Leoncillo. L'antico
Dal 03 Dicembre 2021 al 01 Maggio 2022
Firenze
Luogo: Museo Novecento / MAF - Museo Archeologico di Firenze
Indirizzo: Piazza di Santa Maria Novella 10
Curatori: Martina Corgnati e Enrico Mascelloni
Leoncillo. L’antico è il nuovo appuntamento dedicato ai grandi maestri italiani del XX secolo che intende mettere in luce l’interesse del grande scultore umbro (Spoleto, 1915 – Roma, 1968) per l’antico, rileggendo le sue creazioni plastiche alla luce del rapporto con la grande arte del passato. Concepita come un vero e proprio ‘assolo’, la mostra è la prima in un museo italiano dedicata a indagare i profondi rapporti che Leoncillo ha intrattenuto con l’antico, arcaico e classico, oltre che con i grandi maestri del rinascimento e del barocco, lungo tutto l’arco della sua trentennale attività (1938-1968). Come in precedenti occasioni viene consolidato il rapporto di collaborazione con altri musei e istituzioni fiorentine. Una delle più celebri opere di Leoncillo sarà, infatti, esposta al Museo Archeologico Nazionale di Firenzea sottolineare la continuità di un dialogo fecondo tra arte contemporanea e passato, in questo caso con l’espressione artistica degli antichi etruschi, le cui creazioni impressionarono Leoncillo per la loro profonda comprensione dei sentimenti umani sospesi tra amore e morte, vita e aldilà.
Le opere esposte, una trentina fra sculture, pannelli e carte, mettono in evidenza infatti la continuità di sguardo che ne attraversa tutto il lavoro, al di là delle classificazioni più tradizionali e basate unicamente su criteri stilistici: infatti, dagli esseri ibridi e mostruosi del 1939 sino all’ultimo e celebrato decennio in cui trionfa l’esperienza della materia, attraverso la stagione neocubista (1946-1955), Leoncillo non rinuncia mai ad articolare un confronto intimo ed impegnativo con il grande passato della scultura, non soltanto per restituire dignità al proprio materiale d’elezione, la ceramica, ridotta in genere a semplice strumento da artigiani, ma collocandosi implicitamente sullo stesso piano dei maestri e delle civiltà artistiche che l’hanno preceduto di fronte allo stesso soggetto privilegiato, l’uomo, e allo stesso dramma: la sofferenza e la morte. Ne è prova e testimonianza diretta la presenza di una delle opere più celebri di Leoncillo tra le sale del Museo Archeologico, tra antichi sarcofagi di epoca etrusca.
La mostra, a cura di Enrico Mascelloni e Martina Corgnati con la direzione artistica di Sergio Risaliti, organizzata da MUS.E, costituisce il primo tentativo sistematico di indagine sulle presenze antiche in tutta l’opera del maestro umbro, riunendo tra le altre le tre terrecotte policrome invetriate ricordate come i Mostri – creature ibride ispirate al mondo classico realizzate negli ultimi anni Trenta, la Sirena, l’Ermafrodito e l’Arpia, prossime agli esempi coevi della Scuola Romana, in particolare a Scipione.
Le tre opere, già esposte nel 1940 alla Triennale di Milano, dove Leoncillo era stato invitato da Giò Ponti, e pochi anni dopo, nel 1943, nell’ambito di una collettiva di giovani artisti italiani organizzata presso la romana Galleria dello Zodiaco, testimoniano “l’originalità della invenzione” e “la vitalità della deformazione espressionistica e barocca” che iniziano a emergere in Leoncillo, come ebbe a dire il pittore Virgilio Guzzi. Seguono poi due esemplari delle note Cariatidi degli anni della guerra, il primo probabilmente del 1942 e un altro del 1945, insieme a opere meno conosciute, come il Tavolo e Figura che corre. La selezione di opere esposte al Museo Novecento consente inoltre di soffermarsi sull’ampiezza dello sguardo che l’artista rivolge al passato, spaziando con assoluta libertà dal mondo greco all’ellenismo al Rinascimento; un interesse diffuso che non si preoccupa di distinguere fra originale classico e interpretazione rinascimentale ma li considera entrambi come ritorni dello stesso dramma, quello umano.
Durante la stagione postcubista l’interesse per l’antico resta vivo, sebbene “costretto” a convivere con la precisa e a volte geometrica organizzazione spaziale influenzata dal Picasso di Guernica. Questi anni sono rappresentati in mostra dal Ritratto di Mary e soprattutto dalla drammatica Partigiana dalle mani legate, un pezzo che si considerava disperso e che riappare adesso nel catalogo di Leoncillo. Invece il pannello del 1957 esposto qui per la prima volta in una rassegna museale, bozzetto per una grande opera monumentale realizzata a Faenza, anticipa la struttura “paratattica”, cioè sviluppata in orizzontale guardando ai sarcofagi romani tardo-antichi tipica dei pannelli ultimi, come Racconto di notte II.
A proposito della realizzazione di un ciclo assai importante, le “sculture orizzontali”, di notevole impegno e di dimensioni monumentali, l’artista scriveva nel suo Piccolo Diario Artistico “per la forma generale pensare al frammento di Medusa dormiente del Museo delle Terme”. Del ciclo in questione è presente in mostra l’esemplare forse più noto, Vento rosso del 1958, caratterizzato dal modellato violento e nervoso della sua ultima produzione. Tra tutte le opere di Leoncillo, è proprio questo ciclo ampio e articolato lungo un quinquennio, a evidenziare l’influsso della statuaria romana e a anticipare una modalità di occupazione dello spazio carica di futuro: da Pino Pascali a Richard Long e Carl Andre. Alla “orizzontale assoluta” si alternano numerose “verticali”, esemplificate in mostra da un Sebastiano bianco e da un Taglio rosso, preceduti nell’allungamento verticale da un’opera del 1957, Colonna.
Infine, al Museo Archeologico Nazionale di Firenze è esposta una delle opere più importanti dell’ultima fase della ricerca e della vita di Leoncillo, la straordinaria Amanti antichi(1965), che rimanda dichiaratamente, nella forma e nell’organizzazione spaziale della materia, all’etrusco Sarcofago degli Sposi, conservato nel Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma, altro luogo frequentato abitualmente dallo scultore spoletino insieme alle chiese e ai musei romani. Il motivo etrusco, ripensato in senso non solo plastico e formale ma anche espressivo, si definisce intorno al rapporto fra un doppio elemento verticale (i busti sollevati degli sposi) e un unico corpo orizzontale allungato (le gambe delle figure e il triclinio, cioè in verità il sarcofago). La ricerca verte sul rapporto fra corpi orizzontali e verticali, un problema che interessava profondamente Leoncillo da anni e che qui viene riconosciuto in una soluzione plastica e tematica (amore e morte) inventata da anonimi scultori etruschi millenni prima.
Le opere esposte, una trentina fra sculture, pannelli e carte, mettono in evidenza infatti la continuità di sguardo che ne attraversa tutto il lavoro, al di là delle classificazioni più tradizionali e basate unicamente su criteri stilistici: infatti, dagli esseri ibridi e mostruosi del 1939 sino all’ultimo e celebrato decennio in cui trionfa l’esperienza della materia, attraverso la stagione neocubista (1946-1955), Leoncillo non rinuncia mai ad articolare un confronto intimo ed impegnativo con il grande passato della scultura, non soltanto per restituire dignità al proprio materiale d’elezione, la ceramica, ridotta in genere a semplice strumento da artigiani, ma collocandosi implicitamente sullo stesso piano dei maestri e delle civiltà artistiche che l’hanno preceduto di fronte allo stesso soggetto privilegiato, l’uomo, e allo stesso dramma: la sofferenza e la morte. Ne è prova e testimonianza diretta la presenza di una delle opere più celebri di Leoncillo tra le sale del Museo Archeologico, tra antichi sarcofagi di epoca etrusca.
La mostra, a cura di Enrico Mascelloni e Martina Corgnati con la direzione artistica di Sergio Risaliti, organizzata da MUS.E, costituisce il primo tentativo sistematico di indagine sulle presenze antiche in tutta l’opera del maestro umbro, riunendo tra le altre le tre terrecotte policrome invetriate ricordate come i Mostri – creature ibride ispirate al mondo classico realizzate negli ultimi anni Trenta, la Sirena, l’Ermafrodito e l’Arpia, prossime agli esempi coevi della Scuola Romana, in particolare a Scipione.
Le tre opere, già esposte nel 1940 alla Triennale di Milano, dove Leoncillo era stato invitato da Giò Ponti, e pochi anni dopo, nel 1943, nell’ambito di una collettiva di giovani artisti italiani organizzata presso la romana Galleria dello Zodiaco, testimoniano “l’originalità della invenzione” e “la vitalità della deformazione espressionistica e barocca” che iniziano a emergere in Leoncillo, come ebbe a dire il pittore Virgilio Guzzi. Seguono poi due esemplari delle note Cariatidi degli anni della guerra, il primo probabilmente del 1942 e un altro del 1945, insieme a opere meno conosciute, come il Tavolo e Figura che corre. La selezione di opere esposte al Museo Novecento consente inoltre di soffermarsi sull’ampiezza dello sguardo che l’artista rivolge al passato, spaziando con assoluta libertà dal mondo greco all’ellenismo al Rinascimento; un interesse diffuso che non si preoccupa di distinguere fra originale classico e interpretazione rinascimentale ma li considera entrambi come ritorni dello stesso dramma, quello umano.
Durante la stagione postcubista l’interesse per l’antico resta vivo, sebbene “costretto” a convivere con la precisa e a volte geometrica organizzazione spaziale influenzata dal Picasso di Guernica. Questi anni sono rappresentati in mostra dal Ritratto di Mary e soprattutto dalla drammatica Partigiana dalle mani legate, un pezzo che si considerava disperso e che riappare adesso nel catalogo di Leoncillo. Invece il pannello del 1957 esposto qui per la prima volta in una rassegna museale, bozzetto per una grande opera monumentale realizzata a Faenza, anticipa la struttura “paratattica”, cioè sviluppata in orizzontale guardando ai sarcofagi romani tardo-antichi tipica dei pannelli ultimi, come Racconto di notte II.
A proposito della realizzazione di un ciclo assai importante, le “sculture orizzontali”, di notevole impegno e di dimensioni monumentali, l’artista scriveva nel suo Piccolo Diario Artistico “per la forma generale pensare al frammento di Medusa dormiente del Museo delle Terme”. Del ciclo in questione è presente in mostra l’esemplare forse più noto, Vento rosso del 1958, caratterizzato dal modellato violento e nervoso della sua ultima produzione. Tra tutte le opere di Leoncillo, è proprio questo ciclo ampio e articolato lungo un quinquennio, a evidenziare l’influsso della statuaria romana e a anticipare una modalità di occupazione dello spazio carica di futuro: da Pino Pascali a Richard Long e Carl Andre. Alla “orizzontale assoluta” si alternano numerose “verticali”, esemplificate in mostra da un Sebastiano bianco e da un Taglio rosso, preceduti nell’allungamento verticale da un’opera del 1957, Colonna.
Infine, al Museo Archeologico Nazionale di Firenze è esposta una delle opere più importanti dell’ultima fase della ricerca e della vita di Leoncillo, la straordinaria Amanti antichi(1965), che rimanda dichiaratamente, nella forma e nell’organizzazione spaziale della materia, all’etrusco Sarcofago degli Sposi, conservato nel Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma, altro luogo frequentato abitualmente dallo scultore spoletino insieme alle chiese e ai musei romani. Il motivo etrusco, ripensato in senso non solo plastico e formale ma anche espressivo, si definisce intorno al rapporto fra un doppio elemento verticale (i busti sollevati degli sposi) e un unico corpo orizzontale allungato (le gambe delle figure e il triclinio, cioè in verità il sarcofago). La ricerca verte sul rapporto fra corpi orizzontali e verticali, un problema che interessava profondamente Leoncillo da anni e che qui viene riconosciuto in una soluzione plastica e tematica (amore e morte) inventata da anonimi scultori etruschi millenni prima.
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