Letizia Cariello, Fuso orario
Dal 09 Aprile 2021 al 05 Giugno 2021
Bologna
Luogo: Galleria Studio G7
Indirizzo: Via Val D'Aposa 4/A
Orari: Dal Martedì al Sabato, ore 15:30 - 19:30. Mattina, lunedì e festivi su appuntamento
Curatori: Leonardo Regano
Telefono per informazioni: +39 051 2960371
E-Mail info: info@galleriastudiog7.it
Sito ufficiale: http://www.galleriastudiog7.it
La stagione espositiva di Studio G7 prosegue con Fuso Orario, prima mostra personale di Letizia Cariello a Bologna. Con questo nuovo progetto, a cura di Leonardo Regano, Cariello esplora il sottile confine tra spazio interno e spazio esterno, entrambi intesi come caratteristici della natura umana. L’artista indaga ciò che lega il corpo fisico e il corpo spirituale, riuscendo ad evidenziare un’anatomia occulta dell’essere che risulta in potenzialità percettiva, una ricerca ispirata ai principi della Geometria Spirituale, alle teorie teosofiche e neoplatoniche.
Sette Volumi compongono la grande installazione realizzata a parete; disposti secondo uno schema stellare che traccia una mappa del cielo testimone del momento di incontro tra Giove e Saturno, i Volumi rappresentano idealmente l’interazione tra i sette diversi piani sottili della natura umana, qui esplorati secondo i singoli colori che ne rendono manifesta la radiazione luminosa. Un disco di marmo è posto su ciascun Volume seguendo la gradazione di tono del poliedro stesso; il calendario inciso sulla superficie marmorea lega la percezione del tempo terrestre, nei suoi diversi fusi orari, sia a un tempo dell’Io arcaico sia al mondo etereo. Il concetto di tempo, inteso come controllo sull’esistenza, si annienta nel confronto con l’inconscio e l’incertezza di un mondo spirituale che può solo essere percepito.
L’installazione si riflette nell’opera site-specific Sistema Sottile, un ricamo a parete che per la prima volta l’artista realizza con fili di diversi colori, legati a costruire una figura geometrica che riprende lo schema della congiunzione Giove-Saturno.
Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c’è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?
Peter Handke, Elogio dell’infanzia, 1987
Si chiede il poeta: perché io sono io, e perché non sei tu? perché sono qui, e perché non sono lì? quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? E proprio come fa il poeta, nella vita di tutti i giorni ci troviamo a chiederci il perché delle cose, a domandarci quale sia il vero motivo di tutto quello che accade attorno a noi. Col tempo, apprendiamo che il senso della nostra crescita individuale e spirituale risiede proprio nel continuo bisogno di porsi delle domande, anche se molte di queste non avranno mai risposta. E ci si ostina nella ricerca di un riscontro logico perché convinti che anche per i più grandi e complessi interrogativi sulla nostra esistenza ci sia una spiegazione, ancorché sfuggente ma pur sempre rintracciabile. Viviamo la nostra umana imperfezione come una condanna a cui non ci si arrende; ne facciamo stimolo continuando a domandarci dei misteri dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, a trovarne le cause e lo scopo. E ci interroghiamo su come quella leggera brezza, quella tenue sensazione, quel dolce sussulto, possano riuscire a muovere l’intero percorso della nostra esistenza. Se il poeta si pone le domande, il regista ci regala una visione, quella di una città triste e grigia fatta di uomini che si interrogano sui misteri della vita e placano le loro ansie tra le pagine dei libri della grande Biblioteca centrale cercando le risposte; e di angeli, di entità spirituali che li accompagnano in questa ricerca, li ascoltano e li sorreggono nelle fasi cruciali della loro esistenza.
Letizia Cariello, con il suo lavoro, ci pone davanti a un interrogativo, che è lo stesso che assilla il poeta. Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? Ed ecco che l’artista sembra suggerirci una risposta. Letizia si fa tramite di una volontà più ampia, per una Verità che è intima e, al tempo stesso, assoluta. “Attenzione, non sono più io che parlo!”, ammoniva Hanna ai suoi compagni con i quali condivideva l’esperienza della guerra e del nascondersi dal terrore nazista. Attraverso lei, si manifestava la Luce che guidava e infondeva il coraggio a tutto il gruppo di amici per sopravvivere nonostante l’orrore attorno a loro. E come Hanna, protagonista dei Dialoghi con l’Angelo di Gitta Mallasz, Letizia eleva la sua arte a uno strumento di comunicazione con l’Altro, a una connessione con quella realtà superiore che governa il nostro flusso di esistenza.
L’arte di Cariello, non si sbaglia a dirlo, è un’arte di compartecipazione. Ogni sua opera è un dispositivo per congiungersi con il sé più profondo. Il suo pensiero è puro ed è mosso da una forza radicale. Cariello crea assolvendo a un atto sciamanico e in questo ricorda la lezione di Beuys, il suo modo di rapportarsi alle energie spirituali e fisiche che governano il mondo sensibile. Di certo Cariello non indaga il primario della natura come il suo collega tedesco ma preferisce vivere le connessioni spirituali nell’intimità di un focolare domestico e nel confronto con i suoi affetti più cari. Ed ecco che per lei assume importanza il continuo confronto con il sacro: un riferimento che lei ritrova casualmente in un gesto della vita quotidiana o che ricerca volontariamente attraverso la pratica dell’isolamento e del silenzio; o ancora che indaga nel continuo rapportarsi al Santo, ovvero all’umano che sulla terra ha portato le tracce del contatto con il divino e che così ci ha suggerito nuove strategie per la ricerca della Verità.
In Fuso Orario, l’artista ripercorre lo straordinario passaggio mistico che stiamo attraversando con l’ingresso nell’Era dell’Acquario, l’età mitica che avvierà un processo di rinascita per la coscienza comune e un’evoluzione spirituale capace di condurci alla piena consapevolezza. Sui muri della Galleria Studio G7 Cariello propone un lavoro site-specific dal titolo Sistema Sottile, in cui la trama di fili intrecciati ripropone l’immagine della mappa del cielo com’era lo scorso 21 dicembre, il momento della grande congiunzione astrale tra Giove e Saturno che ha annunciato l’ingresso in questa nuova Era.
Sistema Sottile è un’opera-manifesto, radicale nella sua presa di posizione nei confronti della ricerca precedente di Letizia Cariello. Con questo lavoro, l’artista segna uno spartiacque che ci prepara a una rinnovata esperienza creativa, un apice che si nutre delle sperimentazioni degli ultimi anni. Il filo rosso, che da sempre contraddistingue il suo lavoro, per la prima volta si colora e si differenzia in un incontro di sette diverse cromie che riproducono le sottili vibrazioni della manifestazione energetica dell’anima umana. Il riferimento, come ben si coglie già nel titolo scelto, è al complesso energetico sul quale si innestano le molteplici dimensioni dell’essere umano, a quella luce spirituale, emotiva, fisica e mentale che egli è in grado di emanare e che è diretta estensione della sua anima fuori dal corpo. Seguendo la via della conoscenza indicata dalle teorie esseniche, l’artista ci pone davanti alla visione di un’energia che è cosmica e spirituale, che risuona nell’universo e la cui eco ribatte nel nostro Io.
Lo stesso schema astrale del 21 dicembre è riproposto in maniera speculare nella seconda installazione presente in mostra. Alla parete opposta sono disposte sette sculture che continuano la serie dei Volumi, opere che nella loro essenza e forma per l’artista richiamano i principi della Geometria Spirituale. Alla sommità di ciascun solido, Cariello pone i suoi Calendari, qui proposti come dischi in marmo policromo inciso. Nella sequenza di numeri e lettere che è riportata su essi, si svela il senso di una meditazione personale sul tempo e sul suo scorrere. Il più duro dei materiali accoglie nella sua fermezza la traccia di un concetto che è sfuggente per sua stessa definizione. Quello che ritroviamo scolpito sul marmo è però il tempo che Bergson indica della coscienza, un tempo soggettivo, fatto di un fluire continuo e non scomponibile di eventi, contrapposto al rigore della misurazione scientifica. Quello di cui ci parla Letizia è il tempo dell’Io, che accoglie nel suo scorrere la concessione all’errore, al ripensamento, all’intenzione mancata. Il suo fluire non è lineare né tanto meno circolare. È un andare e venire tumultuoso che si rapporta al ritmo della propria intimità. È un Fuso Orario individuale che segna la differenza tra le nostre esistenze. Cariello si pone un obiettivo, una data nel futuro, e la raggiunge raccontando il suo percorso interiore in quel codice alfanumerico che noi vediamo inciso sul marmo. Non si deve commettere l’errore di volerlo decifrare perché non è questo il modo corretto di leggere il lavoro di Letizia. Anche l’elemento filo ci riporta alla dimensione del tempo, divenendone metafora; attraverso esso, gli oggetti si riconnettono e ricreano una relazione tra loro. Non è Cariello che innesta questo rapporto; l’artista se ne fa solo interprete. Il filo, per Cariello, è uno strumento che mette in evidenza i rapporti già esistenti tra le cose, tra le persone. Non serve a creare relazioni in maniera arbitraria perché l’artista non vuole ergersi a un Demiurgo di un suo proprio mondo.
La sua è un’arte che possiamo dire concreta, ancorata saldamente alla realtà dell’esperienza sensibile e a una nuova percezione della sua complessità.
Calendari, oggetti d’affezione, alberi, strumenti musicali, immagini: Letizia li collega tra loro seguendo l’idea di un tempo e di uno spazio che arriva dalla sua interiorità, dal sentire di quella che lei definisce “camera della mente”, sull’esempio di Caterina. L’esperienza della Mistica senese ci ha mostrato la via per un luogo interiore in cui spazio e tempo sono diversi e in cui si è a contatto solo con se stessi. Lì, in quel rifugio per l’anima, siamo in grado di percepirci per quello che siamo, per la nostra essenza di essere senza tempo e fuori dallo spazio, senza un prima e senza dopo, ma connessi nel flusso continuo dell’esistenza.
E così tornano di nuovo alla mente le domande del poeta, quella sua ricerca di un senso compiuto alla nostra presenza nel flusso del tempo e nello spazio eterno. Come può essere che io, che sono io, non c’ero prima di diventare, e che, una volta, io, che sono io, non sarò più quello che sono? Se lo chiede il poeta e, in fondo, ce lo chiediamo anche noi. E l’artista ci guarda, e sembra così tornare a suggerirci una risposta che non conosce ma di cui si fa tramite. In quelle forme che Cariello crea guidata dal suo sentire, riusciamo così per un attimo ad accostarci a un piccolo indizio per questo indefinibile dilemma.
Leonardo Regano
Sette Volumi compongono la grande installazione realizzata a parete; disposti secondo uno schema stellare che traccia una mappa del cielo testimone del momento di incontro tra Giove e Saturno, i Volumi rappresentano idealmente l’interazione tra i sette diversi piani sottili della natura umana, qui esplorati secondo i singoli colori che ne rendono manifesta la radiazione luminosa. Un disco di marmo è posto su ciascun Volume seguendo la gradazione di tono del poliedro stesso; il calendario inciso sulla superficie marmorea lega la percezione del tempo terrestre, nei suoi diversi fusi orari, sia a un tempo dell’Io arcaico sia al mondo etereo. Il concetto di tempo, inteso come controllo sull’esistenza, si annienta nel confronto con l’inconscio e l’incertezza di un mondo spirituale che può solo essere percepito.
L’installazione si riflette nell’opera site-specific Sistema Sottile, un ricamo a parete che per la prima volta l’artista realizza con fili di diversi colori, legati a costruire una figura geometrica che riprende lo schema della congiunzione Giove-Saturno.
Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c’è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?
Peter Handke, Elogio dell’infanzia, 1987
Si chiede il poeta: perché io sono io, e perché non sei tu? perché sono qui, e perché non sono lì? quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? E proprio come fa il poeta, nella vita di tutti i giorni ci troviamo a chiederci il perché delle cose, a domandarci quale sia il vero motivo di tutto quello che accade attorno a noi. Col tempo, apprendiamo che il senso della nostra crescita individuale e spirituale risiede proprio nel continuo bisogno di porsi delle domande, anche se molte di queste non avranno mai risposta. E ci si ostina nella ricerca di un riscontro logico perché convinti che anche per i più grandi e complessi interrogativi sulla nostra esistenza ci sia una spiegazione, ancorché sfuggente ma pur sempre rintracciabile. Viviamo la nostra umana imperfezione come una condanna a cui non ci si arrende; ne facciamo stimolo continuando a domandarci dei misteri dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, a trovarne le cause e lo scopo. E ci interroghiamo su come quella leggera brezza, quella tenue sensazione, quel dolce sussulto, possano riuscire a muovere l’intero percorso della nostra esistenza. Se il poeta si pone le domande, il regista ci regala una visione, quella di una città triste e grigia fatta di uomini che si interrogano sui misteri della vita e placano le loro ansie tra le pagine dei libri della grande Biblioteca centrale cercando le risposte; e di angeli, di entità spirituali che li accompagnano in questa ricerca, li ascoltano e li sorreggono nelle fasi cruciali della loro esistenza.
Letizia Cariello, con il suo lavoro, ci pone davanti a un interrogativo, che è lo stesso che assilla il poeta. Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? Ed ecco che l’artista sembra suggerirci una risposta. Letizia si fa tramite di una volontà più ampia, per una Verità che è intima e, al tempo stesso, assoluta. “Attenzione, non sono più io che parlo!”, ammoniva Hanna ai suoi compagni con i quali condivideva l’esperienza della guerra e del nascondersi dal terrore nazista. Attraverso lei, si manifestava la Luce che guidava e infondeva il coraggio a tutto il gruppo di amici per sopravvivere nonostante l’orrore attorno a loro. E come Hanna, protagonista dei Dialoghi con l’Angelo di Gitta Mallasz, Letizia eleva la sua arte a uno strumento di comunicazione con l’Altro, a una connessione con quella realtà superiore che governa il nostro flusso di esistenza.
L’arte di Cariello, non si sbaglia a dirlo, è un’arte di compartecipazione. Ogni sua opera è un dispositivo per congiungersi con il sé più profondo. Il suo pensiero è puro ed è mosso da una forza radicale. Cariello crea assolvendo a un atto sciamanico e in questo ricorda la lezione di Beuys, il suo modo di rapportarsi alle energie spirituali e fisiche che governano il mondo sensibile. Di certo Cariello non indaga il primario della natura come il suo collega tedesco ma preferisce vivere le connessioni spirituali nell’intimità di un focolare domestico e nel confronto con i suoi affetti più cari. Ed ecco che per lei assume importanza il continuo confronto con il sacro: un riferimento che lei ritrova casualmente in un gesto della vita quotidiana o che ricerca volontariamente attraverso la pratica dell’isolamento e del silenzio; o ancora che indaga nel continuo rapportarsi al Santo, ovvero all’umano che sulla terra ha portato le tracce del contatto con il divino e che così ci ha suggerito nuove strategie per la ricerca della Verità.
In Fuso Orario, l’artista ripercorre lo straordinario passaggio mistico che stiamo attraversando con l’ingresso nell’Era dell’Acquario, l’età mitica che avvierà un processo di rinascita per la coscienza comune e un’evoluzione spirituale capace di condurci alla piena consapevolezza. Sui muri della Galleria Studio G7 Cariello propone un lavoro site-specific dal titolo Sistema Sottile, in cui la trama di fili intrecciati ripropone l’immagine della mappa del cielo com’era lo scorso 21 dicembre, il momento della grande congiunzione astrale tra Giove e Saturno che ha annunciato l’ingresso in questa nuova Era.
Sistema Sottile è un’opera-manifesto, radicale nella sua presa di posizione nei confronti della ricerca precedente di Letizia Cariello. Con questo lavoro, l’artista segna uno spartiacque che ci prepara a una rinnovata esperienza creativa, un apice che si nutre delle sperimentazioni degli ultimi anni. Il filo rosso, che da sempre contraddistingue il suo lavoro, per la prima volta si colora e si differenzia in un incontro di sette diverse cromie che riproducono le sottili vibrazioni della manifestazione energetica dell’anima umana. Il riferimento, come ben si coglie già nel titolo scelto, è al complesso energetico sul quale si innestano le molteplici dimensioni dell’essere umano, a quella luce spirituale, emotiva, fisica e mentale che egli è in grado di emanare e che è diretta estensione della sua anima fuori dal corpo. Seguendo la via della conoscenza indicata dalle teorie esseniche, l’artista ci pone davanti alla visione di un’energia che è cosmica e spirituale, che risuona nell’universo e la cui eco ribatte nel nostro Io.
Lo stesso schema astrale del 21 dicembre è riproposto in maniera speculare nella seconda installazione presente in mostra. Alla parete opposta sono disposte sette sculture che continuano la serie dei Volumi, opere che nella loro essenza e forma per l’artista richiamano i principi della Geometria Spirituale. Alla sommità di ciascun solido, Cariello pone i suoi Calendari, qui proposti come dischi in marmo policromo inciso. Nella sequenza di numeri e lettere che è riportata su essi, si svela il senso di una meditazione personale sul tempo e sul suo scorrere. Il più duro dei materiali accoglie nella sua fermezza la traccia di un concetto che è sfuggente per sua stessa definizione. Quello che ritroviamo scolpito sul marmo è però il tempo che Bergson indica della coscienza, un tempo soggettivo, fatto di un fluire continuo e non scomponibile di eventi, contrapposto al rigore della misurazione scientifica. Quello di cui ci parla Letizia è il tempo dell’Io, che accoglie nel suo scorrere la concessione all’errore, al ripensamento, all’intenzione mancata. Il suo fluire non è lineare né tanto meno circolare. È un andare e venire tumultuoso che si rapporta al ritmo della propria intimità. È un Fuso Orario individuale che segna la differenza tra le nostre esistenze. Cariello si pone un obiettivo, una data nel futuro, e la raggiunge raccontando il suo percorso interiore in quel codice alfanumerico che noi vediamo inciso sul marmo. Non si deve commettere l’errore di volerlo decifrare perché non è questo il modo corretto di leggere il lavoro di Letizia. Anche l’elemento filo ci riporta alla dimensione del tempo, divenendone metafora; attraverso esso, gli oggetti si riconnettono e ricreano una relazione tra loro. Non è Cariello che innesta questo rapporto; l’artista se ne fa solo interprete. Il filo, per Cariello, è uno strumento che mette in evidenza i rapporti già esistenti tra le cose, tra le persone. Non serve a creare relazioni in maniera arbitraria perché l’artista non vuole ergersi a un Demiurgo di un suo proprio mondo.
La sua è un’arte che possiamo dire concreta, ancorata saldamente alla realtà dell’esperienza sensibile e a una nuova percezione della sua complessità.
Calendari, oggetti d’affezione, alberi, strumenti musicali, immagini: Letizia li collega tra loro seguendo l’idea di un tempo e di uno spazio che arriva dalla sua interiorità, dal sentire di quella che lei definisce “camera della mente”, sull’esempio di Caterina. L’esperienza della Mistica senese ci ha mostrato la via per un luogo interiore in cui spazio e tempo sono diversi e in cui si è a contatto solo con se stessi. Lì, in quel rifugio per l’anima, siamo in grado di percepirci per quello che siamo, per la nostra essenza di essere senza tempo e fuori dallo spazio, senza un prima e senza dopo, ma connessi nel flusso continuo dell’esistenza.
E così tornano di nuovo alla mente le domande del poeta, quella sua ricerca di un senso compiuto alla nostra presenza nel flusso del tempo e nello spazio eterno. Come può essere che io, che sono io, non c’ero prima di diventare, e che, una volta, io, che sono io, non sarò più quello che sono? Se lo chiede il poeta e, in fondo, ce lo chiediamo anche noi. E l’artista ci guarda, e sembra così tornare a suggerirci una risposta che non conosce ma di cui si fa tramite. In quelle forme che Cariello crea guidata dal suo sentire, riusciamo così per un attimo ad accostarci a un piccolo indizio per questo indefinibile dilemma.
Leonardo Regano
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