André Kertész. Un grande maestro della fotografia del Novecento
Dal 24 Febbraio 2018 al 17 Giugno 2018
Genova
Luogo: Palazzo Ducale
Indirizzo: piazza Matteotti 9
Orari: da martedì alla domenica dalle 11 alle 19
Curatori: Denis Curti
Enti promotori:
- Jeu de Paume
- Parigi
- La Médiathèque de l’Architecture et du Patrimoine
- ministère de la Culture – France e diChroma photography
Costo del biglietto: intero 10€, ridotto 8€, scuole 4€
Sito ufficiale: http://www.palazzoducale.genova.it/
Palazzo Ducale di Genova presenta dal 24 febbraio al 16 giugno una grande retrospettiva, curata da Denis Curti, su uno dei maggiori fotografi del XX secolo: André Kertész.
Oltre 180 fotografie ripercorrono, suddivise in sezioni, l’intero percorso artistico del maestro ungherese, che in più di cinquant’anni di carriera ha sempre utilizzato la fotografia come se fosse un suo diario visivo, atto a rivelare la poesia dietro le semplici e anonime cose quotidiane, catturate attraverso prospettive uniche e rivoluzionarie.
Qualsiasi cosa noi facciamo, Kertész l’ha fatto prima
Henri Cartier-Bresson
Nato a Budapest il 2 luglio del 1894 in una famiglia della media borghesia ebraica, dopo essersi diplomato nel 1912 all’Accademia commerciale di Budapest, comperò la sua prima fotocamera, una ICA 4.5×6, un apparecchio maneggevole che utilizzava senza stativo. Arruolatosi nel 1915 nell’esercito austro-ungarico, partì volontario per il fronte russo-polacco, portando con sé una piccola Goerz Tenax con obiettivo fotografico da 75mm, con la quale documentò la vita di trincea e le lunghe marce, evitando gli aspetti più crudi della guerra.
Finita la guerra si trasferì a Parigi nel 1925, e lì ebbe modo di conoscere e frequentare gli artisti e gli intellettuali del momento come Mondrian, Picasso, Chagall che influenzarono e ispirarono il suo lavoro dell’epoca. Nel 1933 la rivista Le sourire gli offrì cinque pagine da riempire in piena libertà. Per l’occasione il fotografo ungherese, influenzato dal Surrealismo e vicino alla poetica cubista di Picasso, Hans Arp e Henri Moore, affittò uno specchio deformante da un circo e nel suo studio realizzò una serie di fotografie di due modelle, Hajinskaya Verackhatz e Nadia Kasine, conosciuta con il nome di “Distorsioni”.
L’incontro del 1926 con Brassaï fu fondamentale per la carriera di quest’ultimo in quanto Kertész lo introdusse alla pratica fotografica.
Nel 1928 acquistò una Leica ed insieme a Henri Cartier-Bresson iniziò a lavorare per la rivista Vu, antesignana dell’americana LIFE. Nel 1929 Kertész partecipò alla prima mostra indipendente di fotografia “Salon de l’escalier”, insieme a Berenice Abbott, Laure Albin-Guillot, George Hoyningen-Huene, Germaine Krull, Man Ray, Nadar e Eugène Atget.
Interessato alle nuove correnti artistiche americane, decise di accettare l’offerta di Erney Prince dell’agenzia Keystone, trasferendosi insieme alla moglie Elisabeth a New York, nell’ottobre del 1936. Il lavoro alla Keystone durò solo un anno. Le sue immagini non erano ben accette nel panorama fotogiornalistico statunitense, che richiedeva uno stile rigoroso e didascalico.
Lavorò come freelance collaborando per molte riviste, tra cui Harper’s Bazaar, Vogue, Town and Country, The American House, Coller’s e Coronet, Look.
Costretto a stare in casa per problemi di salute, e affascinato dalla vista fatta di tetti e strade sul Washington Square Park, Kertész cominciò a fotografare dalla finestra di casa, riuscendo a cogliere i momenti intimi delle persone che attraversavano la piazza: il lavoro From my Window è uno dei più struggenti ed emozionanti ritratti dell’umanità, colta nei momenti più semplici del quotidiano.
Kertész ha passato tutta la sua vita alla ricerca dell’accettazione del consenso da parte della critica e del pubblico. La sua arte non si è mai avvicinata ad alcun soggetto politico ed è rimasta legata ai lati più semplici della vita quotidiana, con toni molto intimi e lirici. Soltanto gli ultimi anni della sua vita e quelli successivi alla morte segnano un rinnovato interesse verso degli scatti che riescono ad essere senza tempo.
Considerato da Henry Cartier-Bresson il padre della fotografia contemporanea e da Brassai il proprio maestro, Kertész ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, meriti di essere fotografato. Tra i pionieri della fotografia straight, con i suoi costanti mutamenti di stile, temi e linguaggio, se da un lato ci impediscono di collocare il lavoro del fotografo ungherese in un ambito estetico esclusivo, dall’altro ne dimostrano la versatilità e la continua ricerca comunicativa.
Nonostante la strada sia stata il soggetto principale delle sue fotografie, non era interessato alla cronaca o agli eventi mondani, quanto alla possibilità di mostrare la felicità silenziosa dell’intimità quotidiana. Kertész ha mantenuto una linea poetica che lo tenne distante tanto dallo sperimentalismo di Man Ray, quanto dall’impegno sociale e politico che avrebbe avuto la sua definitiva consacrazione con la Guerra di Spagna del 1936. La mia fotografia è veramente un diario intimo – ha spiegato – è uno strumento, per dare un’espressione alla mia vita, per descrivere la mia vita, come i poeti o gli scrittori descrivono le esperienze che hanno vissuto
Ci lascia immagini che prediligono gli attimi, le emozioni passeggere. Foto che vivono nel ricordo e che evocano ricordi. Il profilo dei comignoli sullo sfondo del cielo. Il gioco di doppi creato dall’ombra di una forchetta in un piatto. Tutto con una capacità modernissima di reinventare il reale.
Nel 1984, per preservare l’intero lavoro della sua vita, dona tutta la sua collezione di negativi e di documenti al Ministero della Cultura francese.
André Kertész muore nella sua casa di New York il 28 settembre del 1985. La mostra è organizzata dal Jeu de Paume di Parigi, in collaborazione con la Mediathèque de l’Architecture et du Patrimoine, Ministère de la Culture et de la Communication – France, con diChroma photography e con la partecipazione di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura
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