Eccezionalmente visibile a Milano la copia fedele del capolavoro di Leonardo

Apre al pubblico la Vergine delle Rocce del Borghetto

Francesco Melzi (attribuito), Madonna col Bambino, san Giovannino e un angelo ( Vergine delle Rocce del Borghetto ), 1517 - 1520, tempera e olio su tela, 198 x 122 cm Milano, San Michele sul Dosso, Congregazione Suore Orsoline
 

Francesca Grego

31/01/2019

Milano - In occasione del Cinquecentenario di Leonardo, sarà per la prima volta accessibile al pubblico milanese la Vergine delle Rocce del Borghetto, copia di alta qualità formale del celebre capolavoro conservato al Louvre ed eseguita secondo gli studiosi da Francesco Melzi, l’allievo prediletto del genio vinciano.
 
Fino al prossimo 31 dicembre sarà possibile ammirare l’opera grazie a speciali visite guidate nella chiesa di San Michele del Dosso, dove è attualmente custodita, all’interno del convento della Congregazione delle Orsoline di San Carlo, proprio di fronte alla Basilica di Sant’Ambrogio.
Si tratta di un evento eccezionale, se si considera che l’unica apparizione pubblica del dipinto è stata una mostra di poche settimane a Palazzo Marino nel 2014, che ha visto la Vergine del Borghetto esposta accanto alla Madonna Esterhazy di Raffaello.
 
"Sono rarissimi i dipinti (se ne contano tre) oggi conservati in prestigiose collezioni d'arte considerati dagli studiosi specialisti copie coeve d'alta qualità formale del capolavoro leonardesco entrato nella collezione dei re di Francia”, spiega Raffaella Ausenda, curatrice del catalogo edito per l'occasione da Skira: “E, anche confrontandola con queste, La Vergine delle Rocce del Borghetto le supera: è assolutamente straordinaria nella perfetta misura dell'opera, nel materiale pittorico e nella qualità del disegno delle figure. Nella loro posizione, nella cura nel panneggio e, soprattutto, nella fine bellezza dei loro dolcissimi volti, il modello leonardesco resta vivo".
Contrariamente ai dipinti gemelli del Louvre e della National Gallery, la Vergine delle Rocce del Borghetto è un’opera su tela e non su tavola. Questo ha fatto pensare che fosse già originariamente destinata a essere trasportata e che sia stata eseguita durante il soggiorno di Leonardo in Francia da Francesco Melzi, inseparabile compagno del maestro dal 1510, nonché suo esecutore testamentario noto per aver riportato in Lombardia i manoscritti e gli “instrumenti et portracti circa l’arte sua e l’industria de’ pictori”.
 
Durante l’ultimo restauro eseguito nel 1997, le analisi dei pigmenti e gli esami fotoradiografici hanno portato a ritenere che l’opera sia una copia realizzata da un discepolo, forse sotto l’occhio del maestro, alla presenza dell’originale ora al Louvre. Ulteriori esami hanno rivelato una qualità fisica dei colori riconducibile alla tecnica pittorica scientifica di Leonardo, in cui l’uovo, alcuni oli e collanti concorrono a ottenere precisi effetti cromatici e luministici. L’attribuzione a Melzi ha poi ricevuto conferma quasi definitiva da analisi condotte nel 2000.
 
Ma la storia del dipinto presenta tuttora numerose zone d’ombra. Sappiamo che a metà dell’Ottocento una nobildonna milanese della famiglia Belgiojoso lo donò all’Oratorio dell’Assunta, che pochi anni dopo fu acquistato dalle Orsoline, ma ignoriamo del tutto i passaggi intermedi, che dagli eredi di Melzi lo portarono nelle mani dei Belgiojoso.
Quel che è certo è che si tratta dell’unica versione della Vergine delle Rocce rimasta a Milano, dove Leonardo dipinse ben due pale con lo stesso soggetto: per vie altrettanto oscure una prese la via della Francia, l’altra sul finire del XVIII secolo fu acquistata dal pittore inglese Gavin Hamilton che la portò oltre la Manica.
 
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