Celso Maggio Andreani. Dipinti e Disegni. Mostra retrospettiva nel ventennale della morte
Dal 26 Gennaio 2014 al 23 Febbraio 2014
Castel d'Ario | Mantova
Luogo: Casa Museo Sartori
Indirizzo: via XX Settembre
Orari: Sabato 15.30-19.30 - Domenica 10.30-12.30 / 15.30-19.00. Domenica 2 febbraio: 15.30-19
Enti promotori:
- Regione Lombardia
- Provincia di Mantova
- Comune di Mantova
- Comune di Castel d’Ario
- ProLoco di Castel d’Ario
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0376 324260
E-Mail info: info@sartoriarianna.191.it
Sito ufficiale: http://www.comune.casteldario.mn.it
La Casa Museo Sartori di Castel d’Ario domenica 26 Gennaio alle ore 11.30, inaugura la mostra “Celso Maggio Andreani (Mantova 1909 – Cortemiglia 1994). Dipinti e Disegni. Mostra retrospettiva nel ventennale della morte”, con presentazione del critico d’arte Renzo Margonari. Con questa esposizione la Casa Museo Sartori presenta la prima Raccolta di opere, dei “Fondi & Archivi, infatti, sono qui custoditi vari “Fondi”, che comprendono dipinti, disegni, incisioni e xilografie, e gli “Archivi” che conservano, documenti, monografie, cataloghi di mostre, fotografie, ecc., di Artisti che hanno collaborato negli anni con l’intensa attività culturale, espositiva ed editoriale della Famiglia Sartori. I Fondi e Gli Archivi, usati dalla Casa Museo Sartori per la diffusione e la conoscenza dell’opera degli stessi Artisti, saranno messi a disposizioni di studiosi, ricercatori, critici d’arte, Enti, Comuni, ecc., per la visione o consultazione ed eventuali prestiti di opere, per Rassegne o Mostre di prestigio.
“Ricostruire la storia di un artista con una ricerca biobibliografica e il lento recupero delle opere, disegni e dipinti, e finalmente, in occasione del centenario della nascita, riuscire ad organizzare una mostra retrospettiva meritevole; questo è stato l’obiettivo che, oggi, Arianna Sartori ha raggiunto da quando alcuni anni or sono, ha esposto per la prima volta, una selezione di opere di Celso Maggio Andreani.
Artista mantovano, Celso Maggio Andreani, ancorché poco ricordato a Mantova, in realtà non aveva necessità di essere “riscoperto”, perché durante la sua lunga carriera artistica, molta della allora critica ‘ufficiale’ si era espressa in modo lusinghiero; già Francesco Arcangeli, nell’ottobre 1947, durante una sua venuta a Mantova in occasione di una rassegna artistica mantovana, aveva scritto: “…Sotto un cielo dolce e fumoso, i colori dell’intonaco (dal rosa pesto al grigio, a quella tinta di caffè scolorito che intona Mantova, macerandosi di polvere e di pioggia) si chiudono entro case strette, esili: come personaggi umani d’un piccolo coro, d’una sommessa elegia. Un quadro modesto, forse, ma così sincero da rievocare i sogni che, posson fare certi occhi alla luce d’un tramonto mantovano; da farci nascere l’angoscia di non esser di qui; quella che ci punge quando ci sentiamo esclusi dall’intimo di una vita in cui non entreremo mai”.
La formazione artistica di Celso Maggio Andreani si completa prima, con la frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, quindi l’incontro con l’affresco fino all’arte del restauro: antichi capolavori gli sono stati affidati e da lui riconquistati all’originale splendore; la conoscenza e la grande passione per la pittura gradualmente trovano, nella ricerca, una autentica necessità e nella capacità d’invenzione il suo appagamento e finalmente l’imprescindibile riconoscibilità.
Per lui, dicevo, si può parlare di ricerca e di invenzione, di quegli stimoli che portano un pittore a diventare artista a tutto tondo, capace di fare vera poesia con il proprio lavoro; assolutamente padrone della tecnica e del disegno, già tutte le carte disegnate esposte dimostrano genialità e immediatezza di segno: il carboncino è steso con determinazione, senza alcun ripensamento; questi disegni non sono preparatori per una qualche opera successiva, piuttosto finiti per se stessi, nati per il gusto, la passione di riprendere un contesto, uno scorcio, un paesaggio, una casa particolare.
Proprio le case, con il tempo diventano le sue incredibili e riconoscibilissime peculiarità: Andreani stringe e focalizza l’attenzione su di loro, sulle singole facciate, le inquadrature sono determinate da sparate prospettive centrali: le case diventano i suoi soggetti, i suoi primi piani, i suoi ritratti e lui le cattura, le analizza, si diverte a cogliere qualsiasi loro caratteristica architettonica, l’intonaco screpolato che con il tempo ci rivela da sotto un arco secolare, l’impronta del tempo che passa, il decadimento, l’antico affresco del protettore della casa che il tempo sta divorando inesorabilmente; grandiosa è l’esplosione di rosso nell’opera Facciata sul Naviglio a Milano.
Mario Pistono, che si è più volte interessato di Celso Maggio, nel 1981, annotava che “…Nel corso di una vita in funzione dell’ideale dell’arte, Andreani ha esperito ogni rapporto possibile con il pigmento colorante, coprendo ogni sorta di superfici atte a riceverlo, sperimentando tecniche le più disparate e soggetti svarianti dal classicismo degli anni scolari alle libere invenzioni suggerite dalle vicende esistenziali.
Una messe sì folta di esperienze doveva sfociare, negli anni di piena maturità dell’artista, nell’incontro col tema congeniale inseguito da sempre, il soggetto-amore ideale, che per Andreani costituì una autentica folgorazione: le vecchie, sofferte facciate di case e palazzi del suo andar per strada di ogni giorno. Ne ha dipinte tante variandone toni ed accenti in modo da rendere ad ognuna una autonoma fisionomia seppure marchiata da una straordinaria vibrazione unitaria, espressa in uno con l’adesione emozionale più completa.
Andreani sa cogliere nello sfacelo dei muri l’empito di sofferenza del mondo che cambia e che stravolge impietosamente ritmi architettonici ed esatte geometrie, evidenzia varchi e rattoppi lasciati dall’uomo sui muri nell’avvicendarsi delle generazioni e testimonia così una caduta utilitaristica del gusto che non suona a vanto della nostra epoca.”
Porticati mantovani e Rotonda di San Lorenzo, le due grandi opere dedicate a Mantova, eseguite su grezza tela di juta, come fossero strappi di antichi affreschi recuperati, nella loro monocromia, avvalorano, se ce ne fosse bisogno, le conoscenze tecniche e anche l’aspetto di pura sperimentazione di Andreani, che se, nella Rotonda di San Lorenzo, sfoggia una curiosa architettura esplosa, e se, in Porticati mantovani, rivela un punto di ripresa impossibile, perché in realtà, parte della casa è coperta da un palazzo; ancora più curioso e rivelante è l’aspetto di profonda ricerca messa in pratica nell’esecuzione deformata nell’altra tela a titolo Palazzetto mantovano - Casa del Mercante nella quale, anticipando anche giovani artisti contemporanei, Andreani mette in pratica la definita ‘modularità’ eseguendo, ma simmetricamente, a specchio, il raddoppio della facciata.
Ma pure così ragionato e scrupoloso nei particolari, Celso Maggio Andreani si conferma artista poetico, le sue tele tutte, mantengono alto il valore di una pittura intima e contemplativa. Con Renzo Margonari, durante la sua visita alla passata esposizione di Andreani nella Galleria Arianna Sartori, parlavo della capacità dell’artista di rendere intimi i quadri utilizzando, in modo innovativo per altro, la tecnica di sfumare con toni di bruno i contorni delle tele, rendendo così l’effetto di una antica ripresa fotografica. Aspetto questo, che a Renzo era piaciuto tanto da approfondirlo nel proprio testo critico successivo. Così ad esempio nella tela Il Duomo di Mantova, dove la chiesa è ritratta completamente sradicata dalla piazza contestuale, e in Palazzo Fontana (a Milano in Corso Venezia, 10), dove ogni piccolo particolare, i mattoni, gli intonaci, la ringhiera del balcone sono eseguiti come fossero gli elementi di un antico e prezioso ricamo; tutti i toni concorrono allo stesso valore, l’atmosfera che si respira è di intima e autentica sontuosità.
Case, paesaggi urbani, campagne, ma anche qualche rara figura, non certo per incapacità di affrontare l’anatomia. A debellare anche questo incauto dubbio ci basti guardare il dipinto Mimi del 1972, per il quale l’artista mette in atto la caratteristica scelta pittorica della bassa cromia, trovando anche per l’approfondita impostazione realistica, la soluzione ottimale nelle complesse posture di corpi, mani e volti con le relative diverse espressioni. Operaia, è un quadro di forte contenuto sociale, efficace esempio di pittura realista degli anni sessanta.
Voglio soffermarmi su altri dipinti, nei quali trovano conferma le asserzioni precedenti sull’incorniciatura grazie allo sfumato, sulla prospettiva assolutamente centrata, questa volta però, i quadri sono affrontati e risolti con altissimi contrasti cromatici: in Nevicata: la casa rossa l’alta linea dell’orizzonte, i tre colori bianco, rosso, bruno, caratterizzano la prospettiva centrale di due scarni filari di alberi che, in una campagna bianca, conducono ad una solitaria casa rossa; lo sfumato contorno di bruno si impreziosisce alla base grazie ad un denso intrico di rovi. In Nevicata: il cielo plumbeo, ancora l’alta linea dell’orizzonte, ancora la prospettiva centrale, questa volta un gruppo di case, descritte sommariamente, ma il cielo plumbeo pesa come un sasso, sul paesaggio innevato d’una neve marcescente. In Covoni d’inverno, non tutto cambia, ancora l’alta linea dell’orizzonte, lo sfumato tutt’attorno, ma le linee della composizione assolutamente trasversali e intersecanti innestano una destabilizzante dinamica obliqua alla visione dei covoni tra la neve.
Pittura colta, complessa questa di Celso Maggio Andreani che attraverso la forte personalità è riuscito a porsi, negli anni scorsi, all’attenzione del pubblico e ancora, soprattutto oggi, nel centenario della nascita, ha meritato di essere riproposto. L’essere extra-muros, il vivere la città di Milano, ha permesso che Andreani abbia respirato, visto e vissuto realtà diverse, tanto da discostarsi dai tradizionali canoni della pittura mantovana, ma la scelta di partecipare ai molti premi e concorsi allestiti nella città, la scelta di dipingere e di ‘giocare’ con le immagini mantovane ci dicono di un rapporto affettivo preferenziale; questo per noi è quasi un ritorno a casa”.
Maria Gabriella Savoia
“Ricostruire la storia di un artista con una ricerca biobibliografica e il lento recupero delle opere, disegni e dipinti, e finalmente, in occasione del centenario della nascita, riuscire ad organizzare una mostra retrospettiva meritevole; questo è stato l’obiettivo che, oggi, Arianna Sartori ha raggiunto da quando alcuni anni or sono, ha esposto per la prima volta, una selezione di opere di Celso Maggio Andreani.
Artista mantovano, Celso Maggio Andreani, ancorché poco ricordato a Mantova, in realtà non aveva necessità di essere “riscoperto”, perché durante la sua lunga carriera artistica, molta della allora critica ‘ufficiale’ si era espressa in modo lusinghiero; già Francesco Arcangeli, nell’ottobre 1947, durante una sua venuta a Mantova in occasione di una rassegna artistica mantovana, aveva scritto: “…Sotto un cielo dolce e fumoso, i colori dell’intonaco (dal rosa pesto al grigio, a quella tinta di caffè scolorito che intona Mantova, macerandosi di polvere e di pioggia) si chiudono entro case strette, esili: come personaggi umani d’un piccolo coro, d’una sommessa elegia. Un quadro modesto, forse, ma così sincero da rievocare i sogni che, posson fare certi occhi alla luce d’un tramonto mantovano; da farci nascere l’angoscia di non esser di qui; quella che ci punge quando ci sentiamo esclusi dall’intimo di una vita in cui non entreremo mai”.
La formazione artistica di Celso Maggio Andreani si completa prima, con la frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, quindi l’incontro con l’affresco fino all’arte del restauro: antichi capolavori gli sono stati affidati e da lui riconquistati all’originale splendore; la conoscenza e la grande passione per la pittura gradualmente trovano, nella ricerca, una autentica necessità e nella capacità d’invenzione il suo appagamento e finalmente l’imprescindibile riconoscibilità.
Per lui, dicevo, si può parlare di ricerca e di invenzione, di quegli stimoli che portano un pittore a diventare artista a tutto tondo, capace di fare vera poesia con il proprio lavoro; assolutamente padrone della tecnica e del disegno, già tutte le carte disegnate esposte dimostrano genialità e immediatezza di segno: il carboncino è steso con determinazione, senza alcun ripensamento; questi disegni non sono preparatori per una qualche opera successiva, piuttosto finiti per se stessi, nati per il gusto, la passione di riprendere un contesto, uno scorcio, un paesaggio, una casa particolare.
Proprio le case, con il tempo diventano le sue incredibili e riconoscibilissime peculiarità: Andreani stringe e focalizza l’attenzione su di loro, sulle singole facciate, le inquadrature sono determinate da sparate prospettive centrali: le case diventano i suoi soggetti, i suoi primi piani, i suoi ritratti e lui le cattura, le analizza, si diverte a cogliere qualsiasi loro caratteristica architettonica, l’intonaco screpolato che con il tempo ci rivela da sotto un arco secolare, l’impronta del tempo che passa, il decadimento, l’antico affresco del protettore della casa che il tempo sta divorando inesorabilmente; grandiosa è l’esplosione di rosso nell’opera Facciata sul Naviglio a Milano.
Mario Pistono, che si è più volte interessato di Celso Maggio, nel 1981, annotava che “…Nel corso di una vita in funzione dell’ideale dell’arte, Andreani ha esperito ogni rapporto possibile con il pigmento colorante, coprendo ogni sorta di superfici atte a riceverlo, sperimentando tecniche le più disparate e soggetti svarianti dal classicismo degli anni scolari alle libere invenzioni suggerite dalle vicende esistenziali.
Una messe sì folta di esperienze doveva sfociare, negli anni di piena maturità dell’artista, nell’incontro col tema congeniale inseguito da sempre, il soggetto-amore ideale, che per Andreani costituì una autentica folgorazione: le vecchie, sofferte facciate di case e palazzi del suo andar per strada di ogni giorno. Ne ha dipinte tante variandone toni ed accenti in modo da rendere ad ognuna una autonoma fisionomia seppure marchiata da una straordinaria vibrazione unitaria, espressa in uno con l’adesione emozionale più completa.
Andreani sa cogliere nello sfacelo dei muri l’empito di sofferenza del mondo che cambia e che stravolge impietosamente ritmi architettonici ed esatte geometrie, evidenzia varchi e rattoppi lasciati dall’uomo sui muri nell’avvicendarsi delle generazioni e testimonia così una caduta utilitaristica del gusto che non suona a vanto della nostra epoca.”
Porticati mantovani e Rotonda di San Lorenzo, le due grandi opere dedicate a Mantova, eseguite su grezza tela di juta, come fossero strappi di antichi affreschi recuperati, nella loro monocromia, avvalorano, se ce ne fosse bisogno, le conoscenze tecniche e anche l’aspetto di pura sperimentazione di Andreani, che se, nella Rotonda di San Lorenzo, sfoggia una curiosa architettura esplosa, e se, in Porticati mantovani, rivela un punto di ripresa impossibile, perché in realtà, parte della casa è coperta da un palazzo; ancora più curioso e rivelante è l’aspetto di profonda ricerca messa in pratica nell’esecuzione deformata nell’altra tela a titolo Palazzetto mantovano - Casa del Mercante nella quale, anticipando anche giovani artisti contemporanei, Andreani mette in pratica la definita ‘modularità’ eseguendo, ma simmetricamente, a specchio, il raddoppio della facciata.
Ma pure così ragionato e scrupoloso nei particolari, Celso Maggio Andreani si conferma artista poetico, le sue tele tutte, mantengono alto il valore di una pittura intima e contemplativa. Con Renzo Margonari, durante la sua visita alla passata esposizione di Andreani nella Galleria Arianna Sartori, parlavo della capacità dell’artista di rendere intimi i quadri utilizzando, in modo innovativo per altro, la tecnica di sfumare con toni di bruno i contorni delle tele, rendendo così l’effetto di una antica ripresa fotografica. Aspetto questo, che a Renzo era piaciuto tanto da approfondirlo nel proprio testo critico successivo. Così ad esempio nella tela Il Duomo di Mantova, dove la chiesa è ritratta completamente sradicata dalla piazza contestuale, e in Palazzo Fontana (a Milano in Corso Venezia, 10), dove ogni piccolo particolare, i mattoni, gli intonaci, la ringhiera del balcone sono eseguiti come fossero gli elementi di un antico e prezioso ricamo; tutti i toni concorrono allo stesso valore, l’atmosfera che si respira è di intima e autentica sontuosità.
Case, paesaggi urbani, campagne, ma anche qualche rara figura, non certo per incapacità di affrontare l’anatomia. A debellare anche questo incauto dubbio ci basti guardare il dipinto Mimi del 1972, per il quale l’artista mette in atto la caratteristica scelta pittorica della bassa cromia, trovando anche per l’approfondita impostazione realistica, la soluzione ottimale nelle complesse posture di corpi, mani e volti con le relative diverse espressioni. Operaia, è un quadro di forte contenuto sociale, efficace esempio di pittura realista degli anni sessanta.
Voglio soffermarmi su altri dipinti, nei quali trovano conferma le asserzioni precedenti sull’incorniciatura grazie allo sfumato, sulla prospettiva assolutamente centrata, questa volta però, i quadri sono affrontati e risolti con altissimi contrasti cromatici: in Nevicata: la casa rossa l’alta linea dell’orizzonte, i tre colori bianco, rosso, bruno, caratterizzano la prospettiva centrale di due scarni filari di alberi che, in una campagna bianca, conducono ad una solitaria casa rossa; lo sfumato contorno di bruno si impreziosisce alla base grazie ad un denso intrico di rovi. In Nevicata: il cielo plumbeo, ancora l’alta linea dell’orizzonte, ancora la prospettiva centrale, questa volta un gruppo di case, descritte sommariamente, ma il cielo plumbeo pesa come un sasso, sul paesaggio innevato d’una neve marcescente. In Covoni d’inverno, non tutto cambia, ancora l’alta linea dell’orizzonte, lo sfumato tutt’attorno, ma le linee della composizione assolutamente trasversali e intersecanti innestano una destabilizzante dinamica obliqua alla visione dei covoni tra la neve.
Pittura colta, complessa questa di Celso Maggio Andreani che attraverso la forte personalità è riuscito a porsi, negli anni scorsi, all’attenzione del pubblico e ancora, soprattutto oggi, nel centenario della nascita, ha meritato di essere riproposto. L’essere extra-muros, il vivere la città di Milano, ha permesso che Andreani abbia respirato, visto e vissuto realtà diverse, tanto da discostarsi dai tradizionali canoni della pittura mantovana, ma la scelta di partecipare ai molti premi e concorsi allestiti nella città, la scelta di dipingere e di ‘giocare’ con le immagini mantovane ci dicono di un rapporto affettivo preferenziale; questo per noi è quasi un ritorno a casa”.
Maria Gabriella Savoia
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