Francesco Parisi racconta la mostra in programma dal 9 settembre al 10 dicembre
Boccioni prima del Futurismo. Un percorso inedito da scoprire alla Fondazione Magnani-Rocca
Umberto Boccioni, Il romanzo di una cucitrice, 1908, Olio su tela, Collezione Barilla di Arte Moderna
Samantha De Martin
09/09/2023
Parma - Duecento opere, molte delle quali in prestito da collezioni private inaccessibili, permettono di gettare uno sguardo, negli spazi della Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo (Parma) su un Boccioni mai visto.
Dal 9 settembre al 10 dicembre la mostra Boccioni. Prima del Futurismo – a cura di Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi, Stefano Roffi – indaga la figura del giovane Boccioni e gli anni della formazione affrontando i diversi momenti della sua attività, dalla primissima esperienza a Roma, a partire dal 1899, fino agli avvenimenti che precedono l’elaborazione del Manifesto dei pittori futuristi nella primavera del 1910.
Ciò che rende interessante l’esposizione è l’inedita chiave di lettura che ricostruisce gli ambienti artistico-culturali nel quale Boccioni ha operato, mettendo in luce gli stimoli assorbiti e rielaborati in un linguaggio personalissimo che si manifesterà con una straordinaria sintesi.
Per ARTE.it l'occasione di questa mostra è particolarmente importante visto che il documentario FORMIDABILE BOCCIONI - un film di Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà prodotto da ARTE.it in collaborazione con RAI Cultura - è entrato a far parte della esposizione e viene proiettato in una videoroom dedicata all'ingresso della Villa delle Meraviglie, e introduce il percorso espositivo che approfondisce gli anni di formazione del giovane Umberto Boccioni
Umberto Boccioni, La signora Virginia, 1905, Olio su tela, Milano, Museo del Novecento
La mostra alla Fondazione Magnani Rocca che ha aperto il 9 settembre è suddivisa in tre sezioni geografiche - curate rispettivamente da Francesco Parisi, Virginia Baradel e Niccolò D’Agati - legate alle città che hanno rappresentato altrettanti punti di riferimento formativi per l’artista: Roma, Venezia e Milano. Una speciale attenzione è dedicata ai lavori a tempera per finalità commerciali e alle illustrazioni, che sottolineano l’importanza di questa produzione nell’ambito di una sperimentazione che, dalle primissime prove romane, conduce agli esiti più compiuti e artisticamente complessi degli anni milanesi.
Lo studio dei diari e della corrispondenza di Boccioni entro il 1910, ma anche recenti e approfondite indagini, hanno rappresentato elementi utili alla conoscenza di questa fase della sua attività.
Il percorso vuole seguire la formazione boccioniana al di fuori di una logica deterministica legata all’approdo al futurismo, cogliendo la nascita di un linguaggio e di una posizione estetica in rapporto alle ricerche contemporanee che caratterizzavano i contesti coi quali l’artista entrò in contatto.
Abbiamo chiesto a Francesco Parisi, uno dei curatori, di raccontarci il percorso.
Qual è l’ambiente artistico che Boccioni incontra a Roma?
“Quando Boccioni arriva a Roma, appena diciassettenne, entra in contatto con quell’ambiente intellettuale romano che ruotava attorno al periodico artistico-letterario “Fanfullla” dove gravitavano i poeti crepuscolari della cerchia di Sergio Corazzini. Questi cenacoli in quegli anni erano frequentati soprattutto da giovani affascinati dalle teorie anarco-idealiste, un’evoluzione delle correnti socialiste di fine Ottocento che nella capitale si miscelavano a spunti derivati dal simbolismo internazionale. Boccioni si inserisce in questo ambiente così ricco di idee nuove”.
Umberto Boccioni, Ritratto della Signora Maffi, 1910, acquerello e matita su carta, Verona, Galleria dello Scudo
Come si avvicina alla pittura?
"È probabile che la spinta a cimentarsi con la pittura sia venuta dal legame con il pittore Roberto Basilici, un simbolista molto legato all’incisore tedesco Otto Greiner, e con Gino Severini. In quegli anni così cruciali i giovani cercavano strade alternative e nuovi maestri lontani da quelle “pastose” pitture ottocentesche. Quando decide di cimentarsi con la pittura Boccioni è un giovane inesperto mentre i suoi amici erano già avviati su quella strada: Severini racconterà che l’artista aveva difficoltà a centrare l’immagine all’interno del foglio. Certamente la Scuola Libera del nudo, una scuola parallela all’interno dell’Istituto di Belle Arti, dove i giovani potevano disegnare i modelli dal vivo, liberi dagli insegnamenti troppo accademici del professore, gli diede ulteriori strumenti e un approccio più tecnico".
Con quali opere questa esperienza è raccontata in mostra?
“Abbiamo alcuni dei rarissimi disegni eseguiti da Boccioni proprio alla Scuola libera del nudo, in prestito dalla Galleria Bottegantica di Milano, una testimonianza unica dei suoi esordi".
Boccioni, insieme a Severini, entra nello studio di Giacomo Balla. Qui cosa accade?
“Balla era arrivato a Roma da Torino, era stato a Parigi e aveva iniziato a usare una tecnica divisionista (colore applicato puro e non miscelato su tavolozza). Il suo era un tocco modernista molto diverso dalle esperienze del divisionismo lombardo d’impronta segantiniana. Nello studio di Balla, Boccioni e Severini iniziano a utilizzare il pastello in bianco e nero steso anch’esso a filamenti analoghi al ductus divisionista, ma senza alcun colore puro. Questa tecnica diventerà una caratteristica di tutta la compagine romana come testimoniano i disegni di Giovanni Prini, di Ferenzona e lo straordinario autoritratto a pastello di Mario Sironi”.
Il periodo romano non ha segnato solo il progressivo avvicinamento dell’artista alla pittura, ma anche a quello dell’illustrazione commerciale – la réclame – che rappresentava come prodotto artistico una perfetta e “straordinaria espressione moderna”...
“A Roma, come in altri grandi centri italiani ed europei, l’illustrazione era un modo per molti artisti di sostentarsi. Boccioni riesce a trovare commissioni come illustratore, dapprima presso l’editore Racah che gli commissiona cartoline dedicate alle danze ciociare che venivano vendute in quelle che oggi chiameremmo edicole. Boccioni continuerà questa attività di illustratore fino al 1910, anche se il suo maggiore impegno sarà sempre rivolto alla pittura. D’altra parte le occasioni per vendere i quadri a Roma in particolare, erano rarissime ed appannaggio delle annuali esposizioni organizzate dalla Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti”.
Giovanni Sottocornola, Mariuccia, 1903, pastello su carta
A un certo punto Boccioni si stancherà dell’ambiente romano...
"Retrospettiovamente scriverà “Venivo fresco fresco da tutta quella sequela di tradimenti che fu l'ultimo tempo di Roma. In quel naufragio non vedo ora galleggiare che Cambellotti e ... forse forse ... Balla”.
Si sposta a Parigi. Qui cosa accade?
“Come molti suoi colleghi Boccioni prova ad andare a Parigi nella primavera del 1906, ma sarà una sorta di fallimento. Lo raggiunge Sironi e con lui condivideva le difficoltà economiche, tanto che da scrivere all’amico Prini per un aiuto. Trascorrerà poi un breve periodo tra Venezia e Padova, cui è dedicata una sezione della mostra, prima di iniziare l’avventura milanese".
A Venezia cosa fa?
"In mostra troviamo alcune delle più importanti opere eseguite a Padova prima e dopo il soggiorno parigino del 1906. Boccioni deplora verismo e sentimentalismo mentre aspira a un’arte che rechi “un’impronta nobilissima di aspirazione a una bellezza ideale” come scrisse commentando la Sala dell’arte del Sogno. La mostra si sofferma anche all’avvicinamento dell’artista al mondo dell’incisione, sotto la guida di Alessandro Zezzos. Per la prima volta vengono presentate le lastre metalliche incise da Boccioni, recentemente ritrovate... Il soggiorno veneziano coincide con la Biennale del 1907. In quell’anno venne allestita la Sala del Sogno che segnò l’apice degli sviluppi del simbolismo italiano. Boccioni resta sicuramente colpito da questo tipo di ricerche orientate a superare il verismo; il simbolismo gli era sembrata una delle tante soluzioni per trascendere il dato oggettivo. Si avvicina anche al mondo dell’incisione. Il ritrovamento delle lastre che si ritenevano perdute, e che per la prima volta vengono esposte al pubblico, permette di comprendere con più precisione le tecniche utilizzate e quindi aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza di Boccioni. Le prime lastre risentono dell’incisione vista a Roma, che a quel tempo era uno dei centri che mostrava più attenzione nei confronti delle arti grafiche. Nel 1902 a Palazzo delle Esposizioni si era tenuta infatti la grande esposizione internazionale di bianco e nero, nella quale erano esposte le opere dei più grandi incisori provenienti da tutto il mondo. Nel suo diario l’artista racconta di essere finalmente riuscito ad acquistare un torchio anche se alla vigilia della sua partenza per Milano. Qui realizzerà la sua incisione più complessa, Il Lago dei cigni, con la tecnica “à la poupée” (una coloritura a zone simile a un acquerello)".
Umberto Boccioni, Autoritratto, 1908, Olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera
Le opere più importanti della mostra?
"Certamente Il romanzo della cucitrice del 1908 (Collezione Barilla di Arte Moderna) è una delle opere più rappresentative, un quadro formidabile che rappresenta uno dei vertici dell’artista nella sua fase pre-futurista. Straordinari anche l’Autoritratto di Brera o il bozzetto a olio di Beata Solitudo, visibile raramente”.
Ci sono molte opere da collezioni private…
“Sicuramente tra i capolavori concessi da privati vi sono il Ritratto di gentiluomo del 1909 e il Ritratto di Fiammetta Sarfatti del 1911”.
Qual è uno degli elementi che rende inedita la mostra?
“Per ciascuna sezione siamo riusciti a ricostruire l’ambiente nel quale Boccioni operava. Nella sezione romana ad esempio si trovano le opere degli amici con i quali aveva a che fare quotidianamente, come Roberto Basilici, Guido Calori, Raoul dal Molin Ferenzona, Giovanni Prini, Otto Greiner e, ovviamente, Giacomo Balla”.
Il terzo momento fondamentale della formazione boccioniana è rappresentato dall’arrivo a Milano. L’importanza del confronto con il capoluogo lombardo è suggerita nella mostra dall’accostamento delle opere di Boccioni a quelle degli artisti maggiormente influenti nella Milano di inizio secolo. Che cos’è che Boccioni imparerà in questa città?
“A Milano abbiamo accostato Boccioni ad alcuni dei rappresentanti della seconda generazione di divisionisti lombardi come, ad esempio, Benvenuti e Sottocornola, ma non mancano i maestri Previati e Segantini. La mostra ovviamente non è un gioco di semplici rimandi, ma ricostruisce l’attività di Boccioni all’interno del suo ambiente e sottolinea alcune comuni tendenze e scelte tecniche ed iconografiche. C’è ad esempio un quadro di Benvenuti che, se non fosse firmato, potrebbe senz’altro essere attribuito a Boccioni, a dimostrazione del fatto che l’artista in questi anni dimostrava un’acuta sensibilità nel percepire suggestioni e linguaggi assimilandoli e trascendendoli in una forma personalissima che esploderà nel breve volgere di alcuni mesi in una sua sintesi straordinaria".
Leggi anche:
• Umberto Boccioni prima del Futurismo. Presto una mostra alla Magnani-Rocca
• Boccioni. Prima del Futurismo
Dal 9 settembre al 10 dicembre la mostra Boccioni. Prima del Futurismo – a cura di Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi, Stefano Roffi – indaga la figura del giovane Boccioni e gli anni della formazione affrontando i diversi momenti della sua attività, dalla primissima esperienza a Roma, a partire dal 1899, fino agli avvenimenti che precedono l’elaborazione del Manifesto dei pittori futuristi nella primavera del 1910.
Ciò che rende interessante l’esposizione è l’inedita chiave di lettura che ricostruisce gli ambienti artistico-culturali nel quale Boccioni ha operato, mettendo in luce gli stimoli assorbiti e rielaborati in un linguaggio personalissimo che si manifesterà con una straordinaria sintesi.
Per ARTE.it l'occasione di questa mostra è particolarmente importante visto che il documentario FORMIDABILE BOCCIONI - un film di Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà prodotto da ARTE.it in collaborazione con RAI Cultura - è entrato a far parte della esposizione e viene proiettato in una videoroom dedicata all'ingresso della Villa delle Meraviglie, e introduce il percorso espositivo che approfondisce gli anni di formazione del giovane Umberto Boccioni
Umberto Boccioni, La signora Virginia, 1905, Olio su tela, Milano, Museo del Novecento
La mostra alla Fondazione Magnani Rocca che ha aperto il 9 settembre è suddivisa in tre sezioni geografiche - curate rispettivamente da Francesco Parisi, Virginia Baradel e Niccolò D’Agati - legate alle città che hanno rappresentato altrettanti punti di riferimento formativi per l’artista: Roma, Venezia e Milano. Una speciale attenzione è dedicata ai lavori a tempera per finalità commerciali e alle illustrazioni, che sottolineano l’importanza di questa produzione nell’ambito di una sperimentazione che, dalle primissime prove romane, conduce agli esiti più compiuti e artisticamente complessi degli anni milanesi.
Lo studio dei diari e della corrispondenza di Boccioni entro il 1910, ma anche recenti e approfondite indagini, hanno rappresentato elementi utili alla conoscenza di questa fase della sua attività.
Il percorso vuole seguire la formazione boccioniana al di fuori di una logica deterministica legata all’approdo al futurismo, cogliendo la nascita di un linguaggio e di una posizione estetica in rapporto alle ricerche contemporanee che caratterizzavano i contesti coi quali l’artista entrò in contatto.
Abbiamo chiesto a Francesco Parisi, uno dei curatori, di raccontarci il percorso.
Qual è l’ambiente artistico che Boccioni incontra a Roma?
“Quando Boccioni arriva a Roma, appena diciassettenne, entra in contatto con quell’ambiente intellettuale romano che ruotava attorno al periodico artistico-letterario “Fanfullla” dove gravitavano i poeti crepuscolari della cerchia di Sergio Corazzini. Questi cenacoli in quegli anni erano frequentati soprattutto da giovani affascinati dalle teorie anarco-idealiste, un’evoluzione delle correnti socialiste di fine Ottocento che nella capitale si miscelavano a spunti derivati dal simbolismo internazionale. Boccioni si inserisce in questo ambiente così ricco di idee nuove”.
Umberto Boccioni, Ritratto della Signora Maffi, 1910, acquerello e matita su carta, Verona, Galleria dello Scudo
Come si avvicina alla pittura?
"È probabile che la spinta a cimentarsi con la pittura sia venuta dal legame con il pittore Roberto Basilici, un simbolista molto legato all’incisore tedesco Otto Greiner, e con Gino Severini. In quegli anni così cruciali i giovani cercavano strade alternative e nuovi maestri lontani da quelle “pastose” pitture ottocentesche. Quando decide di cimentarsi con la pittura Boccioni è un giovane inesperto mentre i suoi amici erano già avviati su quella strada: Severini racconterà che l’artista aveva difficoltà a centrare l’immagine all’interno del foglio. Certamente la Scuola Libera del nudo, una scuola parallela all’interno dell’Istituto di Belle Arti, dove i giovani potevano disegnare i modelli dal vivo, liberi dagli insegnamenti troppo accademici del professore, gli diede ulteriori strumenti e un approccio più tecnico".
Con quali opere questa esperienza è raccontata in mostra?
“Abbiamo alcuni dei rarissimi disegni eseguiti da Boccioni proprio alla Scuola libera del nudo, in prestito dalla Galleria Bottegantica di Milano, una testimonianza unica dei suoi esordi".
Boccioni, insieme a Severini, entra nello studio di Giacomo Balla. Qui cosa accade?
“Balla era arrivato a Roma da Torino, era stato a Parigi e aveva iniziato a usare una tecnica divisionista (colore applicato puro e non miscelato su tavolozza). Il suo era un tocco modernista molto diverso dalle esperienze del divisionismo lombardo d’impronta segantiniana. Nello studio di Balla, Boccioni e Severini iniziano a utilizzare il pastello in bianco e nero steso anch’esso a filamenti analoghi al ductus divisionista, ma senza alcun colore puro. Questa tecnica diventerà una caratteristica di tutta la compagine romana come testimoniano i disegni di Giovanni Prini, di Ferenzona e lo straordinario autoritratto a pastello di Mario Sironi”.
Il periodo romano non ha segnato solo il progressivo avvicinamento dell’artista alla pittura, ma anche a quello dell’illustrazione commerciale – la réclame – che rappresentava come prodotto artistico una perfetta e “straordinaria espressione moderna”...
“A Roma, come in altri grandi centri italiani ed europei, l’illustrazione era un modo per molti artisti di sostentarsi. Boccioni riesce a trovare commissioni come illustratore, dapprima presso l’editore Racah che gli commissiona cartoline dedicate alle danze ciociare che venivano vendute in quelle che oggi chiameremmo edicole. Boccioni continuerà questa attività di illustratore fino al 1910, anche se il suo maggiore impegno sarà sempre rivolto alla pittura. D’altra parte le occasioni per vendere i quadri a Roma in particolare, erano rarissime ed appannaggio delle annuali esposizioni organizzate dalla Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti”.
Giovanni Sottocornola, Mariuccia, 1903, pastello su carta
A un certo punto Boccioni si stancherà dell’ambiente romano...
"Retrospettiovamente scriverà “Venivo fresco fresco da tutta quella sequela di tradimenti che fu l'ultimo tempo di Roma. In quel naufragio non vedo ora galleggiare che Cambellotti e ... forse forse ... Balla”.
Si sposta a Parigi. Qui cosa accade?
“Come molti suoi colleghi Boccioni prova ad andare a Parigi nella primavera del 1906, ma sarà una sorta di fallimento. Lo raggiunge Sironi e con lui condivideva le difficoltà economiche, tanto che da scrivere all’amico Prini per un aiuto. Trascorrerà poi un breve periodo tra Venezia e Padova, cui è dedicata una sezione della mostra, prima di iniziare l’avventura milanese".
A Venezia cosa fa?
"In mostra troviamo alcune delle più importanti opere eseguite a Padova prima e dopo il soggiorno parigino del 1906. Boccioni deplora verismo e sentimentalismo mentre aspira a un’arte che rechi “un’impronta nobilissima di aspirazione a una bellezza ideale” come scrisse commentando la Sala dell’arte del Sogno. La mostra si sofferma anche all’avvicinamento dell’artista al mondo dell’incisione, sotto la guida di Alessandro Zezzos. Per la prima volta vengono presentate le lastre metalliche incise da Boccioni, recentemente ritrovate... Il soggiorno veneziano coincide con la Biennale del 1907. In quell’anno venne allestita la Sala del Sogno che segnò l’apice degli sviluppi del simbolismo italiano. Boccioni resta sicuramente colpito da questo tipo di ricerche orientate a superare il verismo; il simbolismo gli era sembrata una delle tante soluzioni per trascendere il dato oggettivo. Si avvicina anche al mondo dell’incisione. Il ritrovamento delle lastre che si ritenevano perdute, e che per la prima volta vengono esposte al pubblico, permette di comprendere con più precisione le tecniche utilizzate e quindi aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza di Boccioni. Le prime lastre risentono dell’incisione vista a Roma, che a quel tempo era uno dei centri che mostrava più attenzione nei confronti delle arti grafiche. Nel 1902 a Palazzo delle Esposizioni si era tenuta infatti la grande esposizione internazionale di bianco e nero, nella quale erano esposte le opere dei più grandi incisori provenienti da tutto il mondo. Nel suo diario l’artista racconta di essere finalmente riuscito ad acquistare un torchio anche se alla vigilia della sua partenza per Milano. Qui realizzerà la sua incisione più complessa, Il Lago dei cigni, con la tecnica “à la poupée” (una coloritura a zone simile a un acquerello)".
Umberto Boccioni, Autoritratto, 1908, Olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera
Le opere più importanti della mostra?
"Certamente Il romanzo della cucitrice del 1908 (Collezione Barilla di Arte Moderna) è una delle opere più rappresentative, un quadro formidabile che rappresenta uno dei vertici dell’artista nella sua fase pre-futurista. Straordinari anche l’Autoritratto di Brera o il bozzetto a olio di Beata Solitudo, visibile raramente”.
Ci sono molte opere da collezioni private…
“Sicuramente tra i capolavori concessi da privati vi sono il Ritratto di gentiluomo del 1909 e il Ritratto di Fiammetta Sarfatti del 1911”.
Qual è uno degli elementi che rende inedita la mostra?
“Per ciascuna sezione siamo riusciti a ricostruire l’ambiente nel quale Boccioni operava. Nella sezione romana ad esempio si trovano le opere degli amici con i quali aveva a che fare quotidianamente, come Roberto Basilici, Guido Calori, Raoul dal Molin Ferenzona, Giovanni Prini, Otto Greiner e, ovviamente, Giacomo Balla”.
Il terzo momento fondamentale della formazione boccioniana è rappresentato dall’arrivo a Milano. L’importanza del confronto con il capoluogo lombardo è suggerita nella mostra dall’accostamento delle opere di Boccioni a quelle degli artisti maggiormente influenti nella Milano di inizio secolo. Che cos’è che Boccioni imparerà in questa città?
“A Milano abbiamo accostato Boccioni ad alcuni dei rappresentanti della seconda generazione di divisionisti lombardi come, ad esempio, Benvenuti e Sottocornola, ma non mancano i maestri Previati e Segantini. La mostra ovviamente non è un gioco di semplici rimandi, ma ricostruisce l’attività di Boccioni all’interno del suo ambiente e sottolinea alcune comuni tendenze e scelte tecniche ed iconografiche. C’è ad esempio un quadro di Benvenuti che, se non fosse firmato, potrebbe senz’altro essere attribuito a Boccioni, a dimostrazione del fatto che l’artista in questi anni dimostrava un’acuta sensibilità nel percepire suggestioni e linguaggi assimilandoli e trascendendoli in una forma personalissima che esploderà nel breve volgere di alcuni mesi in una sua sintesi straordinaria".
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