”.


Allestimento della mostra Etruschi del Novecento | Foto: © Mart

Anche Gabriele d’Annunzio contribuì all’esplodere del “mito etrusco”. Negli anni dei suoi viaggi a Volterra il Vate lavorò all’opera drammaturgica La città morta che andò in scena a Parigi (1898) e a Milano (1901) con l’interpretazione di Eleonora Duse. Il poeta mise in scena una tragedia ambientata in un tempo sospeso, nel mondo delle ombre, nel quale i protagonisti si muovono tra un repertorio indistinto di copie di opere archeologiche.

“Tutto il Novecento - commenta Vittorio Sgarbi, presidente del Mart - è percorso da una “febbre etrusca” che va da Martini a Serafini e che indica un percorso non classico, ma espressionistico, deformante dell’arte del Novecento, una vera e propria estetica della deformazione senza tempo”.