Superficie 678

Giuseppe Capogrossi

 
DESCRIZIONE:

Nel 1950, anno d’esecuzione di questo dipinto, Capogrossi esordisce come pittore astratto alla Galleria del Secolo di Roma, presentato in catalogo da Corrado Cagli.

La critica militante si schiera dalla parte dell’artista figurativo: l’esposizione suscita reazioni vivacemente avverse nei confronti di una formula “sommamente vana”, come ha scritto Francesco Arcangeli. La scelta figurativa, infatti, è perseguita da Capogrossi fin dai primi anni venti quando, conseguita la laurea in giurisprudenza, inizia a dipingere sotto la guida di Casorati e prosegue poi negli anni trenta con i sodali della Scuola romana. Il cambiamento di rotta dalla figurazione all’astrazione si compie sul finire degli anni quaranta e non può prescindere dai radicali mutamenti di carattere sociale. L’artista dichiara infatti: “Perché io dipingevo sempre dal vero? Perché c’ero abituato. Così ho sentito il bisogno di ricominciare da capo, per non essere più schiavo. Era un bisogno morale; io mi ergognavo” (G.C. Argan, M. Fagiolo dell’Arco, Capogrossi, Editalia, Roma 1967, p. 41).

La sua scelta si radicalizza nel tempo, sia quando nel 1950 fonda il gruppo Origine con Ballocco, Burri e Colla, sia nel 1952, quando si unisce al gruppo Spaziale di Milano, costituitosi l’anno precedente con Fontana, Ambrosini, Carozzi, Crippa, De Luigi, Dova, Guidi, Joppolo, Milani, Morucchio, Peverelli e Vianello.

 Nell’importante opera accompagnata da un’ampia serie di riscontri espositivi, la composizione inizia dapprima con segni ordinati, poi l’ordine ritmicamente scandito muta, creando, quasi all’improvviso, una nuova organizzazione. Si rivelano piccole aree chiare emergenti che prevalgono sulla “scrittura” del fondo e che cambiano la percezione dell’opera.

 Nel 1953, l’esposizione d’arte italiana moderna a Stoccolma e nell’Europa del Nord, organizzata dalla Biennale di Venezia, dove compare anche Superficie 678, fa da prologo alla consacrazione dell’artista in Italia alla XXVII Biennale, quando – presentato da Michel Tapié nel 1954 – vince il Premio Einaudi.

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