Selfie Automaton
Dal 28 Maggio 2016 al 27 Novembre 2016
Venezia
Luogo: Padiglione Romania
Indirizzo: Giardini della Biennale / Nuova galleria dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica / Palazzo Correr
Enti promotori:
- Ministero della Cultura
- Ministero degli Affari Esteri
- Istituto Culturale Romeno
- Unione degli Architetti di Romania
E-Mail info: ina.dragan@selfieautomaton.ro,
Sito ufficiale: http://www.selfieautomaton.ro
Il Padiglione Romania presenta alla 15. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia la mostra “Selfie Automaton”, autori: Tiberiu Bucșa, Gál Orsolya, Stathis Markopoulos, Adrian Aramă, Oana Matei, Andrei Durloi. La mostra consiste in 7 automi meccanici, che includono 42 marionette – 37 di loro rappresentanti esseri umani e 5 animali. Tre automi saranno istallati nel Padiglione della Romania, Giardini della Bienalle, tre nella Nuova Galleria dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, mentre uno si potrà trovare in giro, sulle strade di Venezia.
Caricature di tipologie umane, animali fantastici, uova d’oro, carillon e riflessi nello specchio saranno messi insieme per creare spezzoni di spettacolo che metteranno il visitatore sul palcoscenico, in varie posizioni, quale dinamo e marionetta allo stesso tempo. Gli autori presentano così un ritratto generico delle relazioni sociali, stereotipi e desideri, divisi in elementi, che vengono poi ricomposti con l’aiuto dell’immaginazione del fruitore, in un introspettivo autoritratto, o forse autoscatto. Il progetto potrebbe essere visto totalmente come intrattenimento o come spettacolo dell’assurdo. Pone alcune domande, ma certamente non offre risposte.
Per definire il ruolo che è stato dato alle marionette nella mostra, gli autori di “Selfie Automaton” propongono lo spettacolo di marionette, dato che lascia la possibilità al manipolatore di giocare con i significati e le possibilità di controllo. Uno di questi significati è che la marionetta può, e dovrebbe, oltrepassare i limiti umani usuali, per esempio della gravità, dato che può saltare e rimanere in sospeso. Un altro esempio, estremo e tragico, è lasciare la marionetta diventare consapevole del suo manipolatore e tagliare, oppure no, i propri fili. Comunque fosse, non è stata lasciata la possibilità di scappare dall’istallazione. Anche se costruite con le giunture necessarie che potrebbero permettere “la libertà di movimento”, le marionette in legno sono senza corde e letteralmente inchiodate ad un meccanismo che non permette se non un movimento ripetitivo predefinito. Ed il visitatore non fa eccezione. Seduto, diventa parte dell’automa, dato che gli è offerta un’unica possibilità: di farlo funzionare, con la sua azione ripetitiva.
Di conseguenza, il confortevole stereotipo bipolare del manipolato (noi) e del manipolatore (loro) – spesso mettendo le azioni delle persone ad un’estremità del filo, quale conseguenza umile e diretta di un esterno inspiegabile responsabile per loro – è sostituito da un sistema di scelte chiuse, costruite in una serie di automi. La mostra prende da qui in poi queste due direzioni, mettendo il visitatore in varie relazioni con l’oggetto di intrattenimento e con sé stesso, offrendoli il conforto o lo sconforto di osservatore distante, fino a trasformarlo in una gigantesca ballerina in un micro-banchetto, vittima di un incarico di tipo kafkiano, oppure in un mendicato di desideri.
Maniglie e pedali permettono varie possibilità di spettacoli, quando sono previste con una potenza umana. Un sistema apparente di ruote dentate trasmettono il movimento alle sceneggiature cicliche: una bicicletta muove una danza in cerchio, una pentola di terracotta genera un “grand buffet”, una manovella risveglia una commissione che non finisce mai di litigare, una maniglia girevole muove il pesciolino d’oro, la gallina d’oro, o un uccello in volo – prigioniero della propria gabbia.
“Selfie Automaton” riflette sulle tipologie ed azioni impersonate dalle marionette e cioè che non sono nient’altro che parti disparate di noi stessi e che possono essere combinate o divise, alla ricerca di un autoritratto, che può essere l’architetto o chiunque altro. Quel che resta, comunque, è la domanda sugli schemi predefiniti. Se esistono davvero, se siamo parte di essi, se siamo loro vittime o loro generatori.
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tiberiu buc a ·
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