Giovanni Izzo. Four Rooms: a sud del mondo
![Giovanni Izzo. Four Rooms: a sud del mondo, Arterrima Contemporary House Gallery, Caserta Giovanni Izzo. Four Rooms: a sud del mondo, Arterrima Contemporary House Gallery, Caserta](http://www.arte.it/foto/600x450/f1/20436-izzo3.jpg)
Giovanni Izzo. Four Rooms: a sud del mondo, Arterrima Contemporary House Gallery, Caserta
Dal 15 Marzo 2014 al 04 Aprile 2014
Caserta
Luogo: Arterrima Contemporary House Gallery
Indirizzo: corso Trieste 167
Curatori: Matteo De Simone
Telefono per informazioni: +39 338 6301745
E-Mail info: info@arterrima.it
Sito ufficiale: http://www.arterrima.it/?
Il 15 marzo 2014, alle 18.30, si inaugurerà, presso Arterrima Contemporary House Gallery a Caserta la mostra personale “Four rooms: a sud del mondo” del fotografo Giovanni Izzo curata da Matteo De Simone, psicoanalista ordinario e resp. culturale dell’Associazione Italiana di Psicoanalisi (A.I.Psi.)
La mostra vuole essere un omaggio a Giovanni Izzo, uno dei più grandi fotografi italiani, e al lavoro che svolge da anni sul tema della migrazione. Izzo ha colto soprattutto l’essenza di un’Italia nascosta, è il fotografo che ha meglio documentato l’insediamento della comunità africana nell’entroterra campano.
La mostra si declina in quattro tematiche, una per ogni stanza, ognuna con un presentatore “Architettura” Raffaele Cutillo architetto, “Domitiana finis terrae” dal filosofo Lucio Saviani, “ Matres” da Matteo De Simone psicoanalista e “Affetti” da Anouck Vecchietti Massacci, traduttrice.
Izzo ritrae gli umili, gente lontana dai riflettori e racconta di fame, di dolore e di miseria, ma anche di occasioni di riscatto e giorni di festa: nascite, matrimoni, morti, abusi, dolore, gioie di questo popolo migrante che si è installato in una terra di nessuno sognandola come una nuova Africa, una terra promessa per una nuova genesi. La sua narrativa fotografica è carica di una forza patica che colpisce chiunque, la osservi, aldilà di qualsiasi differenza sociale e culturale, il suo lavoro consente la costituzione di uno spazio intermedio ove l’occhio dell’osservatore incontra l’opera e la poetica dell’autore ma anche la ragione e il sentimento del soggetto ritratto, che siano persone o cose. E’ difficile nel contemporaneo trovare un lavoro teoricamente irreprensibile e profondamente rispettoso teso a raccontare la storia e gli interstizi dell’animo di un uomo, di una donna, di un bimbo, di un popolo che deve identificarsi in una nuova terra dopo aver attraversato in maniera definitiva il confine che allontana dalle proprie radici.
Il lavoro di Izzo è profondamente civile e anche politico, si allontana sia dal sensazionalismo ed effettismo mass mediologico che dalla retorica dogmatica buonista o dai compitini deresponsabilizzanti. Spesso tutto ciò è più pericoloso di una ostilità dichiarata verso i migranti, infatti, non favorisce un’integrazione ma procura se va bene un assorbimento verticalizzato, se vale male espulsione e indegna diversità. Si produce, così, malessere, delinquenza, vera e propria schiavitù, fino ad arrivare all’esito più terribile nel contesto umano: l’anomia, la cancellazione dell’identità del singolo, la frammentazione del suo mondo interno, del suo stesso essere in vita.
La fotografia di Giovanni Izzo non è pura documentazione: è narrazione che diventa empatia, è impegno umano. Un fotografo dunque che non si nasconde dietro la sua macchina ma anzi la usa come strumento di dialogo e di introspezione, con il rispetto e l’umiltà necessaria e fondante per incontrare e lasciarsi incontrare, nel rispetto delle differenze alla ricerca delle similarità, di una possibilità di uno scambio.
La narrazione di Izzo procede per i territori degli affetti profondi, gli spazi transferali/controtransferali, con tutte le loro vicissitudini, sono percorsi senza timore ma con la necessaria levità e perseveranza nel rispetto della dignità di ognuno e della ricerca di un senso lì anche dove sembra predominare un non-senso.
Se la fotografia e il fotografare permettono di scoprire il lato oscuro del mondo, dando rappresentabilità alle emozioni, espandendo il sogno e l’immaginario, per far questo è importante esercitarsi a pensare, Giovanni Izzo è un testimone di questa ricerca. Il bianco/nero è il suo campo di specializzazione e la sua formazione con esperienze pittoriche a contatto con i grandi maestri gli è stata di grande aiuto. Le sue pose, i suoi toni, caldi e sfumati, le sue inquadrature sono un qualcosa di inconfondibile che rende le sue produzioni dei veri e propri capolavori. Giovanni Izzo è uno dei maggiori fotografi italiani: la sua fotografia è imponente, umana, delicata, compassionevole, ma allo stesso tempo non concede tregua, il fotografo interroga e tenta di raccontare l’umano. Le sue fotografie sono un coro di sogni, delusioni, rabbia, felicità, stupore, lacrime e gioia.
“Per me la fotografia è un atto costitutivo della conoscenza che cerco di portare oltre i limiti del mostrare e del raccontare".
La sua opera è mossa da passione, compassione e pietà. E’ uno sguardo umano che non offende, ma contempla. A volte denuncia, forte, senza compromessi, dura. Ma anche e soprattutto uno sguardo umano che fa trasparire e traspirare la possibilità della speranza. Una speranza di cambiamento, di unione di popoli e culture, di popoli che sono stati e sono migranti, un tempo gli italiani, ora gli africani.
La mostra vuole essere un omaggio a Giovanni Izzo, uno dei più grandi fotografi italiani, e al lavoro che svolge da anni sul tema della migrazione. Izzo ha colto soprattutto l’essenza di un’Italia nascosta, è il fotografo che ha meglio documentato l’insediamento della comunità africana nell’entroterra campano.
La mostra si declina in quattro tematiche, una per ogni stanza, ognuna con un presentatore “Architettura” Raffaele Cutillo architetto, “Domitiana finis terrae” dal filosofo Lucio Saviani, “ Matres” da Matteo De Simone psicoanalista e “Affetti” da Anouck Vecchietti Massacci, traduttrice.
Izzo ritrae gli umili, gente lontana dai riflettori e racconta di fame, di dolore e di miseria, ma anche di occasioni di riscatto e giorni di festa: nascite, matrimoni, morti, abusi, dolore, gioie di questo popolo migrante che si è installato in una terra di nessuno sognandola come una nuova Africa, una terra promessa per una nuova genesi. La sua narrativa fotografica è carica di una forza patica che colpisce chiunque, la osservi, aldilà di qualsiasi differenza sociale e culturale, il suo lavoro consente la costituzione di uno spazio intermedio ove l’occhio dell’osservatore incontra l’opera e la poetica dell’autore ma anche la ragione e il sentimento del soggetto ritratto, che siano persone o cose. E’ difficile nel contemporaneo trovare un lavoro teoricamente irreprensibile e profondamente rispettoso teso a raccontare la storia e gli interstizi dell’animo di un uomo, di una donna, di un bimbo, di un popolo che deve identificarsi in una nuova terra dopo aver attraversato in maniera definitiva il confine che allontana dalle proprie radici.
Il lavoro di Izzo è profondamente civile e anche politico, si allontana sia dal sensazionalismo ed effettismo mass mediologico che dalla retorica dogmatica buonista o dai compitini deresponsabilizzanti. Spesso tutto ciò è più pericoloso di una ostilità dichiarata verso i migranti, infatti, non favorisce un’integrazione ma procura se va bene un assorbimento verticalizzato, se vale male espulsione e indegna diversità. Si produce, così, malessere, delinquenza, vera e propria schiavitù, fino ad arrivare all’esito più terribile nel contesto umano: l’anomia, la cancellazione dell’identità del singolo, la frammentazione del suo mondo interno, del suo stesso essere in vita.
La fotografia di Giovanni Izzo non è pura documentazione: è narrazione che diventa empatia, è impegno umano. Un fotografo dunque che non si nasconde dietro la sua macchina ma anzi la usa come strumento di dialogo e di introspezione, con il rispetto e l’umiltà necessaria e fondante per incontrare e lasciarsi incontrare, nel rispetto delle differenze alla ricerca delle similarità, di una possibilità di uno scambio.
La narrazione di Izzo procede per i territori degli affetti profondi, gli spazi transferali/controtransferali, con tutte le loro vicissitudini, sono percorsi senza timore ma con la necessaria levità e perseveranza nel rispetto della dignità di ognuno e della ricerca di un senso lì anche dove sembra predominare un non-senso.
Se la fotografia e il fotografare permettono di scoprire il lato oscuro del mondo, dando rappresentabilità alle emozioni, espandendo il sogno e l’immaginario, per far questo è importante esercitarsi a pensare, Giovanni Izzo è un testimone di questa ricerca. Il bianco/nero è il suo campo di specializzazione e la sua formazione con esperienze pittoriche a contatto con i grandi maestri gli è stata di grande aiuto. Le sue pose, i suoi toni, caldi e sfumati, le sue inquadrature sono un qualcosa di inconfondibile che rende le sue produzioni dei veri e propri capolavori. Giovanni Izzo è uno dei maggiori fotografi italiani: la sua fotografia è imponente, umana, delicata, compassionevole, ma allo stesso tempo non concede tregua, il fotografo interroga e tenta di raccontare l’umano. Le sue fotografie sono un coro di sogni, delusioni, rabbia, felicità, stupore, lacrime e gioia.
“Per me la fotografia è un atto costitutivo della conoscenza che cerco di portare oltre i limiti del mostrare e del raccontare".
La sua opera è mossa da passione, compassione e pietà. E’ uno sguardo umano che non offende, ma contempla. A volte denuncia, forte, senza compromessi, dura. Ma anche e soprattutto uno sguardo umano che fa trasparire e traspirare la possibilità della speranza. Una speranza di cambiamento, di unione di popoli e culture, di popoli che sono stati e sono migranti, un tempo gli italiani, ora gli africani.
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