Collasso Analitico
Dal 04 Maggio 2021 al 04 Giugno 2021
Novate Milanese | Milano
Luogo: Casa Testori
Indirizzo: Largo Angelo Testori 13
Orari: Dal lunedì al venerdì: 10.00-13.00 | 14.30-18.00. Sabato e domenica su prenotazione scrivendo a: scoprire@casatestori.it
Curatori: Daniela Persico
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39.02 36586877
E-Mail info: info@casatestori.it
Sito ufficiale: http://www.casatestori.it
L’assenza di vincoli contenutistici, linguistici e formali è una delle chiavi identitarie di Casa Testori che ha permesso nel corso di oltre 10 anni ad artisti e curatori di esercitare in questo luogo la massima libertà espressiva. È all’interno di questo quadro che irrompe la nuova mostra “Collasso Analitico” che Daniela Persico, critico cinematografico, programmer e curatrice di rassegne per i più importanti festival europei, da Locarno a Berlino, ha ideato proprio per Casa Testori. L’esposizione raccoglie il lavoro di due artiste cosmopolite, Giulia Bruno e Micol Roubini, nate a Milano, ma con radici che le hanno portate altrove. Entrambe lavorano attorno alla capacità di recupero della memoria storica attraverso la lingua e il linguaggio cinematografico, che è lo strumento dominante in questa esposizione.
Due avventure personali, artistiche e storiche molto singolari che dal 4 maggio 2021 si intrecceranno nelle stanze dell’hub culturale alle porte di Milano.
Giulia Bruno, fotografa e filmmaker (da anni collaboratrice stretta di Armin Linke) ha attraversato il globo alla ricerca di un’utopia, legata alla storia familiare: l’Esperanto, un tempo lingua capace di riconnettere diverse nazioni varcando le frontiere, dall’altra lingua della resistenza, che rinasce in paesi non allineati creando nuove comunità in nome di un progetto di universalismo.
Micol Roubini, artista visiva e filmmaker parte da un’antica fotografia di una casa e una lista di oggetti: le testimonianze più care conservate nell’appartamento milanese di un nonno, scappato dall’Ucraina in seguito allo sterminio della propria famiglia, che si rifugia prima in Russia per poi arrivare in Italia. Saranno questi pochi documenti a guidarla attraverso l’Europa, fino all’Ucraina occidentale, in un paese che in cent’anni ha cambiato cinque volte identità nazionale e che ora attraversa una delicata fase di transizione.
"Che cosa è una casa se non il luogo in cui si ritrova la propria lingua natale? Le due artiste, Giulia Bruno e Micol Roubini - spiega la curatrice Daniela Persico - non hanno paura di scandagliare questioni nevralgiche del Novecento, legate alle proprie storie personali, per arrivare ad interrogare il presente – tra situazioni geopolitiche complesse – con la memoria di ciò che è stato. Un percorso in due progetti artistici, che prendono forma in istallazioni, film e fotografie, e ci parlano di un “collasso” (quello legato all’Olocausto e quello della fine dell’universalismo) che non possiamo dimenticare".
E che cosa ci spinge a cercare la nostra casa? L’origine di una famiglia, persa nelle separazioni della Storia, è un viaggio che segna l’inizio di una nuova consapevolezza e lega la fluidità (solo apparente) dell’Europa contemporanea alle cortine che l’hanno spaccata durante il secondo conflitto mondiale.
Con la nascita della fotografia nasce anche una lingua, l’Esperanto, come diritto linguistico e come tool tecnologico per superare i confini. Come si rimappano e ridisegnano i confini sociali, geografici, culturali attraverso una lingua, la tecnologia e il gesto umano? Il linguaggio è un atto tecnologico?
Saranno gli sguardi delle due artiste che lavorano con il video, ma con pratiche che arrivano da altri ambiti, ad aprire un discorso capace di mettere in connessione il passato personale e intimo di un’Europa ferita e il presente asettico e dimentico, spalancandosi verso una dimensione globale. In cerca di un luogo, fosse anche utopico, dove ha ancora un senso la parola resistenza, e in cui una lingua segreta è più potente dello stesso messaggio veicolato.
La mostra prende avvio proprio dai documenti che hanno fatto scaturire il progetto. Da una parte il ricordo di una Torino operaia, a cui ha contribuito negli anni Sessanta la famiglia di Giulia Bruno (il cui nonno era autista alla Fiat), in cui l’esperanto era la lingua in grado di far superare le barriere nazionali anche ai comuni lavoratori. Dall’altra la fotografia datata 1919 della casa di famiglia di Micol Roubini a Jamna, in Ucraina, dove risiede la sognata pace di un focolare domestico brutalmente interrotta dagli eccidi della Seconda Guerra Mondiale. Una dimora a cui non si è più fatto ritorno.
Oltre alle fotografie, le teche contengono una pluralità di materiali, documenti e scritti, che raccontano di una fase preliminare in cui gradualmente la ricerca artistica prende forma.
Il percorso, che prende avvio dalla prima stanza, la “Sala del camino”, nella sua architettura signorile ha offerto lo spunto per una messa in esposizione dei rimossi storici europei e dall’altra parte una resa della possibilità di risalire a un’esattezza storica, anche sulle cose più semplici e quotidiane: nella fuga dall’Ucraina il nonno di Roubini si ferma in Russia, da lì nel 1957 porta con sé un centinaio oggetti di uso comune che vengono registrati nelle diverse dogane e la lista cambia lingua dal russo al polacco, poi dal polacco all’italiano. Gli oggetti cambiano peso: sono 133 all’inizio, mentre alla fine ne rimangono solo 120. Ma non si tratta esclusivamente di una perdita fisica, qualcosa è successo anche nel significato di questi “pezzi di casa”, che cambiano il loro nome di paese in paese.
Mentre la ricerca di Giulia Bruno a partire dallo sguardo sul mondo globale, sul diritto linguistico, sulla lingua economica e sull’Esperanto come possibilità diventa il modo per aprire interrogativi sul linguaggio universale, lasciando spazio ai testimoni, ma anche ai documenti che ci riconducono a un clima politico e sociale aperto e pieno di speranze, il viaggio intimo di Micol Roubini parte, invece, da un appartamento milanese, alla ricerca della casa di famiglia ai confini di un’Ucraina battuta dalla guerra da cui il nonno scappò in seguito a un pogrom.
Per la curatrice “Ci vuole dedizione e analisi, sembrano suggerirci i lavori delle due artiste (tanto diverse nei risultati, quanto simili nelle metodologie di lavoro): bisogna lanciare delle sfide ambiziose e affrontarle con la giusta modestia, bisogna prendersi il tempo di cercare e offrire lo spazio all’altro per raccontarsi, a volte serve inventarsi una nuova lingua, altre volte recuperare una lingua madre da sempre soffocata. Il campo entro cui tutto avviene è quello dell’immagine in movimento, la più forte nel mettere a tema la relazione tra chi filma e chi è filmato, in grado di segnare un viaggio nella scoperta del mondo per imparare a definire (seppur per un attimo precario) se stessi”.
Il progetto POCKET PAIR
La mostra rappresenta l’ultima tappa del progetto Pocket Pair, ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018. Pocket Pair riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove i due artisti sono liberi di incontrarsi, non soltanto sullo scalone centrale, ma anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.
Nel suo ciclo, la rassegna ha messo alla prova sei curatori: Alberto Zanchetta, direttore del MAC di Lissone, Carlo Sala, curatore della Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo (TV), Alessandro Castiglioni, conservatore del Ma.Ga di Gallarate (VA), Ivan Quaroni, curatore e critico d’arte, Giulia Zorzi, curatrice e organizzatrice di eventi culturali, fondatrice e direttrice di Micamera, Irene Biolchini, Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza e docente d’Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, Daniela Persico, critico cinematografico, programmer e curatrice di rassegne per i più importanti festival europei, da Locarno a Berlino.
Di primissimo piano gli artisti scelti che, a pochi mesi dalle rispettive mostre, hanno confermato con importanti partecipazioni, personali e premi internazionali, la lungimiranza delle scelte curatoriali: Nicola Samorì, Matteo Fato, Filippo Berta, Christian Fogarolli, Alessandra Ferrini, Jacopo Rinaldi, Silvia Argiolas, Marica Fasoli, Alessandro Roma, Eemyun Kang, Fatima Bianchi, Ilaria Turba, Giulia Bruno, Micol Roubini.
Daniela Persico (Treviso, 1981): critico cinematografico, programmer e curatrice, vive a Milano e lavora tra l’Italia e la Svizzera. Dalla laurea, si occupa di cinema documentario e sperimentale, con un’attenzione particolare alla ricerca del linguaggio filmico. Dopo aver ricoperto diverse cariche all’interno del Locarno Film Festival (per cui lavora da nove anni), dal 2018 è membro del comitato di selezione e Responsabile degli eventi speciali. È la curatrice dell’evento primaverile L’immagine e la parola, per cui nel 2019 si è realizzato il prestigioso workshop del cineasta Béla Tarr e nelle diverse edizioni ha annoverato tra gli ospiti maestri del cinema contemporaneo come Aleksandr Sokurov e Edgar Reitz. È presidente dell’associazione Filmidee, ne dirige la rivista, la Summer School in Sardegna (con il contributo della Sardegna Film Commission) e il progetto Video Essay: A New Way to See (vincitore del Bando ORA di Compagnia San Paolo). Ha partecipato al comitato di selezione di Woche de Kritik – Berlin Critics Week nel 2019 - 2020 e Lovers Film Festival – LGBTQI New Vision di Torino (dal 2017 al 2019). Contribuisce alla programmazione del Festival dei popoli di Firenze, IsReal – Festival di cinema del reale di Nuoro, organizzato all’interno dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico, International Filmfestival Mannheim-Heidelberg (Germania) e Nara Film Festival (Giappone), oltre a selezionare documentari per la piattaforma Tenk.eu.com. Ha iniziato nel 2004 lavorando per dieci anni alla selezione di Filmmaker Festival di Milano, elaborando laboratori di sviluppo per progetti cinematografici di giovani autori in collaborazione con Milano Film Network, sostenuti da Fondazione Cariplo: in questo ambito ha contribuito all’elaborazione dei primi lavori di giovani artisti della scena italiana come Anna Franceschini, Diego Marcon, Irene Dionisio, Davide Maldi. Dal 2016 collabora al celebre Dizionario dei film di Paolo Mereghetti e ha pubblicato monografie su Claire Simon, Wang Bing, Ross McElwee e Emmanuel Carrère. Ha realizzato il mediometraggio Et mondana ordinare (2009), è stata assistente alla regia e ha partecipato alla sceneggiatura di Tutto parla di te (2013) di Alina Marazzi.
Giulia Bruno (Milano, 1978)
Artista con base a Berlino, si occupa di fotografia e video. Dopo la laurea in Biologia presso l’Università degli Studi di Milano, ha studiato presso il CFP Bauer e la Scuola Civica di Cinema. La sua ricerca artistica e fotografica si incentra primariamente sull’interazione tra gli spazi identitari, gli spazi tecnologici, gli spazi pragmatici e le contraddizioni contemporanee. Una ricerca artistica che parte da una tensione verso una conoscenza continua volta alla interazione globale attraverso i bordi, definizione della ricerca dei significati di nazione, linguaggi e atti artificiali. Collabora da molti anni – con fotografie e video – con Armin Linke, con il quale ha recentemente preso parte al progetto HKW The New Alphabet, presentando Language Agents e Multilingualism at the European Court of Justice (entrambi film del 2018). Con il cortometraggio Capital, ritratto di tre personaggi attorno al rapporto con l’acqua, ha vinto il Premio della sezione Ambiente a Visioni italiane, Bologna. Ripetizione Spaziata, la sua personale dedicata al linguaggio e alla tecnologia, è stata inserita in I-DEA, nell’ambito del programma Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Le sue opere sono state presentate a livello internazionale.
Micol Roubini (Milano, 1982)
Si è diplomata in Pittura nel 2007 presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano e nel 2008 in Tecnologie dell’audio presso l’IrMus, dipartimento della Scuola Civica di Milano.
La sua ricerca si basa sull’analisi delle stratificazioni culturali, sociali, politiche ed economiche di una data realtà, è incentrata sul rapporto tra memoria e oralità, sui territori marginali e la loro antropizzazione, sulle migrazioni interne, sugli elementi di transizione e conflitto determinati dal trascorrere del tempo. Artista e regista, utilizza principalmente il video, il suono e la scrittura nell’elaborazione di progetti site-specific che ha esposto in diverse mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. Dal 2010 ha collaborato nel duo Casali+Roubini. È co-fondatrice de L’Altauro, casa di produzione per lo sviluppo di lavori di arte, cinema e documentario d’autore. Nel 2019, il suo primo lungometraggio La strada per le montagne – film ibrido tra documentario e finzione – viene presentato al Centre Pompidou in competizione al 41°Cinema du Réel e proiettato successivamente in diversi altri festival europei tra cui Docudays, IsReal, International Film Festival Innsbruck, Filmmaker e Trieste film festival, dove vince il Premio Corso Salani per il miglior film indipendente italiano non distribuito. Nel 2020, in collaborazione col festival teatrale Periferico e con Sette Giorni per Paesaggi, ha avviato Atti Clandestini Per Terre Mobili, progetto performativo di proiezioni itineranti tra Modena e Piacenza.
Due avventure personali, artistiche e storiche molto singolari che dal 4 maggio 2021 si intrecceranno nelle stanze dell’hub culturale alle porte di Milano.
Giulia Bruno, fotografa e filmmaker (da anni collaboratrice stretta di Armin Linke) ha attraversato il globo alla ricerca di un’utopia, legata alla storia familiare: l’Esperanto, un tempo lingua capace di riconnettere diverse nazioni varcando le frontiere, dall’altra lingua della resistenza, che rinasce in paesi non allineati creando nuove comunità in nome di un progetto di universalismo.
Micol Roubini, artista visiva e filmmaker parte da un’antica fotografia di una casa e una lista di oggetti: le testimonianze più care conservate nell’appartamento milanese di un nonno, scappato dall’Ucraina in seguito allo sterminio della propria famiglia, che si rifugia prima in Russia per poi arrivare in Italia. Saranno questi pochi documenti a guidarla attraverso l’Europa, fino all’Ucraina occidentale, in un paese che in cent’anni ha cambiato cinque volte identità nazionale e che ora attraversa una delicata fase di transizione.
"Che cosa è una casa se non il luogo in cui si ritrova la propria lingua natale? Le due artiste, Giulia Bruno e Micol Roubini - spiega la curatrice Daniela Persico - non hanno paura di scandagliare questioni nevralgiche del Novecento, legate alle proprie storie personali, per arrivare ad interrogare il presente – tra situazioni geopolitiche complesse – con la memoria di ciò che è stato. Un percorso in due progetti artistici, che prendono forma in istallazioni, film e fotografie, e ci parlano di un “collasso” (quello legato all’Olocausto e quello della fine dell’universalismo) che non possiamo dimenticare".
E che cosa ci spinge a cercare la nostra casa? L’origine di una famiglia, persa nelle separazioni della Storia, è un viaggio che segna l’inizio di una nuova consapevolezza e lega la fluidità (solo apparente) dell’Europa contemporanea alle cortine che l’hanno spaccata durante il secondo conflitto mondiale.
Con la nascita della fotografia nasce anche una lingua, l’Esperanto, come diritto linguistico e come tool tecnologico per superare i confini. Come si rimappano e ridisegnano i confini sociali, geografici, culturali attraverso una lingua, la tecnologia e il gesto umano? Il linguaggio è un atto tecnologico?
Saranno gli sguardi delle due artiste che lavorano con il video, ma con pratiche che arrivano da altri ambiti, ad aprire un discorso capace di mettere in connessione il passato personale e intimo di un’Europa ferita e il presente asettico e dimentico, spalancandosi verso una dimensione globale. In cerca di un luogo, fosse anche utopico, dove ha ancora un senso la parola resistenza, e in cui una lingua segreta è più potente dello stesso messaggio veicolato.
La mostra prende avvio proprio dai documenti che hanno fatto scaturire il progetto. Da una parte il ricordo di una Torino operaia, a cui ha contribuito negli anni Sessanta la famiglia di Giulia Bruno (il cui nonno era autista alla Fiat), in cui l’esperanto era la lingua in grado di far superare le barriere nazionali anche ai comuni lavoratori. Dall’altra la fotografia datata 1919 della casa di famiglia di Micol Roubini a Jamna, in Ucraina, dove risiede la sognata pace di un focolare domestico brutalmente interrotta dagli eccidi della Seconda Guerra Mondiale. Una dimora a cui non si è più fatto ritorno.
Oltre alle fotografie, le teche contengono una pluralità di materiali, documenti e scritti, che raccontano di una fase preliminare in cui gradualmente la ricerca artistica prende forma.
Il percorso, che prende avvio dalla prima stanza, la “Sala del camino”, nella sua architettura signorile ha offerto lo spunto per una messa in esposizione dei rimossi storici europei e dall’altra parte una resa della possibilità di risalire a un’esattezza storica, anche sulle cose più semplici e quotidiane: nella fuga dall’Ucraina il nonno di Roubini si ferma in Russia, da lì nel 1957 porta con sé un centinaio oggetti di uso comune che vengono registrati nelle diverse dogane e la lista cambia lingua dal russo al polacco, poi dal polacco all’italiano. Gli oggetti cambiano peso: sono 133 all’inizio, mentre alla fine ne rimangono solo 120. Ma non si tratta esclusivamente di una perdita fisica, qualcosa è successo anche nel significato di questi “pezzi di casa”, che cambiano il loro nome di paese in paese.
Mentre la ricerca di Giulia Bruno a partire dallo sguardo sul mondo globale, sul diritto linguistico, sulla lingua economica e sull’Esperanto come possibilità diventa il modo per aprire interrogativi sul linguaggio universale, lasciando spazio ai testimoni, ma anche ai documenti che ci riconducono a un clima politico e sociale aperto e pieno di speranze, il viaggio intimo di Micol Roubini parte, invece, da un appartamento milanese, alla ricerca della casa di famiglia ai confini di un’Ucraina battuta dalla guerra da cui il nonno scappò in seguito a un pogrom.
Per la curatrice “Ci vuole dedizione e analisi, sembrano suggerirci i lavori delle due artiste (tanto diverse nei risultati, quanto simili nelle metodologie di lavoro): bisogna lanciare delle sfide ambiziose e affrontarle con la giusta modestia, bisogna prendersi il tempo di cercare e offrire lo spazio all’altro per raccontarsi, a volte serve inventarsi una nuova lingua, altre volte recuperare una lingua madre da sempre soffocata. Il campo entro cui tutto avviene è quello dell’immagine in movimento, la più forte nel mettere a tema la relazione tra chi filma e chi è filmato, in grado di segnare un viaggio nella scoperta del mondo per imparare a definire (seppur per un attimo precario) se stessi”.
Il progetto POCKET PAIR
La mostra rappresenta l’ultima tappa del progetto Pocket Pair, ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018. Pocket Pair riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove i due artisti sono liberi di incontrarsi, non soltanto sullo scalone centrale, ma anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.
Nel suo ciclo, la rassegna ha messo alla prova sei curatori: Alberto Zanchetta, direttore del MAC di Lissone, Carlo Sala, curatore della Fondazione Francesco Fabbri di Pieve di Soligo (TV), Alessandro Castiglioni, conservatore del Ma.Ga di Gallarate (VA), Ivan Quaroni, curatore e critico d’arte, Giulia Zorzi, curatrice e organizzatrice di eventi culturali, fondatrice e direttrice di Micamera, Irene Biolchini, Guest Curator per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza e docente d’Arte Contemporanea al Department of Digital Arts, University of Malta, Daniela Persico, critico cinematografico, programmer e curatrice di rassegne per i più importanti festival europei, da Locarno a Berlino.
Di primissimo piano gli artisti scelti che, a pochi mesi dalle rispettive mostre, hanno confermato con importanti partecipazioni, personali e premi internazionali, la lungimiranza delle scelte curatoriali: Nicola Samorì, Matteo Fato, Filippo Berta, Christian Fogarolli, Alessandra Ferrini, Jacopo Rinaldi, Silvia Argiolas, Marica Fasoli, Alessandro Roma, Eemyun Kang, Fatima Bianchi, Ilaria Turba, Giulia Bruno, Micol Roubini.
Daniela Persico (Treviso, 1981): critico cinematografico, programmer e curatrice, vive a Milano e lavora tra l’Italia e la Svizzera. Dalla laurea, si occupa di cinema documentario e sperimentale, con un’attenzione particolare alla ricerca del linguaggio filmico. Dopo aver ricoperto diverse cariche all’interno del Locarno Film Festival (per cui lavora da nove anni), dal 2018 è membro del comitato di selezione e Responsabile degli eventi speciali. È la curatrice dell’evento primaverile L’immagine e la parola, per cui nel 2019 si è realizzato il prestigioso workshop del cineasta Béla Tarr e nelle diverse edizioni ha annoverato tra gli ospiti maestri del cinema contemporaneo come Aleksandr Sokurov e Edgar Reitz. È presidente dell’associazione Filmidee, ne dirige la rivista, la Summer School in Sardegna (con il contributo della Sardegna Film Commission) e il progetto Video Essay: A New Way to See (vincitore del Bando ORA di Compagnia San Paolo). Ha partecipato al comitato di selezione di Woche de Kritik – Berlin Critics Week nel 2019 - 2020 e Lovers Film Festival – LGBTQI New Vision di Torino (dal 2017 al 2019). Contribuisce alla programmazione del Festival dei popoli di Firenze, IsReal – Festival di cinema del reale di Nuoro, organizzato all’interno dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico, International Filmfestival Mannheim-Heidelberg (Germania) e Nara Film Festival (Giappone), oltre a selezionare documentari per la piattaforma Tenk.eu.com. Ha iniziato nel 2004 lavorando per dieci anni alla selezione di Filmmaker Festival di Milano, elaborando laboratori di sviluppo per progetti cinematografici di giovani autori in collaborazione con Milano Film Network, sostenuti da Fondazione Cariplo: in questo ambito ha contribuito all’elaborazione dei primi lavori di giovani artisti della scena italiana come Anna Franceschini, Diego Marcon, Irene Dionisio, Davide Maldi. Dal 2016 collabora al celebre Dizionario dei film di Paolo Mereghetti e ha pubblicato monografie su Claire Simon, Wang Bing, Ross McElwee e Emmanuel Carrère. Ha realizzato il mediometraggio Et mondana ordinare (2009), è stata assistente alla regia e ha partecipato alla sceneggiatura di Tutto parla di te (2013) di Alina Marazzi.
Giulia Bruno (Milano, 1978)
Artista con base a Berlino, si occupa di fotografia e video. Dopo la laurea in Biologia presso l’Università degli Studi di Milano, ha studiato presso il CFP Bauer e la Scuola Civica di Cinema. La sua ricerca artistica e fotografica si incentra primariamente sull’interazione tra gli spazi identitari, gli spazi tecnologici, gli spazi pragmatici e le contraddizioni contemporanee. Una ricerca artistica che parte da una tensione verso una conoscenza continua volta alla interazione globale attraverso i bordi, definizione della ricerca dei significati di nazione, linguaggi e atti artificiali. Collabora da molti anni – con fotografie e video – con Armin Linke, con il quale ha recentemente preso parte al progetto HKW The New Alphabet, presentando Language Agents e Multilingualism at the European Court of Justice (entrambi film del 2018). Con il cortometraggio Capital, ritratto di tre personaggi attorno al rapporto con l’acqua, ha vinto il Premio della sezione Ambiente a Visioni italiane, Bologna. Ripetizione Spaziata, la sua personale dedicata al linguaggio e alla tecnologia, è stata inserita in I-DEA, nell’ambito del programma Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Le sue opere sono state presentate a livello internazionale.
Micol Roubini (Milano, 1982)
Si è diplomata in Pittura nel 2007 presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano e nel 2008 in Tecnologie dell’audio presso l’IrMus, dipartimento della Scuola Civica di Milano.
La sua ricerca si basa sull’analisi delle stratificazioni culturali, sociali, politiche ed economiche di una data realtà, è incentrata sul rapporto tra memoria e oralità, sui territori marginali e la loro antropizzazione, sulle migrazioni interne, sugli elementi di transizione e conflitto determinati dal trascorrere del tempo. Artista e regista, utilizza principalmente il video, il suono e la scrittura nell’elaborazione di progetti site-specific che ha esposto in diverse mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. Dal 2010 ha collaborato nel duo Casali+Roubini. È co-fondatrice de L’Altauro, casa di produzione per lo sviluppo di lavori di arte, cinema e documentario d’autore. Nel 2019, il suo primo lungometraggio La strada per le montagne – film ibrido tra documentario e finzione – viene presentato al Centre Pompidou in competizione al 41°Cinema du Réel e proiettato successivamente in diversi altri festival europei tra cui Docudays, IsReal, International Film Festival Innsbruck, Filmmaker e Trieste film festival, dove vince il Premio Corso Salani per il miglior film indipendente italiano non distribuito. Nel 2020, in collaborazione col festival teatrale Periferico e con Sette Giorni per Paesaggi, ha avviato Atti Clandestini Per Terre Mobili, progetto performativo di proiezioni itineranti tra Modena e Piacenza.
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