Silvia Levenson. Identitad desaparecida
Dal 05 Febbraio 2014 al 05 Marzo 2014
Firenze
Luogo: Studio Rosai - Palazzo Ridolfi
Indirizzo: via Toscanella 18
Orari: su appuntamento
Costo del biglietto: ingresso gratuito su appuntamento
Telefono per informazioni: +39 055 285488
E-Mail info: info@studiorosai.com
Sito ufficiale: http://www.studiorosai.com
Prosegue l’attività espositiva dell’associazione studio rosai con un’altra mostra di livello internazionale: di scena stavolta, per la prima volta a firenze, l’artista argentina Silvia Levenson Identitad desaparecida, questo il titolo della sua spettacolare esposizione, propone una silloge del variegato lavoro della levenson, che opera prevalentemente sulle fragili ma spesse superfici del vetro, alle prese con il tema doloroso e tipicamente argentino della desaparicion, collegandolo ad uno dei cardini della sua poetica: l’indagine sui sentimenti e il loro radicamento nell’infanzia. mostra ad alto tasso emozionale, vedrà la straordinaria presenza all’inaugurazione di Vera Vigevani Jarach, una delle coofondatrici delle Madri di Plaza de Mayo. Vernice mercoledí 5 febbraio alle ore 18 al Salone Rosai, in via Toscanella 18.
Ancora una volta, com’è negli intenti dello Studio Rosai, una mostra che documenta un lavoro in itinere. In questo caso di Silvia Levenson, artista argentina che da anni vive in nel nostro paese e i cui lavori fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private e sono esposti in importanti musei di tutto il mondo, vi presenterà infatti in anteprima alcune opere che rappresentano il primo abbozzo in vista della grande mostra personale sul tema dell’identità, fissata nel gennaio 2015 presso l’American University Museum di Washington DC.
In questa Identitad desaparecida fiorentina, pensata su misura per lo spazio, sono esposte sculture, installazioni e fotografie di forte valenza evocativa e impatto emotivo, che proprio giocando sulle caratteristiche dei materiali, suggeriscono il distacco, ma anche l’analisi oggettiva del tema affrontato, quello dell’identità strappata. Vetro, elemento essenziale per contenere e conservare liquidi e alimenti, ma anche per costruire lenti; imprescindibile materia prima, quindi, per l’analisi e la conservazione del “corpo della memoria”. Non mancando di usare, anche qui, quell’amara ironia e giocosa disposizione di un’infanzia anarchica e irridente, costanti dell’opera levensoniana. In tal senso l’allestimento mira ad una sobria spettacolarizzazione di lavori che in sé hanno già la forza del ricordo, ma anche della sua irrecuperabile sostanza: altalene dal titolo “É volata via”, tazzine “Di questo non si parla” ecc.
Mostra fortemente voluta dal direttore del Rosai, per il quale l’importanza di testimonianze quale questa della Levenson, personalmente colpita a livello familiare da questo crimine impunito sta proprio “nel ricordarci con l’estrema durezza che solo certe dolcissime voci femminili possono avere, che desaparecir non è prerogativa solo argentina. E che qui la distanza non è atlantica e la memoria deve farsi sveglia. A volte non occorre far sparire un individuo intero: basta fargli gettare a mare la propria umanità. E forse la capucha (quel cappuccio di telo che veniva fatto indossare ai sequestrati) può essere tessuto con più impalpabile materia”.
La mostra è organizzata in collaborazione con “Rete x l'Identità- Italia”, rete di associazioni che aiuta le “Abuelas de Plaza de Mayo” nella ricerca dei giovani desaparecidos che vivono con una falsa identità.
Ancora una volta, com’è negli intenti dello Studio Rosai, una mostra che documenta un lavoro in itinere. In questo caso di Silvia Levenson, artista argentina che da anni vive in nel nostro paese e i cui lavori fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private e sono esposti in importanti musei di tutto il mondo, vi presenterà infatti in anteprima alcune opere che rappresentano il primo abbozzo in vista della grande mostra personale sul tema dell’identità, fissata nel gennaio 2015 presso l’American University Museum di Washington DC.
In questa Identitad desaparecida fiorentina, pensata su misura per lo spazio, sono esposte sculture, installazioni e fotografie di forte valenza evocativa e impatto emotivo, che proprio giocando sulle caratteristiche dei materiali, suggeriscono il distacco, ma anche l’analisi oggettiva del tema affrontato, quello dell’identità strappata. Vetro, elemento essenziale per contenere e conservare liquidi e alimenti, ma anche per costruire lenti; imprescindibile materia prima, quindi, per l’analisi e la conservazione del “corpo della memoria”. Non mancando di usare, anche qui, quell’amara ironia e giocosa disposizione di un’infanzia anarchica e irridente, costanti dell’opera levensoniana. In tal senso l’allestimento mira ad una sobria spettacolarizzazione di lavori che in sé hanno già la forza del ricordo, ma anche della sua irrecuperabile sostanza: altalene dal titolo “É volata via”, tazzine “Di questo non si parla” ecc.
Mostra fortemente voluta dal direttore del Rosai, per il quale l’importanza di testimonianze quale questa della Levenson, personalmente colpita a livello familiare da questo crimine impunito sta proprio “nel ricordarci con l’estrema durezza che solo certe dolcissime voci femminili possono avere, che desaparecir non è prerogativa solo argentina. E che qui la distanza non è atlantica e la memoria deve farsi sveglia. A volte non occorre far sparire un individuo intero: basta fargli gettare a mare la propria umanità. E forse la capucha (quel cappuccio di telo che veniva fatto indossare ai sequestrati) può essere tessuto con più impalpabile materia”.
La mostra è organizzata in collaborazione con “Rete x l'Identità- Italia”, rete di associazioni che aiuta le “Abuelas de Plaza de Mayo” nella ricerca dei giovani desaparecidos che vivono con una falsa identità.
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