Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie

Jacopo Robusti detto Tintoretto, Narciso alla fonte, 1555 - 1560 circa, olio su tela. Roma, Galleria Colonna
Dal 22 February 2025 al 29 June 2025
Forlì | Forlì-Cesena
Luogo: Museo Civico San Domenico
Indirizzo: P.le Guido da Montefeltro 12
Sito ufficiale: http://www.mostremuseisandomenico.it
Con Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie, grande mostra a cura di Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e il Museo Civico San Domenico inaugurano la stagione 2025 con un nuovo lungo viaggio tra capolavori, che ricostruisce la progressiva definizione della consapevolezza di sé dell’artista nella storia dell’arte.
«Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell’acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato – per ogni artista – una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù». Così Gianfranco Brunelli, Direttore delle Grandi Mostre del Museo Civico San Domenico, descrive la prospettiva da cui è nato questo progetto.
Il ritratto dell’artista è un autografo esistenziale. Segno, traccia, memoria, riflesso da tradurre in un’immagine definitiva, giocata nel tempo, contro il tempo, oltre il tempo. Nell’autoritratto il pittore si sdoppia nel duplice ruolo di modello e di artista. L’occhio si posa sull’immagine riflessa per ritrarsi e l’immagine ritratta è un alter da sé ed è un sé. Spesso ne viene fuori una maschera. Personaggio più che persona. Per molti artisti è così, dal Quattrocento al Novecento.
L’artista figura tra gli uomini illustri, si fa metafora, protagonista e immagine del proprio tempo. L’artista recita, si mette in mezzo, sbuca da una sua opera che parla d’altro: in mezzo a un racconto mitologico, a una storia sacra, a un evento storico.
Come fanno Giovanni Bellini, Tintoretto, Lavinia Fontana, Sofonisba Anguissola, Lotto, Pontormo, Parmigianino, Rembrandt, Tiziano, Hayez, Böcklin, De Chirico, Balla, Sironi, Bacon fino a Bill Viola e Chuck Close.
Nudo o vestito, truccato o travestito, sorridente o malinconico, attraverso l’immagine di sé, l’artista rintraccia il proprio mondo interiore, il significato della propria arte, l’unicità del proprio stile. Per questo non è necessario ritrarsi interamente, basta un volto o un piede.
Ciò che rende così affascinante e quasi irrinunciabile l’autoritratto agli occhi degli artisti – e non solo – è la sua capacità di sostituirsi interamente alla persona di cui è copia.
L’immagine funziona da doppio del soggetto, come nel mito di Narciso ripreso da tutta la storia della pittura e della letteratura fino ad approdare, nel Novecento, alla psicoanalisi freudiana.
Il Ritratto dell’Artista: Nello specchio di Narciso si pone dunque come una storia in immagini offrendo una visione affascinante e articolata di uno dei temi più universali e significativi nell’arte.
«Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell’acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato – per ogni artista – una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù». Così Gianfranco Brunelli, Direttore delle Grandi Mostre del Museo Civico San Domenico, descrive la prospettiva da cui è nato questo progetto.
Il ritratto dell’artista è un autografo esistenziale. Segno, traccia, memoria, riflesso da tradurre in un’immagine definitiva, giocata nel tempo, contro il tempo, oltre il tempo. Nell’autoritratto il pittore si sdoppia nel duplice ruolo di modello e di artista. L’occhio si posa sull’immagine riflessa per ritrarsi e l’immagine ritratta è un alter da sé ed è un sé. Spesso ne viene fuori una maschera. Personaggio più che persona. Per molti artisti è così, dal Quattrocento al Novecento.
L’artista figura tra gli uomini illustri, si fa metafora, protagonista e immagine del proprio tempo. L’artista recita, si mette in mezzo, sbuca da una sua opera che parla d’altro: in mezzo a un racconto mitologico, a una storia sacra, a un evento storico.
Come fanno Giovanni Bellini, Tintoretto, Lavinia Fontana, Sofonisba Anguissola, Lotto, Pontormo, Parmigianino, Rembrandt, Tiziano, Hayez, Böcklin, De Chirico, Balla, Sironi, Bacon fino a Bill Viola e Chuck Close.
Nudo o vestito, truccato o travestito, sorridente o malinconico, attraverso l’immagine di sé, l’artista rintraccia il proprio mondo interiore, il significato della propria arte, l’unicità del proprio stile. Per questo non è necessario ritrarsi interamente, basta un volto o un piede.
Ciò che rende così affascinante e quasi irrinunciabile l’autoritratto agli occhi degli artisti – e non solo – è la sua capacità di sostituirsi interamente alla persona di cui è copia.
L’immagine funziona da doppio del soggetto, come nel mito di Narciso ripreso da tutta la storia della pittura e della letteratura fino ad approdare, nel Novecento, alla psicoanalisi freudiana.
Il Ritratto dell’Artista: Nello specchio di Narciso si pone dunque come una storia in immagini offrendo una visione affascinante e articolata di uno dei temi più universali e significativi nell’arte.
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